Rinaldo di Torquato Tasso pagina 30

Testo di pubblico dominio

Sovra un gran carro allor tosto appario, tratto da quattro augei di forma ignota, un'antiqua matrona all'improviso, venerabile gli occhi e grave il viso. 28 Era costei Medea l'incantatrice, sorella al genitor de la regina, che per darle venia, fida adiutrice, in tanto mal remedio e medicina; ché già del caso occorso all'infelice e dell'empia sua voglia era indovina, e per giunger a tempo in suo soccorso avea su questo carro il ciel trascorso. 29 Come entra e vede la real nipote, che di nuovo il pugnal volea ritôrre, adosso le si stringe, onde non puote ai suo crudel disegno effetto porre. La spruzza alquanto poi gli occhi e le gote con un liquor ch'al suo martir soccorre; e mentre a lei di sonno i lumi aggrava, d'ogni soverchio affanno il cor le sgrava. 30 La maga, che sapea le più secrete cose, né l'era alcun sentier conteso, l'incantato liquor dal fiume Lete a questo effetto prima avea già preso, il qual potea con dolce alma quiete le membra ristorar e 'l cor offeso. Ma la regina sopra 'l carro pose, come dormendo i rai degli occhi ascose. 31 La pon sul carro ed ella ancor v'ascende, e di sua propria man regge la briglia. Quel rato vola e l'aria seca e fende, e dov'essa l'indrizza il camin piglia: né sì veloce in giù si cala e scende l'augel che tien nel sol fisse le ciglia, né sì veloce al ciel sospinto sale razzo dal fuoco, o pur da l'arco strale. 32 Giace un'isola in mar oltra quei segni, che per fin pose a' naviganti Alcide, ove agli audaci ed arrischiati legni Calpe in due parti l'ocean divide, in cui par che la gioia e 'l gaudio regni, così d'ogni vaghezza adorna ride; in cui scherzando co' fratelli il Gioco, rende più bello e dilettoso il loco. 33 Quivi alcun narra che de' chiari eroi le stanze sian da Giove a lor concesse, poscia che l'alme degli incarchi suoi sgravate sono, ond'eran dianzi oppresse. Quivi null'è che l'uom mai punto annoi, lieto divien ciascun che vi s'appresse; e perché il luogo fa sì strano effetto, l'isola del Piacer egli vien detto. 34 La maga a questa parte il carro inchina, e come giunta v'è, tosto l'arresta, e posa sovra l'erbe la regina che dal salubre sonno era omai desta. Non più la punge l'amorosa spina, non più 'l perduto ben or la molesta: ben fisso in mente tien l'avuto danno, ma non però ne può sentir affanno. 35 In questo luoco a cui benigno il cielo con man più larga le sue grazie infonde, a cui d'intorno il gran signor di Delo rai più temprati e bei sparge e diffonde, ove fioriscon gemme in aureo stelo, d'argento i pesci e di cristal son l'onde, Medea ritenne la nipote amata seco, ch'ivi era d'albergar usata. 36 Intanto al suo camin pronto e veloce va con Florindo il gran figliuol d'Amone, avendo vinto già lo stuol feroce ch'osò di venir seco al parangone; e perché 'l vecchio amor lo scalda e coce, di tornar in Europa ei si dispone, lasciando Media e le contrade a tergo, ove genti infideli han loro albergo. 37 Verso Armenia costor prendon la via, poi c'han tutta la Media attraversata; verso Armenia maggior, che 'n cruda e ria pugna avean dianzi del suo rege orbata. Passan quella ed Assiria, ed in Soria giungon, che Siria fu già pria nomata; quivi a Baruti in nave al fin intraro, essendo il mare e 'l ciel tranquillo e chiaro. 38 Scorsero, poi che si fidaro a l'acque, e le spiegate vele ai venti apriro, l'isola vaga che già tanto piacque a l'alma dea che regge il terzo giro; e quella ov'il gran Giove in culla giacque, e la Morea non lunge indi scopriro, con la Sicilia, ove l'aeree fronti stendon su l'onde i tre famosi monti. 