Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 43

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umilmente scusa, e per quella volta mi ritirai davvero. Il fattorino del banco non era ancora arrivato; così mi sono arrischiato a venir io, anche per chiedere a Lei che cosa può essere accaduto, da metterlo in questo scompiglio. — Signor Brizzi, Ella è un amico.... — disse la signora. — E come! Ella lo sa; vecchio, sincero e fidato. — Bene! Ad ogni modo, o prima o poi, dovrebbe sapere ogni cosa. Son certa anzi che Raimondo si confiderà a Lei prima che ad altri. Sappia dunque che c'è stato tra lui e me un gravissimo alterco. Finiremo, ne son certa, con una separazione. Ma Ella, prego, non ne fiati con anima viva. — Si figuri! — gridò il signor Brizzi. — I segreti di casa Zuliani mi son più sacri dei miei. Ma speriamo che non sia il caso, per un semplice alterco, di giungere a quella estremità. — Oramai il signor Brizzi aveva capito ogni cosa. L'alterco gravissimo colla moglie, onde il suo povero principale era uscito così stravolto dall'ira; la lettera al “signor conte„ ch'egli non poteva tirare innanzi, tanto era agitato; erano quelli i due capi di una catena, che raccostati offrivano la chiave di tutto l'occorso, specie a chi già conoscesse un certo segreto di casa Zuliani. Ahimè, quello era a conoscenza di troppi; vero segreto di Arlecchino, come tanti e tanti altri d'ugual genere nel nostro povero mondo; così facilmente, di leggerezza in leggerezza, d'imprudenza in imprudenza, lasciamo indovinare i fatti nostri più intimi a tutta una turba di sfaccendati, in ogni città che non sia Londra o Parigi! Ed anche si può rinunziare a queste eccezioni, chi pensi che Londra e Parigi non debbono sfuggire neppur esse a certe piccole noie, essendo anche laggiù il mondo elegante e il mondo pettegolo nelle istesse condizioni di buon vicinato, ed esercitando i loro disutili uffici in una sfera piuttosto ristretta, come in tante altre città di minore importanza. Di quel segreto d'Arlecchino il povero signor Brizzi si era sempre doluto in cuor suo, poichè egli amava molto il suo principale, e non era mai stato senza timore che un giorno o l'altro gliene giungesse un cenno all'orecchio. Era un segreto, quello, da non metterci bocca; e cercava, se fosse stato possibile, di dimenticarlo egli stesso; per intanto non permetteva che davanti a lui qualche amico imprudente vi facesse la più lontana allusione. — Comunque sia, — rispondeva la signora Zuliani, la cui fede era certamente men salda che non fossero le tenui speranze del suo pietoso interlocutore, — il vivere insieme è impossibile. Ella veda frattanto, mio buon signor Brizzi, se può avere qualche altra notizia, che mi giovi di conoscere, nello stato in cui siamo, di aperta rottura. Chi sa? Egli vorrà bene confidarsi con Lei. E a me deve importare moltissimo che si confidi con Lei, anzichè con altri, che sia meno amico di ambedue; non le pare? — Il signor Brizzi, che era tutto cuore, promise assai volentieri. Se il signor Zuliani, com'era da credere, si fosse aperto delle proprie tristezze con lui, certamente egli avrebbe raccomandato calma e prudenza. Gran cose, la prudenza e la calma; quanti malanni non hanno esse evitati! E ciò senza contare che le famiglie non debbono mettere i loro dissapori in piazza; perchè la gente ne ride, e tra le risate della gente se ne va il loro buon nome, il credito, il rispetto, l'onore, tutto ciò che è più geloso, e dovrebb'esser più sacro per noi. Con questi ed altri simiglianti discorsi, l'ottimo Brizzi prese commiato dalla signora Zuliani. A lui si accompagnò, recando il pastrano del padrone, il vecchio Giovanni; quel povero “paron Nane„ che pur troppo non doveva aspettarsi la ripetizione della faceta apostrofe con cui dodici ore innanzi era stato salutato. Ritornata nella sua camera, la signora Zuliani si vestì in fretta e furia, poco o punto giovandosi dei troppo lenti uffici di Giustina, la sua cameriera. — Andate piuttosto a vedere se Giovanni è tornato; — le disse. — Appena arriva, mandatelo qua. — Il vecchio servitore