La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 5

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corpo, e essere posate sopra il lago Benaco in monti altissimi: meravigliomi che non abbino detto sopra il monte Micala a star con Talete, o sopra Mimante con Anassagora. Alcune altre dicono esser portate all'arbore di Benevento, oggi detta (se io non mi inganno) la noce di Benevento. [Da Cice. de. le. de. le. II.] Ma quale è la causa che non son poste più tosto nell'Arpinate, essendoci pur più vicino alla quercia di Mario? e se non grava loro l'andar più lontano, perchè non vanno elleno alla quercia d'Alessandro nel Cheronesso? In oltre si dice che abbiano a fare coi demonj, li quali essendo (pur come io credo) senza corpo, come possono esser tocchi? Che libidine, e in che modo possono le donne di carne con una certa loro imagine vana pigliare diletto? Le fantasime so io che sogliono scherzar coi morti, ma non già con vivi. FR. Credo che se io manderò a terra i tuoi argomenti, che tu cederai. AP. Certo sì. FR. È cosa d'uomo ragionevole lasciarsi persuadere e fermarsi, per le ragioni, per gli esempj, per l'autorità de' maggiori, confermata dal comune parere. E questo tanto più si appartiene a chi ha ingegno, e che ha dato opera alle lettere: se io adunque per i tuoi medesimi fondamenti ti farò credere quello di che ti fai beffe, che dirai? AP. Arrenderommi, e porgerotti le mani. FR. Credo che mi doverai porgere anco i piedi. AP. Non nelle pastoie. FR. Cotesto non desidero già io, ma sì bene che tu venga nel parere mio (come si suol dire) e con le mani e coi piedi. Questo arei caro che facilmente mi succedesse. AP. Ogni cosa potrebbe essere, se mi attenderai quello che ti presumi. FR. Parmi vedere per i ragionamenti passati, che tu abbia molto bene per le mani i poeti, e similmente la filosofia. AP. Cotesto non mi attribuisco io d'avere i poeti su per le dita; perciò che è tanto il fare professione di tal cosa, che chi non sa niente non debba attribuirsela; perchè principalmente bisognerebbe avere la lingua greca e la latina, dipoi sapere i profondi sensi della più nascosta filosofia, delle quali cose è pieno il poeta, e massimamente Omero, il quale intendo essere stato dichiarato con gran comenti da Aristotile, e da alcuni altri filosofi stoici. Intendo ancora Plutarco essersi sforzato di mostrare in un libro assai ben grande, che quel cieco ebbe ogni scienza, ogni arte, e finalmente che seppe tutte le cose umane e divine; per la qual cosa, così come io nego d'aver quella tal cognizione, così ancora confesso che alle volte, quando ho avuto tempo, mi sono esercitato fra loro, ma solo per aver notizia delle lingue, per cavarne (sendo pur anco occupato in altro) alcuni ammaestramenti accomodati a' costumi, per non parere dipoi nel cerchio degli amici ignorante delle lettere, quando vien occasione di parlare. Se io non ho avuta quella filosofia che è nascosta in loro, l'ho almanco tocca, e (come si suol dire) l'ho gustata con la sommità delle labbra. FR. Non stimo che tu dica questo nè per arroganza, nè per ironia, ma per la verità, la quale è posta da Aristotile nel mezzo di quei duoi vizj: però che tu non fingi di non sapere nulla, nè anco ti vanti di saper ogni cosa, e quel che dici della cognizione de' poeti non repugna al vero; perchè Platone stesso, e Aristotile son pieni d'autorità d'Omero, d'Esiodo, di Simonide, di Pindaro, d'Euripide, e d'altri poeti; però dubito che tu finga non avere quella filosofia che hai abbracciata: laonde io giudico che tu abbia molte più cose riposte, che non mostri in apparenza. AP. Abbiamo alle volte da natura, senza studio nissuno, o le virtù, o le cose simiglianti a quelle. FR. Per questa risposta mi hai dato maggior sospetto. AP. Che sospetto? FR. Che io dubito parlare con un filosofo; pur nondimeno io lo lascerò da banda, dando principio al nostro ragionamento; se vuoi però promettermi di rispondere a quello che ti domanderò circa la prima disputa. AP. Prometto risponderti. FR. Hai tu mai letto appresso d'Omero, quando Ulisse andò a' popoli cimmeri? AP. Certo sì, a quella gente che abita nell'aria caliginosa e nera, dove il sole mai non arriva coi raggi. FR. Che vi fece? AP. Molte cose. FR. Non sono eglino questi i versi, a dirli nella nostra lingua? Io dal fianco la spada trassi allora,
