Rinaldo di Torquato Tasso pagina 8

Testo di pubblico dominio

che sì gravi colpi a l'altro porge, e sì lo preme, lo raggira e stanca, ch'egli loro la strada a forza cesse, come che regger più non si potesse. Canto terzo 1 Poi che partir l'Ispano e 'l buon Rinaldo, onde già vinto avean l'estran guerriero, l'estran, cui 'l genitor nomò Ransaldo, e poi cognominar gli effetti il Fiero, per molte parti, or al lucente e caldo ciel giro errando, or a l'algente e nero; né giamai ritrovar ventura alcuna nel chiaro giorno, o ne la notte bruna. 2 Scontrano al fin un dì, la manca sponda calcando ch'a la Senna il corso affrena, un cavalier che l'arme sue circonda con sopravesta d'or trapunta e piena, cui ne lo scudo la maritim'onda mostra il mezzo più bel de la Sirena. Grande è 'l guerriero e di robuste membra, e tutto nerbo ed osso in vista sembra. 3 Questi, scorto Rinaldo: — Ah, pur t'ho giunto, grida, malvagio cavalier villano! — Fu ciò dire e ferir tutto in un punto: grave il ferir con l'una e l'altra mano. Raddoppia il colpo, e ne la tempia a punto il garzon coglie, e già no 'l coglie in vano: ché lui, ch'allor di ciò non si guardava, da l'arcion quasi tramortito cava. 4 Rinaldo, ch'al colpir doppio e possente s'era a Baiardo su la groppa steso, risorto su dopoi, come si sente in cotal modo ingiustamente offeso, raggirando il destrier sprona repente tutto di rabbia e di furore acceso; sprona il destriero al suo nemico addosso, come verso il cinghial suole il molosso. 5 Ma quel con un fendente al capo mira, e poi la spada in giù fischiando abbassa; l'altro il suo bon corsier da parte tira, sì che senza toccarlo il colpo passa; indi ver' lui velocemente il gira, e sotto gli si caccia e l'urta e squassa; poi, fuor tratto il pugnale, il destro fianco percotendo gli piaga e 'l braccio manco. 6 Lo stran col pomo de la spada il tocca ne le tempie, nel viso e ne la testa, con forza tal ch'a terra ogni altra rocca avria gittata, e lui conquassa e pesta; e gli trae fuor per l'elmo e da la bocca sangue e dal naso. Intanto non s'arresta Rinaldo, ma col ferro il destro ciglio di piaga doppia a quel rende vermiglio. 7 Mentre fan pugna i due guerrieri atroce, atroce pugna ancor fanno i destrieri: e questo a quello, e quello a questo noce con urti, calci e morsi orrendi e feri. Ma Baiardo a la fin, il più feroce tra gli animai, non solo intra' corsieri, manda con l'urto sol l'altro sossopra, e sotto va 'l signor, resta egli sopra. 8 Sopra resta il destrier, sotto 'l signore, con la diritta gamba e 'l dritto braccio; opra egli per levarsi arte e vigore, né puote uscir però da quello impaccio. Intanto il sangue, da le vene fuore fuggendo, reso omai l'avria di giaccio, ma Rinaldo gentil non men che forte non soffrì che 'n tal modo ei gisse a morte. 9 Smonta il barone e lo disgrava, e ancora con mano il leva ond'egli steso giace; poi si ritira indietro e gli dice: — Ora finiam la guerra, se così ti piace. — Quegli che 'n stato tal si trova allora, che bramar dee più ch'il pugnar la pace, con atto umile il capo a lui chinando, gli porse per lo pomo il forte brando, 10 e gli dice: — Guerrier, mi chiamo vinto non men che di valor, di cortesia, ché già sarei miseramente estinto se non m'aitava tua bontà natia; e credo che l'altr'ier tu fussi spinto d'altra cagione, e non da villania, a farmi quanto allor tu mi facesti, quando i nostri cavalli ambo uccidesti. — 11 A tai voci le ciglia il giovinetto per meraviglia inarca, e dice poi: — Non fu 'l mio onor mai sì da me negletto, che 'l ferro oprassi contra i destrier tuoi, perché d'ogni guerriero è 'ndegno effetto piagar cavalli de' nemici suoi: né mai t'offesi ancor, s'io non vaneggio, né mai visto altra volta aver ti creggio. — 12 Questo sentendo lo stranier barone, per maraviglia anch'egli immoto resta, e intentamente il buon figliol d'Amone prende a mirar dal piè sino a la testa. Tutto con gli occhi il cerca, e la cagione de l'error chiara scorge e manifesta: scorge lo scudo, ov'è dipinto Amore, esser stato cagion di questo errore. 