La divina commedia di Dante Alighieri pagina 30

Testo di pubblico dominio

incerti
di nostra via, restammo in su un piano
solingo più che strade per diserti.
Da la sua sponda, ove confina il vano,
al piè de l'alta ripa che pur sale,
misurrebbe in tre volte un corpo umano;
e quanto l'occhio mio potea trar d'ale,
or dal sinistro e or dal destro fianco,
questa cornice mi parea cotale.
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
quand'io conobbi quella ripa intorno
che dritto di salita aveva manco,
esser di marmo candido e addorno
d'intagli sì, che non pur Policleto,
ma la natura lì avrebbe scorno.
L'angel che venne in terra col decreto
de la molt'anni lagrimata pace,
ch'aperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch'el dicesse "Ave!";
perché iv'era imaginata quella
ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave;
e avea in atto impressa esta favella
"Ecce ancilla Dëi", propriamente
come figura in cera si suggella.
"Non tener pur ad un loco la mente",
disse 'l dolce maestro, che m'avea
da quella parte onde 'l cuore ha la gente.
Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea
di retro da Maria, da quella costa
onde m'era colui che mi movea,
un'altra storia ne la roccia imposta;
per ch'io varcai Virgilio, e fe'mi presso,
acciò che fosse a li occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso
lo carro e ' buoi, traendo l'arca santa,
per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a' due mie' sensi
faceva dir l'un "No", l'altro "Sì, canta".
Similemente al fummo de li 'ncensi
che v'era imaginato, li occhi e 'l naso
e al sì e al no discordi fensi.
Lì precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l'umile salmista,
e più e men che re era in quel caso.
Di contra, effigïata ad una vista
d'un gran palazzo, Micòl ammirava
sì come donna dispettosa e trista.
I' mossi i piè del loco dov'io stava,
per avvisar da presso un'altra istoria,
che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
Quiv'era storïata l'alta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
i' dico di Traiano imperadore;
e una vedovella li era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l'aguglie ne l'oro
sovr'essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro
pareva dir: "Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch'è morto, ond'io m'accoro";
ed elli a lei rispondere: "Or aspetta
tanto ch'i' torni"; e quella: "Segnor mio",
come persona in cui dolor s'affretta,
"se tu non torni?"; ed ei: "Chi fia dov'io,
la ti farà"; ed ella: "L'altrui bene
a te che fia, se 'l tuo metti in oblio?";
ond'elli: "Or ti conforta; ch'ei convene
ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova:
giustizia vuole e pietà mi ritene".
Colui che mai non vide cosa nova
produsse esto visibile parlare,
novello a noi perché qui non si trova.
Mentr'io mi dilettava di guardare
l'imagini di tante umilitadi,
e per lo fabbro loro a veder care,
"Ecco di qua, ma fanno i passi radi",
mormorava il poeta, "molte genti:
questi ne 'nvïeranno a li alti gradi".
Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti
per veder novitadi ond'e' son vaghi,
volgendosi ver' lui non furon lenti.
Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento per udire
come Dio vuol che 'l debito si paghi.
Non attender la forma del martìre:
pensa la succession; pensa ch'al peggio
oltre la gran sentenza non può ire.
Io cominciai: "Maestro, quel ch'io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, sì nel veder vaneggio".
Ed elli a me: "La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
sì che ' miei occhi pria n'ebber tencione.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
già scorger puoi come ciascun si picchia".
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi?
Di che l'animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla?
Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giugner le ginocchia al petto,
la qual fa del non ver vera rancura
nascere 'n chi la vede; così fatti
vid'io color, quando puosi ben cura.
Vero è che più e meno eran contratti
secondo ch'avien più e meno a dosso;
e qual più pazïenza avea ne li atti,
piangendo parea dicer: "Più non posso".
XI "O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,
laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogni creatura, com'è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de' suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s'affanna.
E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtù che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
Quest'ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro".
Così a sé e noi buona ramogna
quell'ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che tal volta si sogna,
disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei ch'hanno al voler buona radice?
Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.
"Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,
mostrate da qual mano inver' la scala
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;
ché questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco".
Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;
ma fu detto: "A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.
E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,
cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.
Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo già mai fu vosco.
L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.
Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti".
Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,
e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
"Oh!", diss'io lui, "non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte
ch'alluminar chiamata è in Parisi?".
"Frate", diss'elli, "più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato sì cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.
Di tal

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Argomenti: marmo candido

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