Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 60

Testo di pubblico dominio

creatura che se ne mostra indegna, per una donna che vi ha tradito, per una donna che vi ha disprezzato, per una donna che avrà ancora la soddisfazione di esser liberata dalla vostra presenza, di ereditare da voi la ricchezza che le avrete lasciata, il rispetto del mondo che le avrete assicurato, come premio del suo tradimento.... Livia, nel colmo dell'angoscia, tendeva verso l'uscio le palme è le labbra supplicanti. No, non è vero, voleva gridare, no, non sarà! E l'avrebbe gridato, se la vergogna del farsi trovar là in ascolto non l'avesse trattenuta. Fremente, tremante, sconvolta, si appoggiò alla parete, per ricuperar le sue forze vacillanti; e pensava, frattanto, vedeva tutto l'orrore della sua condizione, insieme con l'avverarsi possibile degli orrendi pronostici della signora Adriana. Oramai non voleva ascoltare, non poteva udire più altro. Si tolse di là; con uno sforzo supremo misurando il passo e trattenendo il respiro, mosse verso il corridoio e scese la scala. Sul pianerottolo, al chiarore d'un lume sospeso alla parete, giganteggiava un'ombra, che veniva su dalla scala inferiore. N'ebbe terrore, a tutta prima; poi riconobbe il servo Giovanni, il fedele di suo marito. — Giovanni, — gli disse, cedendo ad una subita ispirazione, — il padrone è su con sua madre. Ragionano d'interessi. Nessuno vada lassù a disturbarli; e molto meno donne, avete capito? — Non dubiti, signora; — rispose il colosso. — Mi pianto qui, e non passerà anima viva. — Livia andò allora nella sua camera. Vi rimase a mala pena tre minuti; poi ricomparve sul pianerottolo, più agitata che mai. Giovanni era là, ritto impalato al suo posto di sentinella. — Giovanni, — gli disse la signora, — portate su questa lettera al padrone. È una risposta, che aspetta. — Il servo prese la lettera ed obbedì al comando della padrona, facendo col peso del suo corpo d'atleta un gran rumore su per la scala. Non voleva sentire, il brav'uomo; perciò voleva esser sentito. Infatti, al rumore de' suoi passi, Raimondo interruppe il suo doloroso colloquio colla mamma; schiuse l'uscio Iella camera ed apparve nel corridoio. — Che c'è? — domandò egli, vedendo Giovanni, che per allora, ahimè, non poteva chiamare “Paron Nane„. — La signora.... — disse il buon servitore, — manda questa lettera. È la risposta che Vossignoria aspetta, mi ha detto. — Raimondo lì per lì non comprese che cosa dovesse egli aspettare. Ma tolse dalle mani del servitore la lettera, lo rimandò ai fatti suoi, e rientrò nella camera di sua madre. Colà giunto strappò la busta, lesse in un batter l'occhio (così breve era il messaggio di Livia!), gittò un grido, e il foglio gli cadde di mano. Lo raccolse la signora Adriana, e lesse a sua volta; “Obbedisci a tua madre, e vivi. Mi levo io da soffrire, e levo tutti di pena. E dire che ti amavo! Non ho amato altri che te. Lo sento e posso dirlo in quest'ora, che Iddio sta per giudicarmi. “La tua povera Livia.„ La signora Adriana trasse un profondo sospiro, e seguì il suo Raimondo, che già era fuori, facendo a precipizio la scala. — Giovanni, — gridava egli, incontrandosi sul pianerottolo col servitore di sentinella, — dov'è la signora? — Nelle sue camere, credo. Di là è uscita, per consegnarmi la lettera. — Raimondo corse affannato nelle stanze di Livia. Nel piccolo studio, ov'ella certamente aveva scritto, non c'era; nella camera da letto, nemmeno. Ma era aperta la finestra, e l'aria pungente della sera si cacciava dentro, facendo tremolare la fiamma d'una candela accesa, sulla lastra di marmo d'un cassettone. Atterrito, il poveretto si affacciò al terrazzino, l'ultimo a destra, sulla facciata del palazzo Orseolo, e di lassù gli venne all'orecchio un vocìo confuso, che muoveva dal traghetto vicino. Seguiva un pronto agitarsi di gondole, e tosto un grido che dominava tutte le altre voci: “una donna nel Canale!