Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 58

Testo di pubblico dominio

Eleonora aveva pensato a tutto; non la trovarono mai in fallo, nè mai la colsero alla sprovveduta. Così vigile è l'amor materno, che aguzza l'ingegno alle creature più tarde. Del resto, non era tarda d'ingegno, la signora Eleonora; solamente un po' dubitosa, non ben sicura di sè; piccolo difetto che non istarebbe male, in guisa di correttivo, agl'ingegni più pronti. Una fissazione dell'ottima signora era questa, che le navi da guerra non dovessero prendere il largo altrimenti che a primavera, come le antiche galere. E per intanto vagheggiava l'idea che la corvetta non fosse pronta per la fine del gennaio. Ah, un altro mesetto di armamento! Si sarebbe potuto far assistere Federigo alle nozze di sua sorella. — Ma sì! — aggiungeva facetamente il signor Anselmo. — Vedrai che il governo seguiterà a non indovinarne mai una; e questa volta, per far dispetto alla moglie d'un commendatore, si sbriga. — Così ingannavano il tempo tutti e quattro; e due di essi ingannavano anche l'ansietà onde erano divorati. Alle nove in punto arrivò il conte Aldini, e la corvetta e il suo armamento passarono in seconda linea. Il signor Anselmo prese a discorrere di politica spicciola, come la recavano, per favorire la digestione dei popoli, i giornali della sera. Margherita parlò di teatri, facendoli presto piacere al nuovo venuto, che in verità non n'era mai andato pazzo, trovandoli tutti a lor volta nemici di qualche senso umano, o assordanti, o accecanti, o indigesti, o scipiti. Margherita conosceva già la teorica dell'Aldini, e rammentava di non averla neanche combattuta. Per quella sera, tuttavia, un pochino di controversia avrebbe fatto buon giuoco. — Sostenga lei un'opinione; — diss'ella; — io sosterrò l'altra. — È impossibile, signorina; — rispose Filippo — e sarà sempre impossibile tra noi. Se Ella esprimerà un pensiero diverso dal mio, io lascerò il mio per conformarmi subito al suo. — Perchè, signor conte? Le idee possono esser molte, e le opinioni diverse. — Vero; e può anche esser piacevole di abbracciar l'opinione.... dell'avversario. — Il quale, — ribattè Margherita, — non si troverà molto soddisfatto di vincere senza aver combattuto. — Verissimo; mi persuade; — conchiuse Filippo, dandosi tosto per vinto. — Ah, ora lo fa apposta; — notò Margherita. — Ma no! — Ma sì! — Ella ha ragione; — conchiuse Filippo una seconda volta. — E vede? — soggiunse, a mo' di commento, — vede, da questi piccoli esempi? Tra due che discutono, volendo ognuno di essi aver ragione, ce n'è sempre uno.... che merita di averla. E l'altro ha ragione a suo modo, rinunziando alla sua opinione. Vuol dire di no! Ed io son tanto lieto di darle ragione, che ancora una volta, e sempre, dirò come Lei. — Anch'egli, in questa piccola scherma, cercava d'ingannar la sua cura; una cura tanto più molesta al suo spirito, in quanto che doveva essere inerte, non obbligandolo a scuotersi, a darsi moto, per iscongiurare un gran guaio. Tutto era in mano di Margherita; ed ogni sua speranza era in lei. Che cosa aveva ella incominciato a fare? I suoi misteri del pomeriggio erano pieni di promesse; la sua allegrezza di quella sera egualmente. Ma poteva anch'essere un'allegrezza mentita; o non significar altro se non questo, che ogni lavoro di difesa o d'approccio della guerriera animosa era rimesso al domani. Così viveva ancor egli dubbioso, tra speranza e timore. Sulle dieci, mentre la conversazione languiva, si udì un rumore di passi frettolosi su per la scala. Bussarono all'uscio del salotto, ed entrò un cameriere annunziando il signor Antonio Brizzi. — Fate passare; — disse il signor Anselmo, alzandosi tosto per muovere incontro all'inaspettato visitatore. — Oh, bene! — Ma l'esclamazione di giubilo morì sulle labbra del signor Anselmo, al vedere il signor Antonio affacciarsi sulla soglia, pallido, anelante, e con gli occhi stralunati. — Che cos'è stato? — domandò allora. — Entri, la prego, e richiudiamo l'uscio. Per amor di Dio, non ci tenga in pena! — Il povero signor