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L'Olimpia di Giambattista Della Porta pagina 9Andiamo, fratel mio. SENNIA. (Quante carezze ti fa, Olimpia, il tuo fratello). OLIMPIA. (Oh come è amorevole! deve essere usato in quelle parti della Turchia dove i fratelli e sorelle devono conversare con questa domestichezza). SENNIA. Vo innanzi, Eugenio figliuol mio. LAMPRIDIO. Ecco il vostro schiavo in catene che ave esseguito quanto dalla sua divina padrona gli è stato imposto, acciò conosca l'ardentissimo desiderio c'ho di servirla e mostri il simolacro del cor suo qual stia avinto intorno di catene. OLIMPIA. D'oggi innanzi cominciarò ad avervi in piú stima e gloriarmi di questa mia bellezza, poiché è piaciuta a persona tale che è posta in tanto pericolo per amor mio. LAMPRIDIO. La contentezza che ho di mirarvi a mio modo e di servirvi, seria stato ben poco se l'avessi comprata con pericoli di mille vite. OLIMPIA. In me non conosco tal merito, ma ringrazio di ciò il cortese animo vostro. LAMPRIDIO. Ringraziatene pur colui che vi creò di tal pregio che sforza ognun che vi vede a servirvi e onorarvi. OLIMPIA. Desidero non essere intesa da' vicini o da quei di casa, e sopra tutto bramo vedervi sciolto da queste catene che temo non v'offendano, ché a questo collo delicato e a questi fianchi ci convengono le braccia di chi vi ama a par dell'anima e della sua vita. LAMPRIDIO. L'offesa me la fate ben voi, anima mia, con dir che queste m'offendano: che mentre mi stringono appo voi mi fanno piú libero dell'istessa libertade; e che sia vero, ecco che da me stesso son venuto a farmevi prigione. Ma quelle che mi stringono nell'amor vostro, sempre ch'io pensassi disciorle m'allacciarebbono in duri ceppi e in amarissima prigione. OLIMPIA. Ho tanta speranza ne' meriti dell'amor mio che con mille catene piú dure di queste ci legheremo con nodi d'inseparabil compagnia, né basterá alcun accidente schiodarle se non la morte. LAMPRIDIO. O Dio, non è questa Olimpia mia? non è questa la sua figura angelica? non la tengo abbracciata io o forse sogno come ho soluto sognarmi altre volte? OLIMPIA. Sento gente venir di su. Caminate, fratello. LAMPRIDIO. Andatemi innanzi, sorella. OLIMPIA. Io vo, fratello carissimo. LAMPRIDIO. Vi seguo, sorella. O dolcissima conversazione! SCENA IV. MASTICA solo. MASTICA. Non dubitate, fratelli e sorelle: giá da ora cominciate a far entrare in suspetto Sennia dell'amor vostro. Lo stomaco di Lampridio è come la pignata che bolle: Olimpia standogli intorno gli stuzzica il fuoco; poco potrá tardare che non bolla e non mandi la schiuma fuori. Iddio voglia che perseveri d'andar bene e la cosa resti qui. Io, poiché l'arte del ruffiano m'è riuscita, non dubito morirmi piú di fame. Oh che mercanzia muta, oh che alchimia non conosciuta, dove con poche parole si fanno molti scudi! E poiché son consapevole de' fatti d'Olimpia, la terrò sempre soggetta e la farò fare a voglia mia; e come Lampridio pone la botte a mano, ne faremo bere qualche voltarella da alcuno di tanti assassinati dall'amor suo. A che se ne accorgerá Lampridio? che quanto piú se ne beve piú ce ne resta: è forse la nostra botte della cantina che bevendo vien meno? E se ben si scopre, che potrá farmi Sennia? potrá altro che spogliarmi questi panni che m'ha fatto ella e cacciarmi fuora? Almeno se ho da mostrar le carni nude, le mostrerò grasse e liscie. Fratanto attenderò ad empirmi la pancia ben bene e massime questa sera che, per esser sposi novelli e la prima volta che mangiano insieme, staranno vergognosetti, appena assaggiaranno le vivande con la punta delle dita che le manderanno via. O Dio, potessi allargarmi questo ventre altro tanto per verso, spalancarmi questa bocca, accrescermi un altro filaro di denti, allongarmi questo collo, che se mai fui Mastica ci serò questa sera, che non cessarò di masticar mai finché non toccherò con le dita che son pieno fin alla gola. Lascierò le parole, ché non cenino senza me. SCENA V. ANASIRA sola. ANASIRA. Troppo è misera la condizion delle