„ Non volle udirne di più; passato veloce tra sua madre, che era lì esterrefatta sull'uscio, e il fedel servitore che prese tosto a seguirlo, corse in anticamera, aperse l'uscio e guizzò per la scala fino alla gradinata che metteva sull'acqua e chiamò a gran voce una gondola, che tosto accorse per portarlo verso il traghetto. Alla luce dei fanali vide allora un corpo di donna che alcuni gondolieri avevano poc'anzi afferrato, quasi pescato a fior d'acqua, e che traevano a riva, chiamando gente in aiuto. — Il signor Zuliani! il signor Zuliani! È la sua signora, che si è gettata in acqua. — Caduta; — tuonò in accento di correzione una voce, al cui suono il signor Zuliani si volse, riconoscendo il suo fedel servitore, che lo aveva seguito ed era entrato con lui, senza che egli pur ne avvertisse la presenza, nella medesima barca. — Giovanni, un medico! Prendi il primo che trovi; poi va a cercare il dottor Teodoro. — Sarebbero venute opportune le cure dei medici? La povera donna era fuori dei sensi, come morta, e grondante sangue dal capo. Intanto, chiamato da alcuni pietosi, accorreva un medico dalla farmacia più vicina; vide il caso, che gli parve disperato, e ordinò che per intanto la signora fosse al più presto levata di là, dove non c'era modo, tra per la calca e per la scarsità della luce, di fare un'esplorazione convenevole. Tutti volevano aiutare, a sollevar la giacente: Giovanni si fece avanti a spintoni, e alzandola di soppeso tra le erculee braccia, mosse veloce verso l'uscio da tergo del palazzo Orseolo, che fu tosto richiuso com'egli fu passato, insieme col padrone, col medico e due o tre più solleciti aiutatori. Accorrevano intanto sulla scala le persone di servizio, gridando, gemendo, ma soprattutto chiedendo notizie. — Caduta! che disgrazia! caduta! — ripeteva il portatore del prezioso fardello. E giunto nell'anticamera, si faceva spalancare l'uscio delle stanze interne, dove entrando veloce andò a deporre la infelice padrona sul letto del signor Zuliani. Perchè là, e non due camere più oltre, sul letto della signora? Il perchè era presto detto; la camera del signor Raimondo era più vicina all'anticamera: premeva al buon servitore di non isballottare più a lungo quella povera carne semiviva. Ciò fatto, e lasciando il dottore al suo pietoso uffizio, come il signor Zuliani alla sua desolazione, Giovanni prese in disparte uno dei volenterosi aiutatori che si erano introdotti in casa. Era una sua conoscenza, e se ne poteva fidare. — Bortolo, — gli disse, — fa un'ottima cosa, anzi due. Va in Calle larga San Marco, e cerca il dottor Teodoro Del Vago: o alla farmacia Mantovani, o in casa sua, che è a due passi dalla farmacia. Poi passa al Cappello Nero e chiedi del signor Antonio Brizzi, segretario del banco Zuliani. Se non c'è, ti diranno dov'è andato. E l'uno e l'altro vengano al palazzo Orseolo. — Una moneta da due lire, tolta generosamente dal peculio privato di “Paron Nane,„ scivolava intanto nelle mani di quell'altro, che promise di fare le due commissioni a puntino, e per intanto fu lesto a infilare la scala. “Paron Nane„ non aveva ancora finito di darsi attorno. Fatto un giro a destra, come per andare a chiudere usci e finestre nelle stanze vicine, entrò in quella della padrona. Non c'era nessuno, e la candela accesa seguitava a consumarsi sul cassettone, sotto lo sventolìo della fiamma al riscontro dell'aria. Egli spense prudentemente la bugia traditora, e nel buio della stanza si affacciò al terrazzino. Sporse il capo infuori, come dianzi aveva fatto il padrone. Non c'era nessuno, là sotto, tra il muro del palazzo e i pali del Canale; la ressa delle barche era tutta al traghetto, un cinquanta passi lontano; quella dei curiosi era divisa fra la riva del traghetto e le strade a tergo del palazzo. Si vociava, laggiù, e il rumor delle voci piacque a “Paron Nane„ che per suo gusto lo avrebbe voluto anche più forte. Ed egli, allora, allargando le palme poderose sul davanzale del terrazzino, fece in buon punto, e in

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Argomenti: due passi,    cinquanta passi,    sforzo supremo,    cappello nero,    pena tre

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