Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 39

Testo di pubblico dominio

avvalorata in lei vedendo ritornare a casa Raimondo così profondamente turbato: ma la fiducia si era dileguata oramai, e tanto più facilmente quanto era stato più rapido il trapasso di Raimondo dalla insolita tristezza al buon umore consueto. Ch'ella si fosse ingannata nei suoi sospetti? Si trattava egli davvero d'una somma di denaro in pericolo? tutto si riduceva egli adunque ad un episodio volgare della vita bancaria, sempre seminata di rischi? In questo caso, bisognava concludere che Filippo non avesse ancora parlato, e che tutto il rimescolo di Raimondo dipendesse da quell'altra cagione, che le era parsa insufficiente a produrlo. Ma allora, perchè aveva indugiato l'Aldini a parlare? Quando aspettava egli a farlo, mentre il farlo era più urgente che mai? Ah quella lettera! quella lettera, se a lei fosse riuscito di leggerla, le avrebbe dato modo di procedere a più sicure induzioni. Senza dubbio, quella lettera usciva dal banco Zuliani; lo diceva la busta con tanto di bollo; lo diceva la nota calligrafia commerciale del signor Brizzi degnissimo. Ma il foglio che c'era dentro, che cosa portava nelle sue pieghe? proprio la notizia che un debitore non era scappato? Questi pensieri, tutti intessuti di dubbi angosciosi, dovevano tenerla quella notte ben desta, facendole dar volta ad ogni momento nel suo letto, sotto gl'impulsi d'una febbrile inquietudine. A un certo punto non seppe più trattenersi. Scivolò dalle coltri, indossò la sua veste da mattina e passò nell'abbigliatoio, che separava la sua dalla camera del marito. Muovendo leggera leggera si accostò all'uscio di questa, e stette un pezzo origliando, per assicurarsi che Raimondo fosse ben preso dal sonno. Di solito, quando dormiva, Raimondo dormiva sodo. Ma come fu lunga per lei la fatica di girar la maniglia che teneva chiuso quell'uscio, traendola così delicatamente, così lentamente, che la toppa non avesse a cantare! Raimondo, benedetto lui, non avrebbe sentito neanche il cannone. E finalmente, se si fosse risvegliato, non mancavano pretesti a giustificare l'apparizione notturna di lei. Poteva dire, ad esempio, di essersi turbata, sentendolo parlare, o dolersi in sogno, come alle volte accade. Ma allora, addio lettera: e su quella lettera appunto bisognava metter la mano. L'uscio era aperto senza rumore, e Livia entrò guardinga nella camera; inoltrandosi alla fioca luce della finestra, arrivò strisciando fino alla spalliera di un canapé, dove ella sapeva che suo marito usava gittare i suoi abiti. Allungò il braccio, palpò destramente, trovò il soprabito, e ficcò la mano nella tasca di petto; ivi sentì il portafogli, e accanto al portafogli una busta. Era quella? A buon conto la prese, e così lieve lieve com'era venuta, si ritrasse, strisciando sul molle tappeto, fino alla camera sua. Là dentro, al lume di una lampadina da notte, guardò ansiosamente la busta. Era proprio quella, col bollo del banco, e la soprascritta già da lei ravvisata. Tosto, con ansia indicibile, e con pari sollecitudine, ne estrasse il foglio, e lo spiegò, accostandolo quanto più poteva al cristallo. Ah! non c'era più da ammirare là dentro la calligrafia commerciale del signor Brizzi; bensì da stupire, e come! davanti ad una mano di scritto meno regolare, senza sfoggio di filetti e svolazzi, tutta personale, asciutta, rigida, e chiara, poi, chiara fin troppo! Filippo aveva dunque parlato? Sì, certamente, poichè egli appunto scriveva. Ah, bravo! anche la malizia dello scrivere all'amico sotto la copertina del banco? Tutto ciò, ben inteso, per non dar nell'occhio a lei, per guardarsi da una sua indiscrezione. E come aveva dovuto lavorar di fine, per giungere a tanto! Il banco Zuliani si soleva chiudere poco dopo la partenza del principale. Per usare a quel modo della carta del banco e dell'opera del suo segretario, il conte Aldini era andato a scovare il signor Brizzi. Come ciò fosse avvenuto, s'indovinava benissimo: dal Quadri, ove pranzava l'Aldini, al Cappello Nero, ove il Brizzi faceva i suoi pasti, non era lunga la strada. Queste cose pensò in un baleno; frattanto leggeva il biglietto. Così scriveva brevemente l'Aldini a Raimondo: “Hai ragione, ed io sono un pazzo. Ma se tu vedessi nell'anima mia!... Basta, io non ti dirò altro dei miei turbamenti. Vedi pure il signor Anselmo; io non ho più nulla da opporre alle tue argomentazioni, segnatamente all'ultima, che mi ha troppo commosso. Ah, Raimondo, Raimondo! Tu eri ben degno d'un amico migliore. “Il tuo Filippo Aldini.