La divina commedia di Dante Alighieri pagina 11

Testo di pubblico dominio

siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono, e sempre mai
l'ovra di voi e li onorati nomi
con affezion ritrassi e ascoltai.
Lascio lo fele e vo per dolci pomi
promessi a me per lo verace duca;
ma 'nfino al centro pria convien ch'i' tomi".
"Se lungamente l'anima conduca
le membra tue", rispuose quelli ancora,
"e se la fama tua dopo te luca,
cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sì come suole,
o se del tutto se n'è gita fora;
ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va là coi compagni,
assai ne cruccia con le sue parole".
"La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni".
Così gridai con la faccia levata;
e i tre, che ciò inteser per risposta,
guardar l'un l'altro com'al ver si guata.
"Se l'altre volte sì poco ti costa",
rispuoser tutti, "il satisfare altrui,
felice te se sì parli a tua posta!
Però, se campi d'esti luoghi bui
e torni a riveder le belle stelle,
quando ti gioverà dicere "I' fui",
fa che di noi a la gente favelle".
Indi rupper la rota, e a fuggirsi
ali sembiar le gambe loro isnelle.
Un amen non saria potuto dirsi
tosto così com'e' fuoro spariti;
per ch'al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva, e poco eravam iti,
che 'l suon de l'acqua n'era sì vicino,
che per parlar saremmo a pena uditi.
Come quel fiume c'ha proprio cammino
prima dal Monte Viso 'nver' levante,
da la sinistra costa d'Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l'Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d'una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell'acqua tinta,
sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa.
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta.
Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta,
sì come 'l duca m'avea comandato,
porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond'ei si volse inver' lo destro lato,
e alquanto di lunge da la sponda
la gittò giuso in quell'alto burrato.
"E' pur convien che novità risponda",
dicea fra me medesmo, "al novo cenno
che 'l maestro con l'occhio sì seconda".
Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
presso a color che non veggion pur l'ovra,
ma per entro i pensier miran col senno!
El disse a me: "Tosto verrà di sovra
ciò ch'io attendo e che il tuo pensier sogna;
tosto convien ch'al tuo viso si scovra".
Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna
de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote,
però che sanza colpa fa vergogna;
ma qui tacer nol posso; e per le note
di questa comedìa, lettor, ti giuro,
s'elle non sien di lunga grazia vòte,
ch'i' vidi per quell'aere grosso e scuro
venir notando una figura in suso,
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
sì come torna colui che va giuso
talora a solver l'àncora ch'aggrappa
o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
che 'n sù si stende e da piè si rattrappa.
XVII "Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l'armi!
Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!".
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d'i passeggiati marmi.
E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e 'l busto,
ma 'n su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d'uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d'un serpente tutto l'altro fusto;
due branche avea pilose insin l'ascelle;
lo dosso e 'l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari né Turchi,
né fuor tai tele per Aragne imposte.
Come tal volta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi
lo bivero s'assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l'orlo ch'è di pietra e 'l sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
ch'a guisa di scorpion la punta armava.
Lo duca disse: "Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
bestia malvagia che colà si corca".
Però scendemmo a la destra mammella,
e diece passi femmo in su lo stremo,
per ben cessar la rena e la fiammella.
E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
gente seder propinqua al loco scemo.
Quivi 'l maestro "Acciò che tutta piena
esperïenza d'esto giron porti",
mi disse, "va, e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sian là corti;
mentre che torni, parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti".
Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.
Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
quando a' vapori, e quando al caldo suolo:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne' quali 'l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch'avea certo colore e certo segno,
e quindi par che 'l loro occhio si pasca.
E com'io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d'un leone avea faccia e contegno.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un'altra come sangue rossa,
mostrando un'oca bianca più che burro.
E un che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: "Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perché se' vivo anco,
sappi che 'l mio vicin Vitalïano
sederà qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fïate mi 'ntronan li orecchi
gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano,
che recherà la tasca con tre becchi!".
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che 'l naso lecchi.
E io, temendo no 'l più star crucciasse
lui che di poco star m'avea 'mmonito,
torna'mi in dietro da l'anime lasse.
Trova' il duca mio ch'era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: "Or sie forte e ardito.
Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male".
Qual è colui che sì presso ha 'l riprezzo
de la quartana, c'ha già l'unghie smorte,
e triema tutto pur guardando 'l rezzo,
tal divenn'io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
I' m'assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com'io credetti: "Fa che tu m'abbracce".
Ma esso, ch'altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch'i' montai
con le braccia m'avvinse e mi sostenne;
e disse: "Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai".
Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
e poi ch'al tutto si sentì a gioco,
là 'v'era 'l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l'aere a sé raccolse.
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
per che 'l ciel, come pare ancor, si cosse;
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui "Mala via tieni!",
che fu la mia, quando vidi ch'i' era
ne l'aere d'ogne parte, e vidi spenta
ogne veduta fuor che de la fera.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
Io sentia già da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
per che con li occhi 'n giù la testa sporgo.
Allor fu' io più timido a lo stoscio,
però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti;
ond'io tremando tutto mi raccoscio.
E vidi poi, ché nol vedea davanti,
lo scendere e 'l girar per li gran mali
che s'appressavan da diversi canti.
Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali,
che sanza veder logoro o

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