Sodoma e Gomorra di Docteur Jaf pagina 11

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intimamente, quando gli piaceva. Brantôme ha voluto dimostrare che questa impudicizia della corte non aveva nulla di biasimevole. Così una dama scozzese di buona famiglia, dice questo storiografo, la quale aveva avuto un figlio naturale da Enrico II confessava: «Ho fatto quanto ho potuto per essere ingravidata dal re, e me ne sento onoratissima e felice; e direi quasi che il sangue reale ha un non so che di più soave del liquore comune, tanto me ne sono trovata bene; senza contare i regali che ne ho avuti», e Brantôme aggiunge: «Questa dama, come del resto molte altre, erano in questa opinione che per dormire col re, non si era punto diffamate e che sono disoneste solo quelle che si danno ai piccoli, ma non ai grandi re e gentiluomini». Dopo simile ingegnosa teoria non ci deve meravigliare se molte signore invidiavano la vita delle cortigiane di professione. Brantôme racconta che una cortigiana venne a Roma per dare lezioni alle dame di corte, ella diceva: «Il nostro mestiere è tanto caldo, quando si è ben appreso, che si ha mille volte più piacere di praticarlo con parecchi che con un solo». Enrico II fu più costante in amore che Francesco I: vi era gente abituata a confondere Diana di Poitiers con la regina. Il re si era tanto familiarizzato col concubinato, di cui andava superbo, che non temeva di uscire a cavallo avendo in groppa abbracciata la duchessa di Valantinois. L'adulterio aveva preso tali vaste proporzioni, che le figlie, vedendo le madri così liberamente divertirsi, facevano quanto era in loro per maritarsi presto ed imitarle. Brantôme dice che nella maggior parte dei matrimonii, fatti a corte, raramente la sposa arrivava al talamo, senza che il re non le avesse prima insegnato praticamente l'arte della procreazione. «In quanto alle sfrontate, narra Sauval, le une si ubbriacavano di voluttà prima di maritarsi; le altre avevano l'abilità di divertirsi in presenza delle governanti e delle madri stesse, senza essere scoperte; poi per coprire il mistero, si era ricorso a mezzi esecrabili; altre (e ciò era comune tra le vedove e le zitelle) usavano certi oggetti, come quei quattro che Caterina de' Medici trovò nello scrigno di una sua cameriera. Qualche autore francese vorrebbe far credere, anzi afferma, che tali utensili di corruzione fossero fabbricati esclusivamente in Italia, donde si esportavano in Francia. Ciò però è molto dubbio, e sarebbe per lo meno strano, quando sappiamo con certezza che all'epoca di oggi è la Francia e propriamente Parigi che dà un commercio eccezionale in simili articoli e che ne fornisce si può dire il mondo intero! I palazzi reali di allora erano ornati da pitture lascive, ed i libri di Pietro Aretino andavano per le mani di tutti. La pittura lubrica cominciò ad andare in voga sotto il regno di Francesco I. Il conte di Chateauvillain aveva fra i rari e bei quadri della sua galleria, una di queste pitture libidinose, di cui scrive Brantôme: «in essa erano rappresentate parecchie belle donne nude al bagno e che si palpavano, si carezzavano, si solleticavano, e ciò che più monta, si divertivano in modo da lasciar vedere le parti più secrete così bene e provocantemente che una fredda reclusa od un eremita si sarebbe riscaldato e commosso.» Così una grande dama della corte, che visitava questa galleria, essendosi fermata a contemplare tale quadro, dopo poco disse al suo amante: «Oh! è troppo pericoloso di venire qui! saliamo presto in carrozza, corriamo a casa mia, giacchè ho bisogno di andare a calmare il fuoco che mi brucia le visceri!» Del resto i mariti non potevano nulla rimproverare agli stravizii delle loro mogli, giacchè essi stessi non tralasciavano nulla per corromperle. «I mariti—dice Brantôme—bordellano più colle loro mogli, che non i ruffiani con le donnacce da trivio». Questo stesso autore cita pure una bella ed onesta signora che aveva nel suo gabinetto intimo gli albums illustrati dell'Aretino: «Un gentiluomo innamorato di lei, venuto a conoscenza di tal circostanza, se ne augurò bene pel