L'Olimpia di Giambattista Della Porta pagina 12

Testo di pubblico dominio

costoro: forse ne potranno dar qualche ragguaglio. SCENA II. PROTODIDASCALO solo. PROTODIDASCALO. O mi Deus, ché per aver molto accelerato il passo non so come non sia cespitato e caduto in qualche scrobe. Il diafragma e l'organo del pulmone sono cosí quassabondi come se si volessero divellere. Io ho visto hisce oculis sbarcar Filastorgo padre di Lampridio, di che un repentino tremore m'invase cosí forte che non sapea se retrogrado dovea rimeare i passi o antigrado fugire. Obstupui steteruntque comae et vox faucibus haesit. Vorrei confabular con Lampridio, acciò di quello che l'ho presagito ne veggia properar l'evento piú tosto di quello che pensiculava. Nam—pro «quia, quare, quamobrem»,—perché le ruine quanto meno si sperano piú tosto vengono, e con questo importuno nunzio l'intercida le sue dolcedini. Ma eccolo, mi si fa obvio: fuggirò per questa strada. SCENA III. FILASTORGO vecchio solo. FILASTORGO. Oh che magnifica cittá è questa Napoli! non è cosa da lasciarsi di vedere. Oh che bei giardini, oh che amenitá d'aria, oh che bel mare, oh che spiagge, oh che colline! parmi che non assomigli se non a se stessa e che avanzi ogni umana imaginazione. E se non fusse il desiderio che ho di veder Lampridio mio figliuolo, mi vorrei torre un poco di spasso vedendo questi palaggi e ornate chiese. Ma egli mi fa star l'animo non so come suspetto, per esser stato avisato che non attende agli studi altrimente ma si sia dato agli amori; e questa mattina giongendo in Salerno mi fu detto che allora era partito per Napoli. Io senza prender fiato o riposarmi, a scavezzacollo son qui venuto per lo desiderio c'ho di vederlo e che egli medesimamente deve tener di veder me: andrò dimandando per saperne qualche novella. SCENA IV. TRASILOGO, SQUADRA, TEODOSIO, EUGENIO. TRASILOGO. Caminando di su e di giú siamo ornai stanchi. Sará bisogno all'ultimo di ricorrere al Truffa, ch'io non saprei a chi piú sottil barro di lui commettere il fatto in mano. EUGENIO. Padre, caminiamo senza far nulla. TEODOSIO. Se mal non mi ricordo, vicino questi archi stava la casa nostra. EUGENIO. Dimandiamo costoro. TEODOSIO. Giovani, siete voi di questa contrada? TRASILOGO. (Squadra, mira: costoro mi paiono al proposito). SQUADRA. (Non si potriano trovar migliori, l'un vecchio e l'altro giovane, con quelli stracci adosso come se proprio fussero scampati di man di turchi). TEODOSIO. Di grazia, datene risposta. SQUADRA. (Lasciate che gli ragioni io). Ditemi, siete voi forestieri? TEODOSIO. Siamo e or ora sbarcati qui in Napoli. SQUADRA. (Oh che ventura, padrone!). TRASILOGO. (Presto! narragli il fatto, fagli capire il negozio, accioché lo sappino ben fingere). SQUADRA. (Lasciate il carico a me). Volete voi farne un servigio di che non vi saremo discortesi? TEODOSIO. Che piacere possiamo noi farvi, poveri e forestieri? SQUADRA. Lo potrete fare agevolmente. TEODOSIO. Eccomi all'obedire. SQUADRA. Vo' che tu, vecchio, fingi chiamarti Teodosio, e tu, giovane, Eugenio e che sii suo figlio; e vo' che diciate che siate or ora scampati di man di turchi, e che abbiate rotto la prigionia e siate venuti a Napoli per veder se fusse viva una tua moglie chiamata Sennia e una figliuola Olimpia…. TEODOSIO. A ponto questo? TRASILOGO. Tacete di grazia, non interrompete: ascoltiate prima, poi rispondete. SQUADRA. E vo' che entrando in casa diciate, tu, vecchio:—O Sennia, consorte cara, tu sei pur viva?,—e tu, giovane:—O Olimpia, sorella diletta, o madre cara!;—e che vi abbracciate e lasciate cader dagli occhi due lacrimette come per tenerezza, e simili gesti e parole che sogliono farsi a parenti non visti; e bisognando sappiate rispondere a queste cose…. TRASILOGO. Entrati che sarete in casa, vo' che mi diate per isposa Olimpia—quella sua figlia, che tu dirai esser tua sorella e tu tua figlia;—ch'io vi darò tal mancia di questo che non avrete bisogno mentre siete vivi d'andar piú mendicando. SQUADRA…. E accioché la cosa vada meglio ordinata, arei a caro che consertaste un poco gli atti e le parole, accioché incontrandovi con esse la cosa riesca piú verisimile e naturale. TRASILOGO. Cominciate su. SQUADRA. (Come sta attonito!). TRASILOGO. (Deve pensare come ave a fingere e far il doloroso).
Cominciate di grazia.
