Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 46

Testo di pubblico dominio

Oramai, si sentiva ridotto allo stato d'una macchina, in piena balìa di quell'uomo. Raimondo Zuliani agitò un tratto il cappello, perchè il caso disponesse i biglietti a sua posta. — Ed ora, — riprese, — cavane uno. — Perchè? — È vero, debbo dirti il perchè. Il nome estratto dirà chi di noi due dovrà morire, in un termine stabilito di tempo. Metto il termine a sessanta giorni, da oggi. Ti parrà forse troppo lungo; — soggiunse Raimondo; — ma ti dirò poi perchè sia necessario. — Filippo esitava sempre; ed allora più che mai. — Raimondo! — gridò con accento supplichevole. Ma quell'altro era implacabile. — Hai dunque paura? — gli chiese. Filippo Aldini si rizzò tosto sulla persona, con tutto l'orgoglio del sangue antico, con tutto l'ardore della sua gioventù, con tutta la fierezza dei freschi ricordi d'una vita onorata. — Non per me, — gridò egli, ferito nel cuore. — Come puoi tu dimenticare che parli ad un soldato? E non ti ho offerto io poc'anzi un patto migliore del tuo? Te l'offro ancora; sarai più sicuramente vendicato, ed io l'avrò per atto di giustizia. — Raimondo crollò sdegnosamente le spalle. — Se lo dicevo io, che si scivola nel melodramma! — esclamò. — Debbo ripeterti ancora che tu vorresti la parte bella per te? e che questo non mi conviene? Finiamola, e resti ciò che io ho stabilito. Quanto al termine che ho posto, è forse a mio vantaggio, ma tu non devi lagnartene. Io, se ha da toccare a me, non me ne voglio andare dal mondo come un fallito. Grazie a Dio, non son tale. Voglio dar sesto alle cose mie, chiudere il banco da uomo che si è seccato degli affini, trovare un buon pretesto alla mia sparizione, ed anche portare le mie ossa condannate assai lontano di qua. Dunque siamo intesi, alla sorte! — Così dicendo, porgeva ancora il cappello. Filippo torse il viso con un gesto di viva repugnanza. — Non io, se mai, — diss'egli, — non io. — Ebbene, tanto fa; — disse Raimondo; — sarò io. — E mise la destra in fondo al cappello. Il momento era solenne. Grave nell'aspetto, ma calmo, Raimondo levò la mano, tenendo un biglietto tra le dita; lo spiegò tranquillamente, e lesse: — Zuliani! — Filippo diede un balzo di tutta la persona. Quel balzo rispondeva ad un violento sussulto del cuore. Divento pallido, smorto nel viso; un sudor freddo gli gocciolava dalla fronte. — Ah! Raimondo! — esclamò, tendendo le braccia in atto disperato. — Non così! non così! — Perchè? — disse Raimondo, grave e tranquillo come prima. — Perchè, se le cose sono state fatte a dovere? Vedi l'altro biglietto; c'è pure il tuo nome, che poteva uscire, com'è uscito il mio. Fermi ai patti, dunque; non c'è stato inganno, e i patti onestamente accettati debbono essere onestamente osservati. — Ma il colpevole sono io: perchè pagheresti tu, con la vita, per una colpa non tua? — Raimondo fece un gesto di sublime rassegnazione; e l'accompagnò di un mesto sorriso. — Caro, — rispose, — è la giustizia del cielo; cieca come quella degli uomini! Ma no, — soggiunse tosto, ravvedendosi, — dico male; non cieca. Guardandoci bene, non è piuttosto, da dirsi avveduta, quella di lassù, e cauta, e provvida, come l'altra di quaggiù non sarà mai? Pensaci; come potrei viver più io, se anche m'avesse favorito la sorte? — aggiunse Raimondo, rabbruscandosi in volto. — Tanto la mia sentenza era scritta; non mi avevi ucciso tu già nei miei due sentimenti più vivi e più sacri, l'amicizia e l'amore? — Va, dunque, e lascia che il destino si compia. Quanto a te, sei punito abbastanza; dal tuo rimorso, anzitutto, a cui credo.... Che è ciò? — chiese egli, interrompendosi a mezzo del sua triste discorso, e volgendo gli occhi verso la vetrata di fondo, nella parete di sinistra. Era venuto di là un piccolo rumore, breve e leggero, ma secco, come di serratura delicata, ove una stanghetta a colpo avesse battuto nella bocchetta, per chiudere un uscio. Anche Filippo lo udì, ricevendone una scossa molesta; ma non poteva