suo successo, ed infatti quando conquistò la bella signora, ebbe ad accorgersi che da tali opere ne aveva cavato ottime lezioni per la pratica». Ai tempi di cui ci occupiamo il letto coniugale non era neppur circondato da un pudico velo. I mariti non arrossivano d'introdurre nella loro famiglia questi libri, queste stampe, queste pitture oscene, che facevano della sposa la più perfetta cortigiana, e che offrivano energici stimolanti all'adulterio. Sotto i regni dei tre figli di Caterina de' Medici, Francesco II, Carlo IX e Enrico III, l'immoralità fu spinta tant'oltre che mai si può dire sia andata così lontano, si ha diritto di credere che mai l'arte di governare gli uomini avesse impiegato tanti mezzi e così vergognosi come quelli di cui questa regina madre si servì durante il lungo periodo del suo regno di convulsioni civili e religiose. Fu ella per la prima che ebbe damigelle d'onore addestrate a diventare al bisogno gli impuri istrumenti dei suoi disegni politici. La depravazione di simil corte è un fatto confermato da tutti gli storici. Caterina de' Medici insegnò abilmente alle dame e damigelle che componevano la sua corte, e che formavano un corteggio, chiamato Lo squadrone volante della regina, la strategia galante. «Un famoso prelato della nostra corte, dice Sauval, ci assicura che Caterina de' Medici aveva un serraglio di damigelle che non l'abbandonavano mai, e che rappresentavano tante calamite per attirare i cuori dei principi e dei signori del reame; e conoscerne i più intimi segreti; e che questa associazione di gentildonne seppe sì ben corrompere i capi dei partiti nel 1579, e soprattutto Enrico IV, che avendo con le loro moine ingaggiati quelli della religione in una nuova guerra civile, fu chiamata la guerra degli amanti». Il duca d'Aubignè definisce questo squadrone volante una specie di rete che la regina tendeva sul mare della politica. La licenza del linguaggio alla corte era il riflesso dei suoi costumi depravati. Il proverbio creato in quell'epoca: Puttana come una principessa è la migliore conferma di quanto abbiamo esposto. Enrico IV non fu superato da nessun personaggio della sua epoca in fatto di libertinaggio, e, quali che fossero, d'altronde, le grandi qualità di questo principe, si è obbligati a constatare che la storia dei suoi amori e delle sue sregolatezze forma una parte integrante della storia del vizio al secolo XVI. Questo principe non arrossiva di abbassarsi fino alle cameriere ed alle serve. Aveva contratto un male venereo, abbandonandosi in una scuderia di Agen, con la concubina di un palafreniere; e appena guarito, fu sorpreso nella camera di una serva, a disputarsela con un valletto. Sono celebri i suoi amori con la Fosseuse, Fleurette, Martine, Ester Imbert e mille altre. E dicesi che egli avesse così pervertito il senso genesico da non poter avvicinare una donna, se questa non emanasse l'odor del proprio sesso, il quale preferiva sempre al più soave profumo. Il lusso eccessivo, che aveva invasa la corte, non poteva non nuocere i buoni costumi. Sauval racconta un piccante aneddoto, che ci apprende il vergognoso traffico d'amore praticato dalle grandi dame per la smodata passione del lusso. Un gran prevosto dell'hotel del re perseguitava da un certo tempo una illustre principessa, presso la quale aveva sempre trovato disprezzo e rifiuti; ma infine entrarono in trattative, e fu deciso che una tappezzeria, che la dama desiderava moltissimo, sarebbe il premio di una notte che ella accorderebbe al prevosto. Questi ebbe la cattiva fede al mattino di non mantenere la promessa, «perchè la notte trascorse in modo, per colpa sua, che egli uscì dal letto così come vi era entrato» da ciò nacque discordia e contestazioni in fra le parti. Si scelse a giudice la moglie di un segretario di stato, la quale chiuse la vertenza, a condizioni «che tutte e due sarebbero andate ad acquistar la tappezzeria e che

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Argomenti: certo tempo,    sangue reale,    lungo periodo,    dama scozzese,    figlio naturale

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