L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza pagina 6

Testo di pubblico dominio

piaciuta. Ed egli si era innamorato di Emma. Dico innamorato, perchè egli stesso adoperava questa parola, parlando a sè stesso nei soliloqui della notte; quando nel silenzio della solitudine correggeva le bozze della vita quotidiana. Non avendo pensato a prender moglie prima d'allora, non aveva badato mai alle signorine, e quella era la prima a cui dirigeva gli occhi amorosi con intenzioni oneste sì, ma alla sua età alquanto temerarie. Quegli occhi erano sempre coperti da due grandi occhiali d'oro e attraverso a quelli passavano sguardi di diversa natura; ora teneri, ora appassionati; qualche volta anche concupiscenti. Fossero però quegli occhialoni d'oro o i capelli bianchi, che erano tanto vicini ad essi, gli sguardi del marchese nè ferivano nè incendiavano, e neppure vellicavano la pelle di Emma. Agli sguardi tenevano compagnia dei fiori, dei dolci, dei libri, omaggio dell'adoratore all'adorata. Questa accettava tutte quelle cortesie e galanterie come da un babbo, e diceva spesso: —Che buon uomo è quel marchese di Acquafredda! I due amori dell'Ingegnere e del Marchese camminavano, con diversa velocità, ma paralleli l'uno all'altro. Quello del Marchese correva assai più lesto, perchè i vecchi son sempre impazienti e perchè la timidezza eccessiva rallentava il passo all'Ingegnere. I giovani però, anche i più timidi, sanno saltare, ciò che i vecchi non sanno, e possono in un giorno riacquistare il terreno perduto in un mese. Non so se il Rinaldini spiccasse il salto o altro avvenisse di nuovo. So però che un giorno essi si incontrarono allo stesso punto. Il marchese di Acquafredda con una lettera modestissima chiedeva al padre di Emma la di lei mano. E proprio nello stesso giorno l'ingegnere Rinaldini, trovandosi alla sera solo con lei nel salotto nel vano d'una finestra, chiese con voce tremante ad Emma, se vorrebbe dividere la vita con lui. Emma rispose con tutta calma: —Per ora non voglio maritarmi. Quanto al padre di Emma, devo dirvi, che lesse la lettera del
Marchese con grande stupore e la passò subito alla moglie.
Non so cosa dicessero tra di loro e come commentassero quella strana domanda. So però che un tragico avvenimento piombò su quella casa fin allora così serena e felice. Il dottore, partito da Firenze per un consulto a Modena, era morto in vagone fulminato da un'apoplessia. Vi risparmio la storia del dolore di quella famiglia. I due pretendenti, che avevano fatto in diverso modo la loro domanda, presero parte a quel dolore, per nulla stupiti di non avere risposta. Quanto ad Enrico, seguitava a scrivere dalla sua finestra prendendo la sua terza parte nel dolore di una famiglia, che considerava come sua. CAPITOLO QUINTO. _Il dilemma, anzi il trilemma. La fanciulla si consulta con un'amica e colla mamma._ Erano passati tre mesi, e la mamma di Emma, volendo distrarre la sua figliuola da un dolore, che il tempo non riusciva ancora a calmare, le disse un giorno a un tratto: —Sai, tesorino mio, voglio farti ridere…. —Sarà difficile, mamma…. —Il marchese di Acquafredda ha chiesto la tua mano…. —Impossibile! In questi giorni? Non rispetta neppure il nostro dolore? Non pensa all'anno di lutto, che per me durerà tutta la vita? —No, non è in questi giorni ch'egli ha fatto la sua domanda, ma poco prima che morisse tuo padre. —Ah! Tanto meglio! Avrei subito perduta la stima che io sentiva per lui…. Ma il Marchese ha almeno settant'anni. —No, ne ha sessanta e per verità non li dimostra neppure…. —Sian pur sessanta, son sempre molti. Ma dacchè tu mi hai fatta questa confidenza, io te ne farò un'altra…. Pochi giorni prima della morte del mio povero babbo, mi ha offerto la sua mano l'ingegnere Rinaldini. —Davvero? E tu che cosa gli hai risposto? —Che per ora non voglio maritarmi. —Non ti piace? —Non ho mai pensato a lui…. —Emma, sii sincera con me. Tu mi hai sempre confidato i pensieri più segreti del tuo cuore: confidami anche questo. Non avresti simpatia per il giovane Enrico, che vive di faccia a noi?