39 Mentre ne vanno al bel camin contenti i cavalier, gli occhi girando intorno, tien l'accorto nocchiero i lumi intenti nel cheto ciel di mille fregi adorno: mira egli i duo Trioni, astri lucenti, ed Orione armato a l'altrui scorno, e con l'Iadi poggiose il pigro Arturo, sovente a' naviganti infesto e duro. 40 Contempla il volto de la luna ancora, e rosso il vede e tutto acceso in vista: tal parve forse per vergogna allora ch'ignuda fu ne le fresch'onde vista: onde il nocchier si turba e si scolora, e ne rende la mente afflitta e trista; d'oscura nube intanto ella si vela, e le bellezze sue nasconde e cela. 41 Ecco precipitose ir giù cadendo più stelle, e 'l lor camin lasciar segnato, come razzi talor, ch'al ciel salendo caggion da poi che l'impeto è mancato. Allor grida il nocchier: — Lasso! comprendo che ne sfida a battaglia Eolo turbato. — In questa per l'ondoso umido mare guizzante schiera di delfini appare. 42 Egli l'orecchie ad ogni suono intente porge, e raccolto in sé sospira e tace, e fremer l'onda dal più basso sente, sì come fiamma suol chiusa in fornace, che, mentre esalar cerca e violente scorre, il luogo di lei non è capace. Strider strepito egual s'ode non meno di Giunon per l'oscuro aereo seno. 43 Ma già l'atra spelonca Eolo disserra, scioglie i venti, gli instiga e fuor gli caccia; vago ognun di costor d'orribil guerra primo essere a l'uscir ratto procaccia; trema al furor tremendo, e par la terra che d'immobile omai mobil si faccia; e, qual tra gli elementi or nasca amore, il tutto involve un tenebroso orrore. 44 Sin dal suo fondo il mar sossopra è mosso, e vien spumoso, torbido e sonante; l'aer da varie parti allor percosso si veste un novo orribile sembiante. Il nocchier, che venir si vede adosso tanti fieri nemici in un istante, s'arma e s'accinge a la dubbiosa impresa, ed invita i compagni a far diffesa. 45 Tosto l'ignavo stuol, ch'a nulla è buono, e i marinar col suo timor offende: ove non veda il mar, non n'oda il suono, poi che gli è commandato, al basso scende. Altri i lini maggior, che sciolti sono, cala, e solo il trinchetto il vento prende; altri col fischio altrui commanda e legge gli impon, sì ch'a sua voglia ognun si regge. 46 Ma che più giova omai l'industria e l'arte? Sì sempre cresce il verno impetuoso, e l'onda il pin da l'una a l'altra parte scorre qual capitan vittorioso, e fuor seco trarrebbe a parte a parte gli uomini tutti nel suo fondo algoso, se per non esser preda a l'acque sorde non s'afferrasser quelli a legni, a corde. 47 Il tempestoso mar sovente in alto cotanto spinge i flutti suoi voraci, che par ch'al re del ciel movano assalto Nettun superbo e gli altri dei seguaci. La barca allor con periglioso salto portata è in su presso l'eteree faci; scorge, da l'onde poi spinta al profondo, tra duo gran monti d'acqua il terren fondo. 48 Né men de' venti è formidabil l'ira, né men l'afflitta nave urta e conquassa, la qual di qua di là sovente gira come sovente ancor s'alza ed abbassa. Borrea a la fin con tal fierezza spira che l'arbore maggior rompe e fracassa, e qual gelido egli è, tal manda al core de' naviganti un gelido timore. 49 Ahi! chi narrar potrebbe i varii effetti che fanno i venti e fan l'onde sonanti? Deh! chi mai dir potria gli interni affetti de' mesti e sbigotiti naviganti? Tutti rivolgon nei dubbiosi petti quella morte crudel c'hanno davanti, e veggon lei ch'in spaventosa faccia orribil gli sovrasta e gli minaccia. 50 Sospira altri la moglie, altri il figliuolo, in cui solea già vagheggiar se stesso; altri il suo genitor, che vecchio e solo lasciò, né men da povertade oppresso; altri de' cari amici il fido stuolo, ch'anzi il suo fin veder non gli è concesso; altri, cui cura tal punto non preme, piange sé solo e di sé solo teme. 51 Molti con menti poi devote e pure giungon le palme e levan gli occhi al cielo ma lor l'han tolto, oimè! le nubi oscure, e 'l disteso d'intorno orrido velo. Sorgon tal volta in lor nove paure, e gli scorre per l'ossa un freddo gielo, s'avien che quel si mostri in vista acceso, quasi egli abbia i lor preghi a sdegno preso. 52 Rinaldo fatto avea nel palischermo de' marinari il più sagace intrare, ch'in quel volea, come a

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Argomenti: soverchio affanno,    dolce alma,    salubre sonno,    umido mare,    periglioso salto

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