La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni pagina 12

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se non ho gnancora principià. Patrona sì, le chiaccole, i pettegolezzi per el più guasta al sangue, e fa deventar nemici i parenti. Per questo vorria pregar siora Contessa Isabella... ISABELLA La signora Contessa Isabella, la ringrazia delle sue finezze. DOTTORE Che diavolo avete fatto, non gl'avete dato dell'Illustrissima? ISABELLA Se me l'avesse dato, avrebbe fatto il suo debito. DOTTORE Si sa, lo dico per questo. PANTALONE Sior Conte, la parla ela, che mi non posso più. (ad Anselmo) ANSELMO Avete finito? Si sono aggiustate? È fatta la pace? PANTALONE Dov'èlo stà fina adesso? No l'ha sentio ste do campane, che no tase mai? ANSELMO Con un cameo di questa sorta davanti gl'occhi, non si sentirebbero le cannonate. PANTALONE Cossa avemio da far? ANSELMO Parlate voi, che poi parlerò io. (torna ad osservare il cameo) PANTALONE Me proverò un'altra volta. Lustrissima siora Contessa Isabella, voria pregarla de dir i motivi dei so desgusti contro mia fia. ISABELLA Oh sono assai... DORALICE I miei sono molto più. PANTALONE Tasè là, siora; lassè che la parla ela, e po parlerè vu. DORALICE Ah sì, deve parlare prima lei, perché... (Ho quasi detto, perché è più vecchia). (al Cavaliere) CAVALIERE (Avreste fatto una bella scena). PANTALONE La favorissa de dirghene qualchedun. (ad Isabella) ISABELLA Non so da qual parte principiare. GIACINTO Signor suocero, se aspettiamo, che esse dicano tutto con regola, e quiete è impossibile. Io che so le doglianze dell'una, e dell'altra, parlerò io per tutte due. Signora madre, vi contentate ch'io parli? ISABELLA Parlate pure. (Già m'aspetto che tenga dalla consorte). GIACINTO E voi Doralice, vi contentate, che parli anco per voi? DORALICE Sì, sì, quel che volete (Già terrà dalla madre). GIACINTO Prima di tutto mia madre si lamenta, che Doralice le abbia detto vecchia. ISABELLA Via di qua, temerario. (a Giacinto) GIACINTO Dicevo... ISABELLA Va' via, che ti do una mano nel viso. GIACINTO Perdonatemi... ISABELLA Va', ti dico, impertinente. GIACINTO (Anderò per non irritarla. Eh! lo vedo, lo vedo; qui non si può più stare). (parte) DORALICE (Mi ha dato più gusto, che se avessi guadagnato cento zecchini). (al Cavaliere) CAVALIERE (Quella parola, le fa paura). PANTALONE Cossa dìsela, sior Conte? No se pol miga andar avanti. ANSELMO Orsù; la finirò io. Signore mie... Ma prima, che mi scordi; questo cameo si potrebbe avere? PANTALONE El xè de mia fia, la ghe lo domanda a ela. ANSELMO Mi volete vendere questo cameo? (a Doralice) DORALICE Venderlo? Mi meraviglio. Se ne servi, è padrone. ANSELMO Me lo donate? DORALICE Se si degna. ANSELMO Vi ringrazio la mia cara nuora, vi ringrazio. ISABELLA Ringraziate chi glie l'ha donato. PANTALONE Chi ghe l'ha dà, son stà mi. ISABELLA Eh sappiamo tutto, sappiamo tutto. PANTALONE Cossa sala? La diga, cossa sala? DORALICE Oh, ne sentirete di belle. ANSELMO Orsù sia, chi esser si voglia, che l'abbia dato, non me ne importa. Il cameo mi piace, me lo ha donato, e la ringrazio. Lo staccherò, e vi renderò l'orologio. ISABELLA Via ora che la vostra dilettissima signora nuora vi ha fatto quel bel regalo, pronunciate la sentenza in di lei favore. ANSELMO A proposito. Ora, già, che ci siamo, bisogna terminare questa faccenda. Signore mie, in casa non vi è la pace, e mancando questa, manca la miglior cosa del mondo. Sin'ora ho mostrato di non curarmene, per stare a vedere sin dove giungevano i vostri opposti capricci; ora non posso più, e pensandovi seriamente, ho deliberato di porvi rimedio. Ho piacere che si trovino presenti anco questi signori, li quali saranno giudici delle vostre ragioni, e delle mie deliberazioni. Principiamo dunque. Scena ventesima Brighella, e detti. BRIGHELLA Sior padron. (al conte Anselmo) ANSELMO Cosa c'è? BRIGHELLA El negozio è fatto, la galleria è nostra, e gh'ho qua l'inventario. ANSELMO Con licenza de lor signori. (s'alza) PANTALONE