Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 19

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e non hanno bisogno di guida. Ma la sera, capirà, debbo lasciarmi vedere; tanto più che sono ad alloggio da me. — Non vorranno poi fare la visita di santa Elisabetta; — notò Margherita. — E l'avremo un altro giorno, non è vero? — Certo; sarò ben onorato; — disse Filippo, che per la prima volta si sentiva la lingua impacciata. — I miei vecchi compagni d'armi rimarranno pochi giorni ancora. — In questi discorsi erano venuti oltre il ponte di Rialto, e per la Riva del Carbone entravano in Merceria. Qui avvenne a Filippo Aldini di fare un gesto, come d'ingrata maraviglia; un gesto che non isfuggì all'attenzione della signorina Margherita. — Che cosa ha visto? — chiese ella. — Io? nulla; — rispose Filippo. — Ha fatto un gesto, — ripigliò Margherita, — un gesto di persona molto seccata. — Davvero? — esclamò egli, padroneggiandosi, e correndo col pensiero alle scuse. — Non me ne sono avveduto. Ma chi sa? Passano alle volte pel capo certi brandelli d'idee.... Un moto della fantasia li fa scorrere davanti agli occhi dell'anima, ed è naturale che ci secchino, come può seccarci una nuvola che passi in aria e c'impedisca di vedere il sole, senza che per questo avvertiamo la presenza della nuvola. Infatti, io non avevo avvertito nulla. Moti istintivi, signorina, moti macchinali; non è da farne caso. — E rideva, così dicendo, e gesticolava, come non aveva mai fatto, sempre per darsi un'aria disinvolta e serena. Quello che gli aveva dato noia, facendogli fare quel gesto di persona seccata, era ancora lontano, nascosto alle sue compagne di passeggiata da un piccolo crocchio di persone, che proprio in quella stretta avevano creduto opportuno di fermarsi a discorrere. Ma l'oggetto della noia si fece più innanzi, e tagliando la strada in isbieco dietro all'ostacolo, si affacciò finalmente alla vista delle signore Cantelli. Oh, il felice incontro! La contessa Galier di San Polo! E lì una buona fermatina, con un mondo di garbatissime chiacchiere, e di complimenti alla signorina Margherita, sempre più bella, sempre più cara. Nè al conte Aldini mancò la sua parte. — Hanno un gentil cavaliere e un cicerone prodigioso; — diceva la contessa Galier. — Sa tutto, ha veduto tutto. Oh, non dico per adularvi, Aldini, ma per rendere omaggio alla verità. Sappiano, signore mie, che tanti e tanti tesori d'arte in Venezia, ignoti a molti di noi veneziani il conte Aldini li conosce come la palma della sua mano. — Infatti, — disse Margherita, — al museo Correr ne abbiamo avuto oggi la prova. — Vengono di là? — Sì, e grazie al nostro cavaliere ci abbiam passato quattr'ore deliziose. — Ah, bene! Venezia ascrive ad onor suo, di poter dare simili gioie a visitatrici così intelligenti e così care. Ora, immagino, ritorneranno all'albergo. Ed io a casa. Son proprio felice di averle incontrate. — Qui venne il ricambio degli ultimi saluti; dopo di che la contessa Galier si avviò per Rialto verso i Santi Apostoli e il corso Vittorio Emanuele, mentre le signore Cantelli riprendevano il loro cammino verso San Marco e la riva degli Schiavoni. — Cara signora! — disse Margherita all'Aldini. — Dev'essere molto buona. — Filippo acconsentì col doppio moto del capo e del labbro. Ma dentro di sè l'avrebbe mandata volentieri a quel paese, quella cara Galier. Non già perchè l'odiasse, povera donna; ma perchè gli veniva in mal punto a ricordare tutto ciò che per un giorno egli aveva dimenticato così bene. E veniva innanzi turbato nel profondo del cuore, ma sforzandosi di parer tranquillo all'aspetto; senza parole, nondimeno, e sperando che della sua taciturnità lo scusasse abbastanza il doversi ad ogni tratto cansare tra la gente che correva per un verso o per l'altro. Ma riusciti che furono davanti a San Marco, e di là in Piazzetta, dove era più scarso il numero dei viandanti, il silenzio di Filippo doveva essere notato. — È pensieroso; — gli disse Margherita. — No; — rispose