L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza pagina 4

Testo di pubblico dominio

giovane ed era un uomo! Sapeva lei, se Enrico avrebbe compreso le astruserie isteriche del suo cuore, sapeva lei se egli intendeva i palpiti della gloria, le tenerezze della pietà, le sante fratellanze del dolore? No, davvero; ma Enrico era un giovane ed era un uomo. Come non poteva, come non doveva essere buono e intelligente e caldo dì tutti gli entusiasmi, se essa lo amava? Se essa sentiva, che quell'uomo era cosa sua, era carne della sua carne? Se essa lo indorava tutto quanto, irradiandolo con un'aureola di tutti i suoi sogni, di tutti i suoi desiderii, che per tanto tempo avevano sognato e desiderato invano! Anche la rondine, dopo i lunghi suoi voli, dopo aver saettato l'aria per ore ed ore, posa un istante sopra un filo, dove adagia voluttuosamente la sua lunga stanchezza. E così Emma posava i suoi voli affaticati lungamente nel vuoto del desiderio sopra un filo. Quel filo era Enrico. Pensa forse la rondine, se il filo su cui posa è sicuro o sarà travolto? bada forse se è di canape o di ferro, d'oro o di stoppa? E così è il primo amante, su cui la fanciulla posa la stanchezza dei suoi lunghi desiderii. * * * Emma soprattutto avrebbe voluto soffrire per lui. L'uomo, nella donna che ama, vede e sogna e cerca sempre la voluttà. La donna vede e sogna e cerca il sagrifizio, la dedizione tutta e intera di sè a lui. Quante volte sognava di vederlo cadere per la via travolto da un cavallo o da una carrozza! O lo vedeva assalito da un assassino, sull'orlo di un precipizio…. Ed ella allora, rotto ogni rispetto umano, avrebbe avuto il diritto di correre a lui, di sollevarlo caduto o ferito, di asciugargli il sangue, di posare la sua testa adorata nel proprio grembo, dì curarlo e di guarirlo. Ma anche il fargli da infermiera gli pareva troppo poco e avrebbe desiderato un accidente impossibile, in cui ella potesse col proprio pericolo, anche col sagrifizio di sè stessa salvar lui; e morendo per lui, sentirsi ringraziare e potergli dire: —Vedi, anima mia, io muoio per te. Dammi un bacio, il primo e l'ultimo…. E morire sotto quel bacio, esalando la vita per lui e disciogliersi nell'infinito colla certezza di rivedersi in cielo. * * * Invece di tutti questi sogni, un mattino dalla finestra aperta entrò un involtino pesante, che cadde sul tappeto. Prima di raccoglierlo, Emma corse alla finestra, sperando di vedere di faccia chi, aveva gettato quel proiettile innocente. Invece egli era già scomparso. Allora essa si gettò sull'involtino, ma tardò assai ad aprirlo. Aveva forti palpitazioni di cuore; aveva paura e curiosità; impazienza di sapere e paura di commettere un peccato. Quell'involtino era per lei una cosa viva e nello stesso tempo un corpo di delitto. Non dubitava un sol momento chi lo avesse lanciato e perciò appunto credeva, che fosse un peccato l'aprirlo; perchè essa sapeva un'altra cosa, cioè che in quell'involto c'era una lettera. Infatti, quando ebbe raccolto tutto il suo coraggio e l'ebbe aperto, vi trovò una pietra e una lettera chiusa, colle stesse parole che erano state scritte invano sul mazzolino: Enrico alla sua adorata Emma. Ma quella lettera non fu aperta. Fu nascosta convulsivamente nella tasca. E là rimase per tutto quel giorno e la notte appresso, presa, ripresa, guardata e riguardata contro il sole per vedere se si potesse leggere qualche parola, senza bisogno di aprirla. Quella lettera dormì sotto il cuscino di Emma, ma non dormì lei, che con quel foglio sotto il capo vegliava in un letargo convulso pieno di dolci torture e di sogni fantastici. Quante volte accese il lume, decisa a rompere il suggello per deliziarsi nel mare delizioso delle cose ignote e per tanto tempo sognate. E quante volte spense la candela per resistere alla tentazione del peccato. Ma quando alla mattina si alzò stanca, quasi esausta dalla lunga lotta, corse subito in camera dalla mamma, che era sempre a letto e gettandole le braccia al collo e piangendo le disse: —Vedi, mamma, quel giovanotto che abita di faccia a noi, mi ha gettato dalla finestra nella mia