Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 31

Testo di pubblico dominio

senza avere in animo di far torto ai giovani compositori italiani, conveniva poco alla signora Livia. — Maestro, — diss'ella, facendo interrompere di punto in bianco una elegantissima frase melodica, — ci suoni il duetto d'amore dell'Otello. È una cosa tanto appassionata, veramente deliziosa! — Il maestro fu pronto ad attaccare il pezzo richiesto. — Che dolcezza! che incanto! — mormorava la signora Livia. E coi moti del capo, e col battere delle dita sulle pieghe della gonna di velluto, accompagnava i suoni, che le andavano all'anima. Dovevano tutti infiammarsi, andarne in visibilio come lei, e primo frattanto il cavaliere Lunardi, che le sedeva vicino. Ma il buon cavaliere era in vena, quella sera, e non voleva arrendersi senza battaglia. — Strano! — diss'egli, poichè il maestro ebbe finito. — Un duetto d'amore tra marito e moglie! S'è mai sentita in teatro una cosa simile? — La signora Livia s'inalberò, minacciando il cavaliere Lunardi colle stecche raccostate del suo ventaglio. — Ma sa, cavaliere, — gridò, — che questa sera, contro l'uso, Ella è molto brutto? — Grazie per l'uso; — riprese egli, inchinandosi sulla vita; — ma in che sarei brutto, stasera? — Non se ne accorge? Nel non veder poesia nel matrimonio. Il nodo è sacro; non è dunque da buttar via. E se due creature l'hanno per tale, non ci vorrà Ella riconoscere un bello esempio di costanza in amore? La costanza.... — Tiranna del core; — soggiunse a mo' di glossa il cavaliere Lunardi. — Tiranna pei duchi di Mantova; — ribattè la signora; — ma non per chi ama davvero. E le pare una cosa tanto poco poetica, da non tollerarsi in un duetto d'opera? — Ecco, io non so veramente; — rispose il cavaliere Lunardi, fingendo di mettersi sul grave; — bisognerebbe aver provato. Del resto, qui si fa per discorrere, ed io, in questa causa di santificazione del matrimonio sarò l'avvocato del diavolo; una parte che non disdegnano di sostenere i più fedeli cristiani. Il matrimonio, ella dice, può essere esempio di un amore costante. Un amore costante è un amore che rischia d'invecchiare. Diciamo dunque un amor vecchio. Ed io ho letto in un autore antico, e latino, il che accresce di tanto la sua autorità, che un amor vecchio è una gran prigionia. Dimmi tu, Filippo, se cito giusto; tu che hai gli autori latini sulla punta delle dita. — L'Aldini sorrise, tentennando la testa. — Troppo forte mi fai; — rispose. — Ma per questa volta ti posso servire. L'autore latino è Petronio. Antiquus amor carcer est, ecco la massima; ma egli, per tua norma, la fa dire da uno dei commensali di Trimalcione, e per celia. — Bravo! — gridò Raimondo. — Aiutaci un po' tu contro questo terribil cavaliere. — Terribile, è troppo onore per un combattente mio pari; — disse il Lunardi, ridendo. — Infatti, vedete; io, da buon campione.... senza valore, cedo volentieri sulla questione poetica; ma mi rovescio sulla questione musicale. Mi battano anche su questa. Intanto io sostengo e dico che l'amore matrimoniale non è da duetti alla ribalta. Questo dell'Otello, che credo sia l'unico, su che idee tenta di appoggiarsi? Su questa, che è poi un cenno di tempi anteriori al matrimonio: “E tu m'amavi per le mie sventure. — Ed io t'amava per la tua pietà„. Diciamo di passata che il Moro, anzi il Negro, è molto generoso con una bella e bionda patrizia veneziana; l'ha riamata per la sua compassione! Quanto a lei, se è vero che ne sentisse tanta, che bisogno c'era di sposare il Nubiano? Un negro, lo so, è un uomo come un altro. Ha delle sventure? Poveraccio, gli si apre una colletta, e la figlia del senatore Brabanzio ci mette magari tutti i ducatoni che le hanno regalati per Ceppo. Che cosa ci ha guadagnato la bella Desdemona a sposare il Nubiano? Un fazzoletto. Gran signore, e veramente prodigo, quel generale della Repubblica! Va dai Bocconi del tempo, e compra un fazzoletto; neanche una dozzina, per l'uso; e quel