donne, poiché ne bisogna tòr marito a voglia di parenti, col quale abbiamo a vivere fin alla morte. Sia benedetta l'anima di mia madre, che per aver tolto un marito per forza a voglia di suo padre, se ne tolse cinquanta a voglia sua, e a me ne fe' provare prima dieci e poi mi diede l'elezion di tormi qual piú mi piacesse! Lo dico ad effetto, ché se mai mi son rallegrata del ben d'altri, or me ne son rallegrata piú che mai, che uscendo poco fa di casa d'una amica, intesi dir per la strada ch'erano gionti doi cristiani scampati di man di turchi: me ne rallegrai vedendo che le genti lo tengono per vero e Olimpia ottenghi il suo desiderio. Caminando piú avanti, trovai una calca di persone raccolte insieme: dimandai e mi fu risposto che stavano mirando certi che erano stati schiavi di turchi. Desiosa veder questo Lampridio, ché non mi scappi il manto, me lo piglio a due mani, e spingo innanzi finché vedo due persone, una di venti e l'altra di sessanta anni, vestite da turchi con le mani piene di calli e ne' piedi si conosceva il segno del cerchio della catena: niuno di loro mi avea ciera d'innamorato, e mi meraviglio come vogli Lampridio comparir in quel modo innanzi la sua innamorata. Me ne andrò a riposare, ché ho tanto menato le gambe per compir presto il viaggio che par che abbia una fontana di sotto. SCENA VI. TRASILOGO, SQUADRA. TRASILOGO. Che il capitan Trasilogo, sgombrator di campagne, destruttor di belovardi, ruina di muraglie e desolator de cittadi patirá che gli sia fatta cotanta ingiuria?… SQUADRA. Veramente lo merita questo gastigo. TRASILOGO…. e che un romano abbia a tormi la sposa promessami?… SQUADRA. E il peggior è che Olimpia non vi può sentir nominare. TRASILOGO…. Tagliarò Sennia per mezo; Olimpia la prenderò per lo collo e senza toccar terra la porterò prigione in casa mia; a Mastica ficcherò un spiedo per sotto che gli lo farò uscir per la bocca; a questo romano spezzarò su la schena dieci fasci di bastoni, né lo difenderan dalle mie mani cento muraglie o bastioni…. SQUADRA. Bene! TRASILOGO…. Se non spianarò questa casa dal basso suolo, non vo' portar piú spada a lato. Onde spero per tale essempio agli occhi di ciascheduno che non aran piú ardimento d'offendermi…. SQUADRA. Benissimo! TRASILOGO…. Orsú, fatevi inanzi, soldati! olá, Pelabarba, Cacciadiavoli, Rompicollo, Spezzacatene…. SQUADRA. Tutti siam qui apparecchiati. TRASILOGO…. ponetevi tutti in ordine, perché ne vo' far la rassegna. Fermati tu, dove vai tu? Sta' dritto tu! Che arme è questa? or non avevi altre arme in casa, che venir fuori con una scopa? che mi pari piuttosto un spazzacamino che soldato…. SQUADRA. Buon pensiero, padrone, per nettar il sangue e le cervelle, le braccia, le mani e l'altre membra, che si troncheranno per la scaramuccia. TRASILOGO…. Tu perché con questo spiedo? SQUADRA. Per infilzar Mastica, come avete detto, accioché non ingoi piú fegatelli. TRASILOGO. E Olimpia e Sennia insieme con lui. SQUADRA. Non tanto male a' poveretti: è troppo gran vendetta. TRASILOGO. Io per minor cosa di questa rovinai la Capestraria, l'Arcifanfana e la Cuticulindonia. SQUADRA. Dove sono queste cittá, padrone? TRASILOGO. Nell'India del Mondo nuovo. Suona il tamburo, Squadra. SQUADRA. Io non ho né naccheri né tamburi. TRASILOGO. Suona con la bocca mentre costoro caminano in ordinanza. SQUADRA. Tup, tup, tup. TRASILOGO. O bestia incantata, non vedi che guasti l'ordine? Tu, porta queste mani a' fianchi; tu, alza la testa, che mi pari un bufalo o barbagianni; tu, con questa fionda sta' in questo luogo, e se alcuno cavasse la testa fuor dalla finestra o tetto, ferisci con essa e togli le difese; tu, Squadra, fermati innanzi la porta, che hai questo cuoio di dante. SQUADRA. E questa spada di Petrarca. TRASILOGO. Con questa spada poniti in portafalcone. SQUADRA. Io non so se non portagallina. TRASILOGO. Sai maneggiar questa spada a due mani? SQUADRA. Meglio assai quella a duo piedi; però seria bene che mi locaste nella retroguarda. 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