Rinaldo di Torquato Tasso pagina 13

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e gli va dietro in fretta, ma sì veloci van l'accese rote che con gli occhi seguirlo a pena il puote. 60 Rinaldo s'ange e di furor s'infiamma, dar non potendo a la sua donna aita, che se ne va qual timidetta damma ch'aggia il lupo crudel pur mo rapita; misero! in lui non è rimasa dramma de la gioia ch'avea somma infinita; ma fatto omai tutto dolore e rabbia, freme co' denti e morde ambe le labbia. Canto quinto 1 Già sparito era 'l carro, e nube densa sparso per l'aria avea d'oscura polve, che più sempre s'ingrossa e si condensa, sì ch'il puro seren del cielo involve, quando alzato il corsier con furia immensa calci accopiando in giro si rivolve, ed è presto a lo spron, presto a la mano, ché non gli noce più l'incanto strano. 2 Rinaldo alquanto il cor dal duolo oppresso solleva, poi che 'n piè risorto il vede, e per lo segno c'han le rote impresso altamente nel suol lo sprona e fiede. Quel cangia i passi sì veloce e spesso che non serba il terreno orma del piede, e ne l'aria sospeso augel rassembra, che con l'ali sostenga alto le membra. 3 Ma fermezza maggior la nube prende a poco a poco, e maggior spazio abbraccia, tal che vista mortal più non s'estende, benché di lince fosse, oltra duo braccia. Intanto pioggia ruinosa scende, e si turba del ciel la vaga faccia: il paladin non sa dove si vada, né però punto neghittoso bada; 4 ma con giudizio di Baiardo il corso regge ed indrizza, e sempre inanzi passa, lo sprone oprando e rallentando il morso, sì che 'l cavallo respirar non lassa. Al fine, allor che a' suoi corsieri il dorso Febo disgrava e sotto 'l mar s'abbassa, s'aprì la nube e 'n aria si disperse, ed ei né 'l carro né l'Ispano scerse. 5 Nulla egli vidde se non piante ed ombre, e la Senna ch'altera il suol diparte. Or chi fia mai che con la penna adombre, e co l'inchiostro pur dissegni in parte qual varia passion l'animo ingombre al cavaliero in sì remota parte? Ciò ben eccede ogni poter mortale: tu sol sei, Febo, al gran soggetto eguale. 6 Fu per uscir di sé, fu per passarsi col proprio ferro il tormentato core; fu per morir di duol, fu per gittarsi, sì che s'immerga nel profondo umore. Sospiri accesi a stuol per l'aria sparsi, gemiti tratti dal più interno fuore, stridi e querele in lamentevol suono: di quel ch'ei sente i minor segni or sono. 7 Ma la speranza, che non prima manca in tutto altrui che manchi ancor la vita, benché debole sia, benché sia stanca, e quasi oppressa omai, non che smarita, pur quanto può s'inalza e si rinfranca e gli è contro al dolor schermo ed aita; e tai cose nel core a lui ragiona, ch'a fatto in preda al duol non s'abbandona; 8 ma determina in fin di gir cercando Clarice bella ovunque Apollo illustri, e quando il verno imbianca i campi, e quando Flora gli orna di rose e di ligustri, né, perché a lui più volte il sol girando rapporti in sen gli anni fugaci e i lustri, lasciar l'impresa, se non trova prima lei che de' suoi pensier si siede in cima; 9 ché poi non teme, se trovar la puote, di non la riaver mal grado altrui, benché quanti guerrier son tra Boote ed Austro fusser giunti ai danni sui; ché già gli son l'alte sue forze note, e da l'amor l'ardir s'avanza in lui. Con tal pensier la via prende a traverso negli amorosi suoi pensier sommerso. 10 Così ne va ne le sue cure involto, e se tallor riscontra alcun per via, no 'l mira e non gli parla, e quasi tolto la favella e 'l veder par che gli sia; ma fisso e intento ne l'amato volto tutt'altro e insieme sé medesmo oblia; e se pur scorge alcun, a lui novella richiede sol de la sua donna bella. 