SQUADRA. (O Dio, falli cominciar tu). TEODOSIO. Dunque sei pur viva, o Sennia mia consorte cara! SQUADRA. Buon principio! riesce bene, piú meglio ch'io non pensava. TEODOSIO. Io veramente son Teodosio padre di Olimpia, e questo è il vero Eugenio mio vero figliuolo! EUGENIO. E siamo stati venti anni in man di turchi e abbiamo rotta la prigione e siamo venuti a Napoli per saper se fussero ancor vive. SQUADRA. Oh oh, come risponde quest'altro a tuono, alle consonanze! TEODOSIO. O Sennia molto amata, o Sennia poco goduta e molto sospirata! EUGENIO. O sorella Olimpia, quanta bellezza m'ha raccontato il padre, ch'era in te! TRASILOGO. (Oh che solenne barro, non si potria far meglio! appena ha inteso il fatto che l'ha subito capito e posto in esecuzione. Non ti dissi io che alla ciera mi sentiva di furbo?). TEODOSIO. O moglie, o figlia, che v'ho stimate morte, poiché di tante lettere che v'ho inviate per saperne qualche novella, non mai ne abbiamo ricevuta risposta. SQUADRA. (Piú di quello che gli abbiam detto: ci giongono del loro ancora). TRASILOGO. (Se fussero nati in Grecia? E il buono è che non bisogna altrimente accomodargli di vesti, ché paiono or ora usciti da una galea). SQUADRA. Non piú, che dite benissimo. EUGENIO. Io non posso capir tant'allegrezza e par che venghi meno, ché tutte le preghiere che ho fatto a Dio, son state che doppo aver veduta mia madre e il luogo dove sia nato, morrei sodisfattissimo. SQUADRA. Basta, basta. Vedete voi quella casa? quella è la casa di
Sennia.
TEODOSIO. Chi t'avesse detto, Teodosio, scampato di man di turchi, venir alla tua patria, trovar la moglie viva e la figliuola? TRASILOGO. (L'abbiamo pregati che comincino, or sará bisogno strapregarli che taccino). SQUADRA. Sento venir genti, ed è Mastica e il romano: scostiamci ché non ci veggano e ci prendano per suspetti, e ascoltiamo da canto la riuscita. TRASILOGO. Meglio sará che ci partiamo, ché potremo dimandargli il successo a bel aggio. SCENA V. LAMPRIDIO, MASTICA, TEODOSIO, EUGENIO. LAMPRIDIO. Chi son questi che stanno dinanzi la porta nostra? MASTICA. Son poveretti che devono dimandare la elemosina. TEODOSIO. Olá, o di casa! MASTICA. Ché batti? vuoi tu spezzar questa porta? TEODOSIO. È forse tua madre, ché temi che sia battuta? MASTICA. Non ti morrai di fame tu per non essere importuno e prosontuoso. TEODOSIO. È importuno e prosontuoso chi batte le porte di casa sua? MASTICA. È dunque questa la casa tua? TEODOSIO. Dimmi prima se questa è la casa di Sennia. MASTICA. Questa è la casa di Sennia: è per questo la tua? TEODOSIO. Io son Teodosio suo marito che sono stato venti anni in man di turchi, e or scampato la Dio mercé dalle lor mani me ne ritorno a casa mia. LAMPRIDIO. (Mastica, costoro son quelli che manda il capitano, che poco anzi mi dicesti). MASTICA. (Quelli sono certissimo, ah ah! non ti accorgesti che subito veggendoci fuggiro via?). LAMPRIDIO. (Racconta il fatto a Sennia e digli che venghi a tôrsi un poco spasso di fatti loro). TEODOSIO. O di casa! Tic, toc. LAMPRIDIO. Fermatevi, non battete, ché or ora verrá qua Sennia tua moglie. (Non posso tener le risa in vedergli cosí ben travestiti. Dal natural certo. Vedrò se sapran fingere come io ho fatto). TEODOSIO. Rallegrati, Eugenio mio, ch'or vedrai la tua madre e tua sorella. Oh con quant'allegrezza ci riceverá e bacierá! penso si dileguará dall'allegrezza. EUGENIO. Mi par ogni momento mill'anni d'incontrarci insieme. SCENA VI. SENNIA, TEODOSIO, EUGENIO, LAMPRIDIO. SENNIA. Ove è questo mio marito nuovamente resuscitato? LAMPRIDIO. Eccovi, madre, il bello sposo. TEODOSIO. O Sennia moglie cara, giá giá vi riconosco alle fattezze se di te non mente il vivo ritratto che n'ho sempre

Tag: squadra    casa    fatto    scena    poco    napoli    madre    moglie    sorella    

Argomenti: repentino tremore,    importuno nunzio

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi
La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni
Diario del primo amore di Giacomo Leopardi
La divina commedia di Dante Alighieri
Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Il soriano: grandi caratteristiche nella semplicità
Come profumare i vestiti ed evitare che abbiano un cattivo odore
Come essere un bravo casalingo
Vacanze a Cipro: l'incontro con la mitologia
Offerta capodanno a New York


<- precedente 1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19 successiva ->