giungeva proprio in quel punto, e fu tosto avvertito del comando di lei. — Avete fatta la commissione? — gli chiese. — Sì, signora. — E veduto il padrone? — No, signora; egli era nel suo studio, ed io son rimasto nella prima camera, dove lavora il signor Brizzi. Ma l'ho sentito rispondere “sta bene, mettete là, su quella sedia„, dopo che il signor Brizzi gli ebbe detto che il pastrano era stato portato da casa. — Raimondo era dunque rimasto al suo banco. Aveva egli finito di scrivere le sue lettere? Di questo ella non poteva chiedere al servitore, che aveva riferito quanto era in poter suo di sapere, non essendo stato introdotto alla presenza del padrone. Erano le dieci e mezzo: la signora Zuliani fece una pronta risoluzione; mise il cappellino in testa, ravvolse il velo intorno alla faccia, ed uscì prendendo cammino verso il corso Vittorio Emanuele. Di certo, andava a trovare la Galier, avendo anch'essa bisogno di sfogarsi, di versare la piena delle sue afflizioni nel cuore compassionevole della contessa, della sua intima amica, dell'amica più vera, anzi dell'unica, che avesse per tale. Pallida e spossata, con gli occhi pesti, in ogni altra occasione la signora Zuliani avrebbe rinunziato ad una corsa fuori via; ma il momento era grave, ed urgente il bisogno; del resto, quel velo fitto sul viso poteva dissimular molti guasti. Ella pensava, frattanto: mentre il corpo era in moto così frettoloso, il pensiero non poteva restarsene inerte. — Ha sdegnato di uccidermi; — diceva ella tra sè. — Vuole sfogarsi contro di lui, è chiaro; gli manda un cartello di sfida. Come non l'ho io preveduto, ch'egli si potesse appigliare a questo partito? E ancora, se lo avessi preveduto, mi sarei io trattenuta dal fare quello che ho fatto? Ora, egli manderà la sua lettera. L'avrà poi potuta scrivere? Ne ha strappate già tante, che altrettante potranno ancor fare la medesima fine. Comunque sia, bisogna avvertire quell'altro, che non sa nulla, avvertirlo ad ogni costo. La contessa è così buona, mi è tanto amica, che vorrà pure aiutarmi. — Avvertirlo, sì, era bene, e faceva bella testimonianza d'animo compassionevole. Ma era lei, Livia, la terribile Livia, la furia scatenata di poche ore innanzi, che pensava allora in quel modo? Il suo odio implacabile, dov'era andato a finire? Forse odiava quell'uomo, sentendolo felice, prossimo al compimento dei suoi voti più cari, alla consumazione del tradimento più nero; e nell'animo di lei si era stemprato ad un tratto il geloso furore, dando luogo ad un sentimento di pietà, forse di amore per quel disgraziato, allo scatenarsi della bufera che doveva travolgerlo. Arcani del cuore! Quando fu giunta al portone della Galier, la signora Zuliani entrò nel vestibolo, ma non si volse già verso la scala a collo, che conduceva al quartierino dell'amica; si volse in quella vece al cortile, e prese la scaletta di servizio che metteva allo stabile attiguo. — Perchè no? — aveva ella detto tra sè. — Sarà tutto tempo guadagnato. Forse egli non ha ancora pensato a serrare col catenaccio, non aspettando più apparizioni di gelose importune; — soggiunse ella sospirando. — Tentiamo! — Ed era salita; e giunta al noto usciolino, aveva provato nella toppa la piccola chiave inglese, grazioso gingillo da cui non si era ancor separata. La piccola chiave fece liberamente il suo giro; ma l'usciolino non si aperse altrimenti. Per l'appunto, non aspettando più visite da quella parte, Filippo Aldini aveva dato di dentro il catenaccio. Disperata, bussò colle palme distese, bussò quanto più forte potè, a colpi reiterati. Ah, per fortuna era stata udita; ella sentì aprire la vetrata dello studio, e tosto nell'andito oscuro un passo ben conosciuto, il passo di Filippo. Ancora pochi secondi, e il catenaccio era levato; aperto l'uscio, le apparve Filippo nel vano. — Voi! — esclamò egli, ancora compreso di stupore. Non l'aspettava

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Argomenti: dodici ore,    vecchio servitore,    cuore compassionevole,    grazioso gingillo

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