La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni pagina 16

Testo di pubblico dominio

dal suo appartamento. DORALICE Signor no, non vengo. Dite alla vecchia, che se vuol venga lei. ISABELLA Sfacciatella, a me vecchia? DORALICE Signora giovinetta, la riverisco. (parte) ISABELLA O via lei, o via io. (parte) PANTALONE Oh poveretto mi! Coss'è sta cossa? CAVALIERE La signora Doralice ha ragione. DOTTORE Avete sentito vostra figlia? (a Pantalone) PANTALONE Oh che donne! Oh che donne! ANSELMO (Dall'appartamento d'Isabella) Le mie medaglie, le mie medaglie. Mai più m'intrico con queste pazze. Dite quel che volete voglio spendere il mio tempo nelle mie medaglie. (parte per la porta di mezzo) PANTALONE Oh, che matti! Oh, che casa da matti! GIACINTO (Dalla camera d'Isabella) Signor suocero, son disperato. PANTALONE Coss'è stà? GIACINTO Avete sentito? Mia moglie ha detto vecchia a mia madre; mia madre ha detto sfacciatella a mia moglie. Vi è il diavolo in questa casa, vi è il diavolo. (parte per la porta di mezzo) PANTALONE Se ghe xè el diavolo, che el ghe staga. No so cossa farghe; gh'ò tanto de testa. No so in che mondo che sia. CAVALIERE Anderò io a placare la signora Doralice. DOTTORE E io anderò a calmare la signora Isabella. PANTALONE E mi credo, che vualtri siè quelli, che le fazza deventar sempre pezo. CAVALIERE Io sono un Cavaliere onorato. DOTTORE Io non sono un ragazzo. CAVALIERE Saprà la signora Doralice il torto, che voi mi fate. (va da Doralice) DOTTORE Voglio dire alla signora Contessa in qual concetto mi tiene il signor Pantalone. (va da Isabella) PANTALONE Oh, che mazzai! Ma stimo quel vecchio matto. Se pol dar! Come che el se mette anca elo in riga de protettor? E mia fia col Cavalier, che la serve! E quel matto de mio zenero lo comporta? Questi xè i motivi delle discordie de sta fameggia. Donne capricciose; marii senza cervello; serventi per casa. Bisogna per forza, che tutto vaga a roverso. (parte) Scena quindicesima Altra camera del conte Anselmo. Il conte Anselmo, poi il conte Giacinto. ANSELMO Se avessi atteso solamente alle medaglie, e ai camei, non mi sarebbe successo quello, che mi è successo. Maledetto Brighella! Mi ha rovinato. GIACINTO Brighella non si trova più. Egli è partito di Palermo, e non si sa per qual parte. ANSELMO Pazienza! Mi ha rovinato. GIACINTO Ah signor padre, siamo rovinati tutti! Dei ventimille scudi non ve ne sono più. Alla raccolta vi è tempo. E per mangiare, ci converrà far dei debiti. ANSELMO Se lo dico; Brighella mi ha rovinato. GIACINTO E per condimento delle nostre felicità, abbiamo una moglie per uno, che formano una bella pariglia. ANSELMO Io non ci penso più. GIACINTO E chi ci ha da pensare? ANSELMO Oh! Non ci penso più. M'hanno fatto impazzire tanto, che basta. Scena sedicesima Pantalone, e detti. PANTALONE Con so bona grazia. ANSELMO (Eccolo qui il mio tormento). (da sé) PANTALONE Sior Conte, sior zenero, i me compatissa, se vegno avanti arditamente. Se tratta de assae; se tratta de tutto, e qua bisogna trovarghe qualche remedio. ANSELMO Io lascio fare a voi. PANTALONE Ella vol tender alle so medaggie. ANSELMO Fin che posso, non le voglio lasciare. PANTALONE E vu, sior zenero, cossa diseu? Ve par, che se possa tirar avanti cussì? Ve par, che vaga ben i negozi della vostra casa? GIACINTO Io dico, che in poco tempo ci ridurremo miserabili più di prima. PANTALONE Sior Conte, sentela cossa, che dise so fio? ANSELMO Lo sento, ma non so come rimediarvi. PANTALONE Se vorla redurse a non aver da magnar? ANSELMO Ci sono l'entrate. PANTALONE Co le se magna in erba, no le frutta el terzo. E de ste care niora, e madonna cossa dìsela? ANSELMO Io dico, che non si può far peggio. PANTALONE No la pensa a remediarghe? ANSELMO Io non ci vedo rimedio. PANTALONE Ghe lo vederave ben mi, se gh'avesse un poco d'autorità in sta casa. ANSELMO Caro signor Pantalone, io vi do tutta l'autorità, che volete. GIACINTO Sì, caro signor