fazzoletto unico, vuol vederlo sempre. Avesse pensato almeno a regalarle un bel solitario di diecimila lire! o un diadema come quello che ieri è stato pagato venticinquemila al Marchesi! — Ieri? — domandò la signora. — Sì, ieri, tra le quattro o le cinque. Se ne parla dappertutto, e si almanacca sul nome del compratore, che il gioielliere non ha voluto dire. — Raimondo! — esclamò la signora, mezzo severa e mezzo sorridente nell'aspetto. — Una follia! — Come l'amore, se mai; — rispose a mezza voce Raimondo. Frattanto la signora aveva riaperta la busta di velluto azzurro, che era rimasta davanti a lei sulla tavola, e la faceva ammirare al cavaliere Lunardi. — Eh, lo pensavo ben io! — gridò il cavaliere, dopo aver guardato per tutti i versi il gioiello. — Ci avrei giocata la testa. Da due giorni c'era folla, alle vetrine del Marchesi; ma nessuno s'era arrischiato dentro. E poi, quando fu sparito dalla mostra, lo avrebbero tutti voluto, il capolavoro costoso. Dico tutti per iperbole; saranno poi stati tre. Mariti? non so. Bene è stato un marito, quello che ha portata la palma; il record, come ora si dice. Ed ecco, — conchiuse allegro il cavaliere Lunardi, — ecco i mariti con cui si possono far dei duetti. — Ne conviene, eh? — disse Livia, raggiante. — Ma sì, nel caso presente che è il caso vero, e forse unico. Ma in quell'altro, del Nubiano, Dio guardi! E poi, con quella brutta fine! — Ammetta che amava bene, quell'uomo. — Da pazzo, sì, che ancora potrebbe andare; da cieco, che non va più in nessun modo. — Eppure, mi lasci dire, — notò la signora, — nel caso di Otello aveva torto Desdemona. Ma sì, cavaliere, aveva torto, con quella sua eterna compassione per Cassio. Compassione pei negri, compassione pei bianchi; era un pozzo inesauribile di compassione, quella nostra concittadina. — Consoliamoci, — soggiunse il cavaliere Lunardi, — consoliamoci pensando che Desdemona non è mai esistita, e che a nessuna delle nostre belle Veneziane è mai passato per il capo, da che Venezia esiste, di sposare un Negro. — Ah, non è storico, il fatto? — Non credo. Del resto chiediamone all'amico Aldini. Che cosa puoi dircene tu, Filippo? — Quello che ne saprai tu pure; — rispose Filippo. — Il fatto vero è brevemente questo. Cristoforo Moro, veneziano, e governatore a Cipro nel 1508, uccide la moglie per gelosia. Trent'anni dopo, o giù di lì, un romanziere prende il fatto nudo e bruco dalla cronaca veneziana, e ne fa una novella. Un po' per riguardo alla casata patrizia dei Moro, un po' per seguitare il suo uso, che era quello di travisare i fatti d'ogni storia, e sacra e profana, per far mostra di genio inventivo, trasforma il Moro di casato in un Moro di nazione, e lo fa di pelle anche più nero che non siano mai stati i Mori. Ecco tutto. Su quella novella del Giraldi ha lavorato lo Shakespeare. Sul dramma dello Shakespeare hanno fatto musica, da quei due grandi artisti che sono, il Rossini ed il Verdi. Ho abbreviato per non dar noia, ma credo di non aver dimenticato nulla; — conchiuse modestamente l'Aldini. Aveva infatti abbreviato molto; e forse c'era da dirne più a lungo, specie in onore di quel povero Giraldi, la cui novella era stata ormata periodo per periodo, quasi parola per parola, dal grande tragico inglese. Quando i salotti si occupano d'arte, prendendo occasione da un'opera moderna, è ben giusto che sopportino anche un richiamo erudito alle fonti. Ma l'argomento dava noia all'Aldini. Che idea stramba era venuta in mente al cavaliere Lunardi, con la sua arguzia sul caso di Otello, e, peggio ancora, sulle massime di Petronio Arbitro! Del resto è sempre così, nei salotti; quando vien fuori un tema antipatico, non c'è caso che nessuno se ne voglia staccare; ed è proprio come quando siete afflitto da un fignolo, o da altra noia consimile, che tutti sentono il bisogno di farvi carezze, e ci dànno allegramente del dito. L'Aldini non aveva ancora finito il suo

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