13 Onde dice: — Signore, un cavaliero tanto villan quanto tu sei cortese, ch'anco ei ne va di quell'insegna altero ch'adorna te, fu quel che già m'offese; ed io cui l'ira e 'l giusto sdegno e fero, il distinguer da l'un l'altro contese, da lo scudo ingannato al primo sguardo a ferirti non fui pigro né tardo. — 14 Voleva oltre seguire e 'l tutto dirgli di quel villan guerriero a parte a parte; ma Rinaldo che vede il sangue uscirgli in molta copia da più d'una parte, vol, pria che segua il resto a discoprirgli, ch'Isolier, che sapea la medica arte, la qual già tra guerrieri in pregio fue, la cura prenda de le piaghe sue. 15 Poi che d'ogni sua piaga ei fu curato, così ragiona il cavaliero estrano: — Io me 'n venia là donde assediato si tien da Carlo il popolo africano. Ne l'orride alpi a pena avea passato, che donzella trovai d'aspetto umano, da cui pregato fui ch'io la menassi al suo castel, ch'in riva a Senna stassi. 16 Io gliel promisi, e di più ancor m'offersi d'assicurarli in ogni parte il calle; così insieme n'andiam, luoghi diversi lasciandoci ad ognor dopo le spalle, ove per lei fatiche aspre soffersi. Giunghiamo al fine un giorno in una valle: quivi scontriamo un cavalier feroce, il qual mi disse con superba voce: 17 “Dammi tosto, guerrier, questa donzella, né punto replicare a quel ch'io chieggio: perché poscia non sol perderai quella, ma t'avverrà, se son qual fui, via peggio. Dama sì vaga, sì leggiadra e bella, a te non si convien, per quel ch'io veggio, quanto essa è bella, ed io gagliardo sono: tu per lei sembri inutile e non buono.” 18 All'altero parlar di quel superbo diedi io risposta qual si convenia, dicendo con la lancia: “Or mi riserbo a provar quale in te la forza sia; ben crederò che la possanza e 'l nerbo risponder deggia a la tua cortesia.” Che più parole? Al fine si viene a giostra, e ognun di noi la sua virtù qui mostra. 19 Il primo incontro, ancorché fero e greve, nullo trasse di noi fuor del cavallo; ben nel petto colui piaga riceve, che 'l rosso aggiunge al color verde e giallo. Egli, ch'a ciò conosce che non leve il vincer fora, accorto del suo fallo, ver' me tornando con l'intera lancia passò scortese al mio destrier la pancia. 20 Poi sotto la donzella il palafreno uccide ancora in un medesmo punto; e veloce se 'n va sì che 'l baleno e 'l vento a pena ancor l'avrebbe giunto. A piedi io resto di stupor ripieno, e d'ira insieme e di dolor compunto; e come accompagnata ebbi colei, in cercar lui rivolsi i passi miei. 21 Cinque volte ha la notte il suo stellato manto disteso per lo cielo intorno, ed altretante Febo a noi recato ha nel candido seno il lieto giorno, da ch'io cotale inchiesta ho cominciato per vendicarmi de l'avuto scorno; né ritrovar di lui vestigi od orme ho mai potuto, o pur chi me n'informe. — 22 Ciò sentendo Rinaldo, allor s'avisa che questi il cavalier vada cercando che di verde e di giallo ha la divisa, cui lo scudo d'amor tolse ei giostrando; onde per lui gradir, narra in qual guisa ebbe lo scudo, ed in che luogo e quando. Del campo chiede poi novella alcuna, e come affliga i Saracin Fortuna; 23 e come ei, che guerrier d'alto valore gli sembra in vista ed a le fatte prove, dal campo si diparta, ove 'l suo onore molto più chiaro far potria ch'altrove. E quegli a lui: — Di questo dubbio fuore trarrotti, e la cagion ch'a ciò mi move pienamente dirò: ma pria ti piaccia ch'a la prima dimanda io sodisfaccia. 24 Tien Carlo la campagna in suo domino, e le strade del mar liquide, e 'l lito; ne' forti luochi il campo saracino si sta dentro rinchiuso e mal munito; né soccorso si trova alcun vicino che far lo possa in tal periglio ardito; e scorge, omai giunto a l'estrema sorte, in faccia orrenda la futura morte. 25 Di

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