stanza questa lettera…. ma io la dò a te…. Le mamme, che pure hanno attraversato tutte lo stesso Orto di Getsemani, e dovrebbero essere esperte del mondo d'amore, quando si tratta delle loro figliuole, hanno tutte una triplice benda sugli occhi e non vedono nulla e nulla indovinano. E anche la mamma di Emma non sapeva nulla di nulla; per cui cascò dalle nuvole, e afferrando la lettera con impaziente curiosità, quasi avesse paura che le sfuggisse, la nascose, ringraziando la buona figliuola della prova di confidenza che le dava in quel momento: —Brava, la mia Emma, brava! Grazie…. fa sempre così. Confidami tutto, senza paura e senza scrupoli. Nessuno ti ama più di me, nessuno più di me desidera la tua felicità…. * * * Emma non rivide più quella lettera, e la mamma non ne parlò mai alla figliuola. Era una lettera d'amore, come se ne scrivono a vent'anni. Pura e ardente; ingenua come l'ignoranza, calda come la giovinezza. Nei dieci giorni successivi due altre lettere furono lanciate nella camera di Emma e anch'esse non furono lette che dalla mamma. E anch'esse erano come la prima; ingenue come l'ignoranza, calde come la giovinezza. CAPITOLO QUARTO. _La corrispondenza continua. Compaiono sull'orizzonte due altri pretendenti al cuore di Emma_ Il lettore desidera molto probabilmente ch'io gli dica, che dopo quelle prime tre lettere lanciate da una finestra all'altra, ella non ne ricevette altre. Ma pur troppo, siccome il mio racconto è storia vera, e la storia ha per primo dovere quello di esser sincera, io devo dirvi la pura verità, tutta la verità, null'altro che la verità; come certi testimonii, spergiurando, in una causa da me perduta perchè ero un galantuomo, dissero davanti al mio pretore. E la verità è molto diversa da quella supposta o desiderata dal benigno lettore. Emma ricevette una quarta lettera, che non riportò subito alla mamma, come aveva fatto delle prime tre, ma se la nascose in seno; ben decisa a farle seguire più tardi lo stesso cammino che avevano seguito le altre. Ma la lettera lanciata alle dieci del mattino era ancora alle dieci della sera allo stesso posto, e siccome vi stava bene, calduccina e lieta di quel roseo nido, tessuto con qualcosa di meglio che non sieno le paglie e i fuscellini; non aveva voglia di escirne. Se non che Emma alle dieci andava a letto e il foglio criminoso passava dal roseo nido in un altro bianco niveo, ornato di trine e profumato di giovinezza, ch'era il letto di lei. Fu messo sotto il cuscino, ma dopo poco passò nelle mani di Emma, e le mani lacerarono la busta con uno strappo, che pareva una convulsione. Tra lo strappo e la lettura passarono molti minuti, dolorosi e agitati come un'agonia; lunghi come secoli; ma il foglio fu letto e riletto alla luce tremula della candela con un tremito degli occhi, delle mani; e soprattutto del cuore della innocente fanciulla, che aveva così commesso il suo primo peccato. Quale sarà l'ultimo? L'ultimo non lo so, perchè in amore conosco il peccato secondo e il terzo e il quarto e il centesimo; ignoro l'ultimo. A pochi giorni di intervallo furono lanciate una lettera N.° 5, una lettera N.° 6. Furono nascoste nello stesso nido roseo della N.° 4 e lette nello stesso nido bianco; ma non ebbero risposta per parte di Emina. Ma la N.° 7 ebbe una risposta e da quel momento le linea telegrafica, che riuniva due cuori, due ingenuità, due amori, non fu più interrotta. I peccati però non seguivano la stessa numerazione delle lettere, avendo sempre una cifra molto minore. Quelle erano al N.° 20, i peccati erano sempre al N.° 2. Il primo: ricevere le lettere di un giovane e leggerle senza portarle alla mamma. Il secondo: rispondervi.—Veniale il primo, quasi mortale il secondo. E chi sa fino a quando il terzo si sarebbe fatto aspettare, navigando i due colpevoli sempre nelle acque azzurre dell'Oceano senza mai toccar terra! * * * Intanto fra i molti visitatori della

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Argomenti: tanto tempo,    letargo convulso,    mare delizioso,    triplice benda,    foglio criminoso

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