„ E nient'altro: ma quel tanto bastava ad illuminare la signora Zuliani. “Vedi pure il signor Anselmo; io non ho più nulla da opporre.„ Oh, caro! Si era egli dunque finito di persuadere da sè? C'erano molte più cose da opporre a lui, e alle sue facili persuasioni. Ma non c'era tempo da perdere. Livia rilesse il biglietto, per non dimenticarne una sillaba; poi lo ripose nella sua busta, e com'era andata una volta, così guardinga ritornò nella camera di suo marito; rimise la lettera al suo posto, mentre Raimondo seguitava a dormire, e si ridusse nella sua camera. Soltanto allora poteva dar libero corso allo sdegno ond'era tutta invasata. — Ah no! non sarà come tu la pensi, cacciatore di doti! Saltasse il mondo, questa non la spunterai, te lo prometto. Ed io, quando prometto, mantengo. — Così borbottava tra i denti, mentre la sopraccoglieva un gran freddo, obbligandola a rimettersi in letto. Indossava ancora la veste da camera, e non ci aveva neanche badato. Tra poco, al gran freddo sarebbe succeduto un gran caldo; tanto già incominciava la febbre a darle travaglio. E rileggeva con gli occhi della mente il biglietto fatale. “Vedi pure il signor Anselmo„. Ma dove, se il signor Anselmo era a Milano? Che, forse era egli per giungere a Venezia? Ma sì, l'ordine dato da quell'altro di esser destato alle sette, non indicava che volesse andargli incontro alla stazione? Si faceva tutto a gran furia; e sul tamburo la scritta nuziale! Ah, no, mille volte no! Ella non voleva; non avrebbe mai consentito. Filippo adunque perduto irremissibilmente per lei! E di lei si era fatto giuoco, il vigliacco! Ogni tentativo, pur troppo, le era andato a male. Aveva parlato alle signore Cantelli, seminando accortamente sospetti; e Raimondo si era affrettato a dissiparli. Curiose quelle donne, che si lasciavano così facilmente persuadere, tanta era la fretta di acciuffare un marito! Aveva parlato a Filippo, ottenendo da lui la promessa di resistere; e Raimondo era venuto a capo di persuadere anche quello, facendogli rimangiare la sua sacra parola. Con tante fatiche, non era dunque riuscita a nulla? E non le si offriva nient'altro, per muovere alla riscossa, per mettere a segno il cacciatore di doti? Ah, se avesse potuto discorrer lei, col banchiere Anselmo! Quello non doveva avere la stupida fretta delle sue donne, e neanche gli stolidi capricci del suo collega di Venezia; quattro ragioni spiattellate lì, senza tanti rigiri, lo avrebbero convinto della necessità di rompere quei negoziati vergognosi. Che cosa gli avrebbe detto? Non lo sapeva ancora; si sarebbe buttata là a capo fitto, anche a rischio di confessargli ogni cosa di sè. Lo sdegno non ragiona; può passar sopra alla vergogna. L'essenziale, per lei, era di vincere. Ma come poteva sperare di veder subito il banchiere Cantelli, e senza importuni alle costole? Ci pensava, e mulinava disegni, l'uno più sottile e più pazzo dell'altro. Lo sdegno intanto cresceva, cresceva come un fiume in piena, che raggiunge il colmo degli argini, li sormonta e dilaga. Il sangue le dava tuffi frequenti; le tempia le ardevano; le si offuscavano gli occhi. Filippo sposo! Filippo che si rideva di lei e delle sue furie impotenti! Ah, il signorino, il bel conte, così mutato da quello di un giorno! Perchè egli, con tutti i suoi rimorsi, con tutte le sue prudenti esortazioni, non poteva negare a sè stesso di averla ricambiata di amore. Gli avrebbero dato, se mai, una solenne

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Argomenti: calligrafia commerciale,    episodio volgare

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