11 Mentre da' suoi martiri accompagnato camina pur, venir d'appresso sente voce che sembra d'uom mesto e turbato, che gli fiede l'orrechie in suon dolente. L'animoso guerrier verso quel lato sprona l'agil cavallo immantinente, forse anco scorto da speranza vana, che dagli amanti mai non s'allontana; 12 ed un vago e bellissimo garzone vide che sotto un pin steso giacea, ed era di sua età nella stagione sacra e dicata a la ciprigna dea, quando a sua voglia Amor di noi dispone: né del fiorir del pelo in lui parea pur segno alcun, ma netto e bianco il mento avea, qual terso avorio o puro argento. 13 Involto in pastoral candida pelle sparsa di nere macchie egli si stava, e le chiome qualor lucide e belle mirto ed alloro in un gli circondava; i ben formati piè, le gambe snelle sino al ghinocchio ricoprendo ornava di cuoio azuro, e quel con aurei nodi era da poi legato in mille modi. 14 Tal forse Endimione a Cinzia parve, qualor dal primo giro ella discese, di sogni cinta e di notturne larve, e seco l'ore dolcemente spese. Tal fuor de l'ocean sovente apparve, d'un candido splendor le gote accese, la stella cara a l'amorosa diva, che 'l giorno estinto innanzi tempo aviva. 15 In così dolci modi e sì pietosi si lamentava il pastorello adorno, ch'avria commossi ancor gli orsi rabbiosi ove affetto gentil non fa soggiorno. Avea le guancie e gli occhi rugiadosi, gli occhi ch'apriano quasi un novo giorno; e co' caldi sospir l'aria accendea, che dal profondo del suo cor traea. 16 — Lasso! dicea, perché venisti, Amore, Amor d'ogni mio bene invidioso, con le tue fiamme a tormentarmi il core e turbar la mia pace e 'l mio riposo? Deh! qual gloria te aspetti e qual onore, s'io tale schermo alcun non far pur oso, s'a pena l'arco steso, a pena accinto eri a ferir, ch'io mi rendei per vinto? 17 Chi crederia che gli tuo' strali infesti fussero a pastoral rustico petto, non sendo quei di Giove unqua molesti a l'ignobil capanna, al basso tetto? Ma poi che far, oimè! tu pur volesti così vil pruova in così vil suggetto: non dovevi il mio core in luoco porre u' senza speme ognor se stesso aborre. 18 Tu, perfido signor, tu disleale, che sotto ombra di ben copri il mal vero, oggetto desti impare e diseguale, onde a pieno m'affliga, al mio pensiero. Deh! mie stelle crudeli, or quando tale scempio fu visto e così strano e fero? Ché dove in altri amor da speme nasce, dal non sperar in me s'aviva e pasce. 19 Segue il rozo monton la pecorella, scorto da speme, per gli erbosi campi; segue il colombo a la diurna stella la cara amica ed a' notturni lampi; combatte il toro a la stagion novella da speme tratto, e par che d'ira avampi: sempr'è speranza, ov'è d'amor il foco, quella in me no, ma sì ben questo ha loco. — 20 Mentre in soavi note ei si dolea, stava Rinaldo a le querele intento, e la pietà che del fanciullo avea maggior in lui rendeva il suo tormento, ch'a pensar ai suoi casi il conducea, al suo perduto bene, al gaudio spento. Poi che si tacque, a lui cortese disse, le luci avendo nel bel volto fisse: 21 — Vago garzon, che 'n sì bel modo fuora mostri l'alto dolor che in te s'asconde, e ti lagni d'amor, ti lagni ancora de l'empie stelle a te poco seconde, e nel tuo lamentar parte tallora tocchi de le mie piaghe alte e profonde: deh! se il ciel ed Amor ti sia cortese, la cagion del tuo duol fammi palese. 22 Io sono un cavalier cui similmente è il destino ed Amor crudo e spietato, ché vivo ognora in mezzo 'l fuoco ardente, poco a me stesso e meno ad altri grato. Narra dunque il tuo duol securamente ad uom che da egual pena è tormentato, perché recar ciascun dessi a guadagno ne le sventure sue trovar compagno. — 23 A quei detti cortesi il giovinetto, verso Rinaldo alzando il viso bello, per cui rigando il puro avorio schietto scendea nel grembo un tepido ruscello, gli disse: — Cavalier, s'hai pur diletto d'udir quanto Amor siami iniquo e fello, e quanto la Fortuna empia ed acerba, dal corsier scendi e posati in su l'erba; 24 ch'io te 'l dirò, poiché, qual dici, sei servo d'Amore, ed ei di te fa scempio. Ma vedrai bene al fine che i casi miei son senza paragone e senza essempio, e che quel duolo onde gir carco déi, è

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