egli, con accento di viva sollecitudine. — Sì; — replicò la fanciulla, con accento di viva insistenza. — Ebbene, sì; — conchiuse egli, cedendo. — Penso infatti, che questa buona giornata è troppo presto finita. — Se è così — ripigliò Margherita, — se ne procuri.... ce ne procuri un'altra. Mediti lei, trovi lei il punto che dovremo visitare, e poichè i suoi amici di Verona non hanno bisogno di guida come noi, venga a dircelo; ci troverà pronte a muoverci. Non è vero, mamma? — Eh, non bisognerebbe poi abusare! — osservò la signora Eleonora. — Ma che? ma che? Io son fatta così. Se il signor conte gradisce di farci gli onori di casa, noi, che non vogliamo essere ipocrite, gli confessiamo di gradir molto la sua cortesia. Ma badi, — soggiunse con un risolino malizioso quella cara fanciulla, — ho detto onori di casa per modo di dire, poichè ora siamo a Venezia. Ma la casa non è qui, ci pensi, non è qui. — Sì, sì, ci penso, non dubiti; non penserò più ad altro; — rispose Filippo animandosi. — Che cos'è questa distinzione? — domandò la signora Eleonora. — Ah, mamma, tu non sai; tu non hai visto, come ho visto io, a Parma, il palazzo degli Aldini. Una bellezza! Ho raccomandato al signor conte di ricomprarselo, il palazzo dei suoi maggiori. Me lo ha promesso; parola di gentiluomo non può mentire. — Pazzerella! E se i proprietarii presenti non volessero vendere? — Oh, vorranno, vorranno. L'ho già capito dal modo come tengono quello stabile, non facendovi mai un ristoro. Siamo dunque intesi? — proseguì Margherita, volgendosi a Filippo, sull'uscio dell'albergo. — Digne.... — Et in æternum; — rispose Filippo con un filo di voce, ma mettendo in quel filo di voce il meglio dell'anima sua. VII. Alzata d'ingegno. Esistessero o no i due amici di Verona, erano stati annunziati come ospiti di pochi giorni, non potendo essi restare a Venezia oltre il termine di una breve licenza. Dovettero dunque ripartire, e il conte Aldini si ritrovò quello di prima, libero del suo tempo, e padronissimo di ritornare alle sue consuetudini. Ma non senza aver fatto ancora quella passeggiata artistica, ch'egli stesso doveva immaginare e proporre. Ed era stata proprio una passeggiata all'aperto, per vedere qua e là tante di quelle piccole cose, che i viaggiatori non trovano indicate nelle guide, e che sfuggono perciò alla loro ammirazione forzata: per esempio quelle scale scoperte nei cortili di parecchie abitazioni private, come nel palazzo Soranzo in campo San Polo, nel palazzo Sanudo a Santa Maria dei Miracoli, nella casa abitata da Carlo Goldoni a San Tomà, e originale su tutte la scala dei Bembo alla Celestia in calle Magno. E non dimentichiamo, poichè piacque singolarmente a Margherita, il bel motivo architettonico foggiato ad arco trionfale su d'un calle angusto, in capo al ponte del Paradiso, presso Santa Maria Formosa. Il ponte, per verità, era piuttosto un voltino di gora, accavalciato sopra un rio non più largo di cinque passi; l'arco trionfale si riduceva ad uno stipite, poggiato su due pietre sporgenti dagli angoli di due case, onde l'entrata del calle si restringeva alle forme di un uscio. Ma su quello stipite si girava un lunetto ad arco acuto, con entro una Madonna rozzamente scolpita, mantellata e coronata, in atto di far grazia a due divoti personaggi, forse due santi, inginocchiati intorno a lei; ma su quel lunetto si alzava, andando su su, una cuspide di marmo, elegantissima, incorniciata di fregi di leggiadra fattura, chiudente nel suo mezzo un disco egualmente fregiato, e nel disco un'apertura quadrilobata, che a Margherita parve il trifoglio di quattro foglie, tanto ricercato dalle fanciulle nei prati autunnali, come certo promettitore di desiderate fortune. Suprema eleganza di linee, grazia veramente divina di forme! E accanto alla costruzione fantastica, sul lembo d'una casa contigua, una finestrina lunga lunga, fiancheggiata da svelte colonne, reggenti un cappello

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