mostrare di averlo notato. — Che cosa? — domandò egli a sua volta, fingendo di non intendere il perchè di quella interruzione. — Un rumore di là; — disse Raimondo. — Di là? C'è un anditino; — replicò Filippo; — e la camera del servitore. Ma il servitore, di giorno, non c'è. — Avrebbe potuto dire che il servitore non c'era neanche di notte, e che al governo del suo quartierino bastava una persona di mezzo servizio. Ma a tanta abbondanza e sincerità di ragguagli non era neanche obbligato. Bene sentì l'obbligo di assicurare il suo ospite, andando ad aprir l'uscio a vetri, ed anche di entrare nell'andito, per poter dire, tornando, che infatti non c'era nessuno; onde il rumore udito da Raimondo poteva credersi effetto di un fenomeno acustico d'una risonanza da camere e scale del vicinato. Il signor Zuliani, del resto, non si trattenne a pensarci più oltre, dovendo ritornare al fatto suo; il quale, per allora, si mutava nel fatto del suo avversario. — Ed ora, — diss'egli, — la prima parte è assestata. — Ma no, Raimondo, ma no! — gemeva ancora Filippo Aldini. Quell'altro non voleva sentire piagnistei. Lo saettò d'un'occhiata severa, e riprese: — Ai patti, ai patti, e non mi seccare. Queste ragazzate non sono degne di te, nè di me. Rimane da assestar la seconda; quella del tuo matrimonio. — Ah sì, proprio quello! — esclamò Filippo, tentennando la testa. — Quello, infatti; — ribadì l'altro, inflessibile. — E mi preme, perchè c'è impegnato il mio onore. Ricorda ciò che ti dicevo ieri; niente è mutato nella mia condizione delicatissima rispetto ad Anselmo Cantelli. Dunque, stammi a sentire; senza interrompermi, il che mi annoierebbe; senza opporti al mio volere, il che mi offenderebbe, e sarebbe una giunta crudelmente inutile.... a tutto l'altro che sai. — Filippo s'inchinò senza proferir parola; e Raimondo pacatamente seguitò: — Anzitutto, niente traspiri di ciò che è seguito tra noi. Anselmo è arrivato stamane; e proprio nel punto buono! Ma io debbo mantenermi fermo nella proposta, ch'egli ha accettata, e per cui egli è venuto. Anselmo è il re dei galantuomini; non merita d'esser trattato alla leggera, e molto meno di essere canzonato da noi. Tu dunque, sposerai Margherita. Sicuro, poichè non è toccato a te il cattivo numero, la sposerai. Andrò oggi sulle quattro al Danieli; già mi sono fatto scusare, della mia assenza alla stazione, dal Brizzi; dal Brizzi, che ho pure mandato a casa.... mia.... — e qui Raimondo fece la pausa e l'atto di chi ingoia sforzatamente un amaro boccone, — a casa mia, dico, per avvertire che non sarei andato a far colazione, ma soltanto m'attendessero a pranzo. Così, vedi, tra le quattro e le sei avrò finito di combinare ogni cosa con Anselmo, e tu potrai fare questa sera la tua visita solenne, che io avrò debitamente annunziata. Ci sarò anch'io, per farti da padrino.... o da padre. Ti va? — Filippo aveva le lagrime agli occhi. — Ti ho ascoltato devotamente; — rispose. — Sei un eroe. Ma se tu volessi dimenticare ciò che si è fatto qui, dianzi!... — Raimondo fece una spallata, in atto d'impazienza e di sdegno. — Ma non l'hai capito ancora, che questo è impossibile, assolutamente impossibile? Io, prima di tutto, non sono un eroe. Se fossi, non ti avrei neanche invitato al giuoco di poco fa. Era il resto dell'ira, che bisognava sfogare. Ma bada, dell'andarmene da questo mondo bugiardo, non sarà stata cagione la sorte d'un bigliettino estratto in vece di un altro. Credilo, Aldini; sono caduto da troppa altezza d'illusioni, e la vita mi è un peso insopportabile. Sarei già fuori di pena, se non fosse che voglio uscirne bene, da persona pulita. Tu, certamente, sei stato la cagione di tutto, cagione immediata, per altro, e vicina; prima e lontana cagione furono le mie sciocche illusioni. Che ci vuoi fare? Sono andate al diavolo; ci restino. Dopo tutto,

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Argomenti: violento sussulto,    patto migliore,    fenomeno acustico

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