E una fossa cavar mi presi cura
Ivi sotterra un gomito a misura,
Spargendo i sacrifizj a l'ombre fuora. [Dell'xi dell'Odissea.]
Tu hai detto benissimo e 'l senso, e le parole. FR. I giuochi, e i balli di Diana con le Ninfe sue compagne, credo che tu gli abbia trovati scritti più d'una volta. AP. Credi bene. FR. Così anco che tu abbia letto l'abboccamento di Venere e di Anchise; e come in quei tempi antichi dicevano molti eroi esser nati dai lor bugiardi Dei. AP. E cotesto anco ho visto più volte. FR. Quelli che al tempo degli eroi, si dicevano essere stati in pregio, ingannavano in vari modi gli uomini dati alla vita rustica, e pastorale, come erano la maggior parte di loro;, in questa guisa parimente avea quel demonio in forma di Tetide (creduta da quelle genti dea marina) ingannato Peleo pastore, il quale come cantò quel Poeta. [Ovidio.] Poco lontan dalla cittade intento
Sol dietro a quella in una ombrosa valle
Lasciò il bel gregge suo, lasciò l'armento.
E acciocchè manco s'accorgesse dell'inganno gli fu insegnato da un altro demonio che pigliava diverse effigie, chiamato Proteo, in che modo avessi a fare a pigliare Tetide, che Cento abiti mutava, e cento forme; [Ovidio.] ma nota questa altra fraude, che lo ingannò anco maggiormente: non volse usare seco sotto nome di stupro, o d'adulterio, ma finse di fare matrimonio. La qual cosa da Esiodo fu scritta in versi, come si legge nelle memorie greche, e di qui facciamo noi buona coniettura che lo Epitalamio di Catullo, sia cavato da Esiodo; il che ci mostra anco la qualità del verso, avendo in sè quella antica facilità. Mostralo parimente lo studio di Catullo nell'imitare i Greci, di sorte che abbia fatte latine l'elegie intere di Callimaco, ora pigliandone il senso, ed ora le parole. Così facilmente ancora il demonio ingannò Paride pastore sotto la forma delle tre dee, che come disse Coluto Tebano nel libro della rapina d'Elena: Non sol pascea le pecore, ma i tori, e andava vestito che pareva rozzo guardiano di pecore e di buoi, [Da Platone] come egli scrive a dilungo. Così l'anello rivoltato verso la palma della mano fece invisibile quel pastor di Lidia che commise l'adulterio con la regina: onde è manifesto che i demonj pigliavano varie forme, ora di quelle che chiamavano Dee, ora di Ninfe terrestri, ora di marittime [Da Catullo], le quali, perchè eran credute star per lor natura ascose sotto l'acque, uscivano talora fuori dell'onda biancheggiante infino alle poppe per essere vedute: e per più infiammare altrui apparivano anco in forma di nuvola, come dicono le favole che fece Giunone a Issione. Donde finsero essere uscito il Centauro. Alcune altre apparecchiavano illusioni ed incanti per ingannar con essi le genti, e per schernirle a doppio gli insegnavano così a' dotti come agli ignoranti; nè si trovava alcuna imagine falsamente stimata divina, che con le sue lascivie non accecasse quel secolo rozzo, conciossiacosachè noi sappiamo che Diana stessa (il giuoco della quale or noi scopriamo a onta e dispregio del demonio) fu liberale della virginità che fingeva d'amare, forse per incitar quelli ch'abborrivano la lussuria. Così anco sotto nome della luna, che senza dubbio alcuno era Diana diceano Endimione essersi ghiaciuto seco. Similmente accenna Firmico, Ippolito avere avuto a far seco sotto nome di Diana, chè pensava aversi a referire a questo, così anco il nome di Virbio. Il luogo dov'era stato sepolto, cercato con tanta diligenza, e la cura di Esculapio con tutte quelle simili altre cose, tutto crede doversi attribuire alla vanità del demonio, se però ne fu mai cosa nessuna, ogni cosa si debbe riferire alla favola, e questo Esculapio ben fu rimeritato secondo il premio che si dà

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Argomenti: rozzo guardiano

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