… Emma arrossì fino ai capelli. —Tu lo ami,—riprese subito la mamma con impeto.—L'ho veduto affacciarsi tante volte alla sua finestra, e fuggiva via, quando si accorgeva che io lo guardava. Spero bene che tu non lo avrai incoraggiato in questo suo amore. Sarà un bravo giovane, non lo dubito, ma è ancora uno studente dell'Università…. —Mamma, mamma mia, son troppo triste ancora per pensare al matrimonio. Se me lo permetti, lasciamo questo discorso. Lo riprenderemo fra qualche mese. Emma aveva pronunziato queste parole con uno strazio così profondo dell'anima e insieme con tanta risoluta energia, che la mamma, che era di carattere molto debole e debolissima colla sua figliuola, tacque e mutò discorso. Quando però la fanciulla si ritirò nella sua cameretta, si sentì come travolta da un turbine, come trascinata in una ridda infernale, in cui tutto girava intorno a lei e si sentiva come costretta a girare anche lei. In quel vortice essa vedeva turbinarle intorno ora Enrico, ora il Marchese, ora il Rinaldini, che allungavano le braccia verso di lei, come se volessero rapirla…. Due uomini a un tempo l'avevano chiesta in isposa, e un terzo, senza aver fatta la stessa domanda, l'amava, l'adorava, e lei amava lui…. Quella notte essa non dormì che qualche ora e il sonno fu per lei più agitato e più tormentoso che la veglia. Sentiva che al mattino avrebbe dovuto correr dalla mamma, confessarle l'amor suo per Enrico e pregarla a voler rispondere collo stesso monosillabo di rifiuto al Marchese e all'Ingegnere. Ma non ne aveva il coraggio. Essa avrebbe dovuto confessarle anche la sua corrispondenza clandestina; i suoi due peccati, che non si era perdonati ancora e che giorno e notte le stavan infitti nella coscienza, come due freccie avvelenate. No, no: non lo avrebbe mai fatto. Perdere a un tratto la stima della mamma che l'adorava, che la credeva infallibile, impeccabile. No, no, ella tacerebbe ancora e sempre. Ma il suo cuore traboccava: i segreti che vi teneva rinchiusi la soffocavano, la uccidevano, e a chi confidarli? Essa non aveva che un'amica, Maria, con cui aveva studiato, a cui aveva tutto confidato, benchè le fosse maggiore di qualche anno; ma essa si era maritata da due anni ed era andata a vivere a Perugia. Da principio Maria le aveva scritto due o tre volte per settimana. Erano lettere inebbrianti, che le parlavano della sua grande felicità. Poi le lettere erano divenute più rare e più fredde, finchè ora da un pezzo non ne riceveva più. Come vederla, come scriverle? Il suo segreto era di quelli, che si posson confidare solo da labbro a labbro, confondendo i fiati, e intrecciando le mani; interrompendo spesso il discorso colle lagrime e coi baci. Ma ecco che inaspettatamente Emma riceve per la posta un biglietto con queste parole: Amica del mio cuore, Domani lascio Perugia per qualche giorno e sarò da te verso sera. Apri grandi le braccia per stringermi al tuo cuore. Ho bisogno di molta indulgenza e di molta pietà. La tua MARIA. E il giorno dopo Maria era nelle braccia di Emma e per molti minuti non si poteron parlare; tanti erano i baci e tante le lagrime che si rimandavano a vicenda. Emma, che era felice di confidare il gran segreto all'amica, trovava che lei era venuta per affidargliene un altro e molto più triste. Maria era infelice, sommamente infelice. Aveva sposato contro il volere dei suoi, contro il consiglio di tutti, un giovane studente (sì studente anche lui come Enrico) che però non studiava niente e che per di più apparteneva a una famiglia povera e disonesta.—Era bello, molto bello, e Maria l'aveva sposato, credendo che la bellezza e l'amore, che sentivano l'un per l'altro, sarebbero bastati a farli felici. Per forzare la mano ai genitori Maria s'era compromessa tanto da obbligarli al consenso del suo matrimonio ed essi le avevano data la piccola dote che le spettava. Il giovane era di Perugia e là erano andati i due

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Argomenti: età alquanto,    grande stupore,    tragico avvenimento,    giovane studente

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