suocero, prendete voi l'economia della nostra casa. Assisteteci per amor del Cielo; fatelo per vostra figlia, per il vostro sangue. PANTALONE Me despiase, che anca ela xè mezza matta. Ma in casa mia no la giera cusì; la s'ha fatto dopo, che la xè qua, onde spereria con facilità redurla in tel stato de prima. ANSELMO Anche mia moglie una volta era una buona donna; ora è divenuta un serpente. PANTALONE Credeme padroni, che ste donne le xè messe suso da sti do conseggieri. ANSELMO Credo anch'io, ch'ella sia così. GIACINTO Ne dubito ancora io. PANTALONE Qua ghe vol resoluzion. Vorla, che mi ghe fazza da fattor, da spendidor, da mistro de casa, senza vadagnar un soldo, e solamente, per l'amor che porto a mia fia, a mio zenero, e a tutta sta casa? GIACINTO Lo volesse il cielo! ANSELMO Non mi levate le mie medaglie, e per il resto vi do amplissima facoltà di far tutto. PANTALONE Do righe de scrittura, che me fazza arbitro del manizo e dell'economia della casa, e m'impegno, che in pochi anni la se vederà qualche centener de zecchini; e criori ghe ne sarà pochi. ANSELMO Fate la carta, ed io la sottoscriverò. PANTALONE La carta non ho aspettà adesso a farla; xè un pezzo, che vedo el bisogno, che ghe ne giera. Ghe da zontar do, o tre capitoleti, e credo, che l'anderà ben. Andemola a lezer in tel so mezà. ANSELMO Non vi è bisogno di leggerla. La sottoscrivo senza altro. PANTALONE Sior no! Vòi, che la la senta, e che la la sottoscriva alla presenza de' testimoni; e cusì anca el sior zenero. GIACINTO Lo farò con tutto il cuore. ANSELMO Andiamo; ma ci siamo intesi. Il primo patto, che non mi toccate le mie medaglie. (parte) PANTALONE Poverazzo! Anche questa xè una malattia; chi vol varirlo no bisogna farlo violentemente, ma un pochetto alla volta. GIACINTO Caro signor suocero vi raccomando la quiete della nostra famiglia. Mio padre non è atto per questa briga; fate voi da capo di casa; e son certo, che se il capo averà giudizio, tutte le cose anderanno bene. (parte) PANTALONE Questa xè la verità. El capo de casa xè quello, che fa bona, e cattiva la fameggia. Vòi veder, se me riesse de far sto ben, de drezzar sta barca, e za che co ste donne no se pol sperar gnente colle bone, vòi provarme colle cattive. Per el più le donne le xè cusì, per farle trottar, bisogna ponzerle. Scena diciassettesima La contessa Isabella, ed il Dottore. ISABELLA Non mi parlate più di riconciliarmi con Doralice perché è impossibile. DOTTORE Ella ha ragione signora Contessa. ISABELLA Può darsi una impertinente maggior di questa? DOTTORE È una petulante. ISABELLA Assolutamente, assolutamente, la voglio fuori di questa casa. DOTTORE Savissima risoluzione. ISABELLA Io sono la padrona. DOTTORE È verissimo. ISABELLA E non è degna di stare in casa con me. DOTTORE Non è degna. ISABELLA Se non fosse perché, perché, le darei delli schiaffi. DOTTORE E sariano ben dati. ISABELLA Dottore, se mio marito non la manda via, voglio che le fate fare un precetto. DOTTORE Ma! Vole accendere una lite? ISABELLA Non siete capace di sostenerla? DOTTORE Per me la sosterrò; ma s'ella anderà via, vorrà la dote. ISABELLA La dote, la dote! Sempre si mette in mezzo la dote. V'ho detto un'altra volta, che prima vi è la mia. DOTTORE È verissimo, ma la dote della signora Doralice ascende a ventimille scudi, e la sua non è, che di due mille. ISABELLA Siete un ignorante, non sapete niente. DOTTORE (Già; quando non si dice a modo suo si comparisce ignorante). Scena diciottesima Pantalone, il conte Anselmo, e detta. ISABELLA Che cosa c'è, signori miei, qualche altra bella novità al solito? ANSELMO La novità la sentirete or ora. PANTALONE La compatissa, se vegno a darghe un poco d'incomodo. ISABELLA Vostra figlia ha poco giudizio. PANTALONE Adesso adesso, la sarà qua anca ela. ISABELLA Ella qui? Cosa c'entra nelle mie camere? ANSELMO Deve venire per un affar d'importanza. ISABELLA E non vi è

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