Tornela presto? ANSELMO Per oggi non torno più. (parte con Brighella) PANTALONE Bella da galantomo! DORALICE Possiamo andarcene ancora noi. ISABELLA Andate pure, questa è camera mia. DORALICE La camera d'udienza è di tutti. ISABELLA Disgrazia, che verrete ancor voi a ricever visite nella camera d'udienza! DORALICE Ci posso venire, e ci verrò. ISABELLA Oh, non ci verrete! DOTTORE Sentite? Sempre così. (a Pantalone) ISABELLA Ogni giorno crescono le sue pretensioni. PANTALONE Senza el sior Conte gh'è remedio, che vegnimo in chiaro del motivo de ste discordie? ISABELLA Ecco qui il signor Dottore; è qualche anno, che mi conosce. Mi ha tenuta in braccio da bambina, e sa chi sono. Dica lui, se io vado in collera senza ragione. DOTTORE Oh, è vero! Ella non parla mai senza il suo fondamento. DORALICE Il signor Cavaliere è buon testimonio di quello ha detto di me la signora suocera, e sa egli se con ragion mi lamento. CAVALIERE Signore, lasciamo queste leggerezze da parte. Stiamo allegramente in buona pace; con buona armonia. DORALICE Leggerezze le chiamate? Leggerezze? Mi avete pure accordato anco voi, che io ho ragione, che io sono offesa, che non tocca a me cedere. ISABELLA Bravo, signor Cavaliere! Lei è quello, che consiglia la signora Doralice. CAVALIERE Io non consiglio nessuno; ma parlo come l'intendo. ISABELLA Siete un Cavaliere indegno. CAVALIERE Signora siete dama, ma non vi conviene perdermi il rispetto. PANTALONE Voleu, che ve la diga patroni? Sè una chebba de matti. Destrighevela tra de vualtri, e chi ha la rogna, se la grata. ISABELLA No voi non sapete il trattare. (al Cavaliere) CAVALIERE In quanto a questo, mostrate di saperlo poco anche voi. ISABELLA Impertinente! Così parlate con una dama? E voi state qui, come un asino, e non dite nulla? (al Dottore) DOTTORE Signor Cavaliere, Vusignoria parla male; non si tratta così. CAVALIERE Ho piacere, che voi prendiate le parti della Contessa Isabella. Con lei, come donna, non potevo prendermi veruna soddisfazione; voi mi renderete conto delle ingiurie, che ella mi ha dette. (parte) DOTTORE (Ora sono nel bell'imbroglio!) (da sé) ISABELLA Animo. Signora, andate nelle vostre camere. DORALICE Vi torno a dire, che qui ci posso stare ancor io. ISABELLA La vostra impertinenza, mi provocherebbe a mortificarvi colle mie mani. DORALICE Le mani, le ho ancor io. ISABELLA Ma le donne civili non vengono alle mani. Queste son cose riserbate per le donne vili, e plebee. Sono offesa; saprò vendicarmi; ma la mia vendetta sarà da dama qual sono. (parte) DORALICE Oh, quanto mi fa ridere! DOTTORE Ed io, che non sono Cavaliere, converrà, che per riputazione mi faccia ammazzare alla cavalleresca. Per questo è sempre ben fatto praticar gente da suo pari, perché la troppa confidenza, che un si prende con le persone di rango, a lungo andare precipita, chi ha questa pazza ambizione. DORALICE A buon conto l'ho superata. Ella è partita, ed io sono restata qui nella camera d'udienza. M'impegno colla mia placidezza confondere, e superare tutte le più furiose del mondo. Atto terzo Scena prima Camera del conte Anselmo, e tavolini Il conte Anselmo, e Brighella BRIGHELLA Ecco qua. Per tre mille scudi, la varda quanta gran roba! ANSELMO Caro Brighella, son fuor di me dall'allegrezza. Qual è la cassa delli crostacei? BRIGHELLA El numero I l'è la cassa dei crostacei, dove ghe sarà drento tremilla capi de frutti marini, cioè ostreghe, cappe, e cose simili, trovade sulle cime dei monti. ANSELMO Questi soli vagliono i tremile scudi. BRIGHELLA El numero II l'è una cassa de pesci petrificadi de tutte le sorte, e fra i altri gh'è un branzin impietrido colle baise, rosse, che le par de coral. ANSELMO Questo sarebbe per la galleria d'un monarca. BRIGHELLA El numero III l'è una cassa con una raccolta de mumie d'Aleppo; tutte de animali, uno differente dall'altro, fra i quali gh'è un

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Argomenti: terzo scena

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