Brizzi durava fatica a contenersi. Parole e lagrime gli facevano nodo alla gola. — Una disgrazia.... — balbettò; — al palazzo Orseolo.... una grande disgrazia!... — XIX. Al palazzo Orseolo. Raimondo non era ancora tornato a casa, quando fu annunziato alla signora Zuliani l'arrivo della sua inaspettatissima suocera. N'ebbe una scossa di nervi, un tuffo di sangue al cervello, un rimescolo per tutte le fibre. Ma bisognava striderci, e andarla a ricevere. Le due donne si guardarono a lungo, dopo il saluto strettamente necessario; non si baciarono, non si strinsero la mano. La signora Adriana si presentava in sembiante di giudichessa. C'era tanta espressione di dolore in quella figura veneranda, che Livia ne fu sgomentita e umiliata. Ad un certo punto, essendo uscito il servitore, come soggiogata dallo sguardo severo della vecchia, si buttò ginocchioni, tentando di afferrarle la mano. — Mamma! — gridò, con voce lagrimosa. — Cessate! cessate! — disse la signora Adriana, ritraendosi. — Dov'è mio figlio? — Sarà a casa per le sette. Ma non mi perdonerete voi? — Non è mio ufficio, perdonare. Dio vede i cuori; Dio giudica le opere e le intenzioni; egli solo può perdonare; non io. — Livia chinò la fronte, avvilita. Si sentiva mancare, già sfinita com'era da quei due giorni terribili. Il giorno innanzi, Raimondo era venuto a pranzo, ma preceduto da una lettera, che fissava i termini delle loro relazioni, pel breve tempo che sarebbero ancora durate. In presenza delle persone di servizio si era mostrato tranquillo, come se niente fosse accaduto fra loro; aveva discorso di cose vane; poi, subito dopo il caffè, si era ritirato nella sua libreria. Ella, di tanto in tanto origliando agli usci, lo aveva sentito scrivere, rovistar carte, scrivere ancora fino alle undici, e poco dopo andarsene a letto. Fortuna che non erano giorni di ricevimento serale per lei, da obbligarla a sforzi di volontà, di padronanza sull'animo suo, che certamente non avrebbe potuto durare. Spossata, rifinita, era andata a letto tardissimo, passando la notte in un dormiveglia doloroso, pieno di tristi visioni e di oscuri terrori. Quel giorno, poi, a colazione, era stata la medesima scena. Egli, tranquillo al solito, non taciturno in presenza dei servi, aveva sparsamente condito il breve pasto con piccoli discorsi, e tutti di piccole cose. Aveva perfino toccato di affari, egli che in casa se n'era sempre astenuto; operazioni sbagliate del governo sulla rendita, conseguenti ribassi, fallimenti probabili, rallegrarono la conversazione domestica. Ella era disfatta, quel giorno, quasi sformata nel viso; tanto che la cameriera, osservandola, non aveva potuto trattenersi dal dirle: — Signora, si sente male? Vuole che mandiamo pel medico? — Che! che! — aveva risposto. — Sono i miei soliti sconcerti nervosi. Frutti di stagione! Che cosa potrebbe dirmi di nuovo il dottore? Stasera, per dormire e rifarmi, prenderò il cloralio. — La sua, frattanto, era una condizione intollerabile. Raimondo le aveva scritto, il giorno innanzi, di voler sciogliere la loro questione, presto, nel modo più netto e più degno, per la pace e per l'onore d'entrambi. Quale era il modo immaginato da Raimondo? Ah, lo sapeva ben lei! ed ora, capitava la suocera; non aspettata, non desiderabile, al certo, in quello stato d'angoscia. La signora Adriana, che a Venezia e nella casa del figliuolo era comparsa in sette anni tre volte, e da oltre un anno non si lasciava vedere, per qual cagione si presentava allora, senza neanche il pretesto di una occasione solenne? Chiamata da Raimondo, forse? Anzi senza il forse; non mostrava ella, appena arrivata, di saper tutto, o quasi? Ne faceva testimonianza manifesta la sua severità, che superava di tanto la freddezza consueta delle sue relazioni con la nuora; si aggiungevano a quella severità di contegno le sue parole così gravi, e lo

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Argomenti: breve tempo,    sguardo severo,    piccolo difetto,    pensiero diverso,    cura tanto

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