La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 3

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spelonca de' miei boschi, con i miei famigliari della villa, Plinio, Columella, M. Varrone e Palladio, vedendo chi di loro meglio trattasse la coltura delle viti, e insegnasse i modi dello innestare, la varietà de' frutti, opera a questo tempo convenientissima, subito posti da parte i libri della agricoltura, amenduni ci ponemmo a leggere la sua traduzione, e avendola accuratamente letta e considerata, ci è parso (per quel poco che conosciamo) che V. S. abbia fatto bella e dilettevol fatica, nel tradurre di latino in toscano, quel divino e illustre signore autore del libro, ch'ella ha preso a tradurre: signor veramente, fra i rari e dotti ingegni del suo tempo, rarissimo e dottissimo, come si vede per le molte opere sue. E io ne ho preso tanto più piacere, quanto che mi ha rinfrescata la memoria, che vive sempre in me di quei magnanimi signori, appresso de' quali io sono stato già molto onorato fra gli altri servitori di quella casa illustre: avendomi eletto il signor Galeotto Pico signor della Mirandola, più anni fa per suo agente e secretario appresso il cristianissimo re Francesco, e onoratissimamente intertenutomi alcuni anni in quella corte per il suo servizio appresso di sua maestà. Laonde mi trovo molto obbligato alla sua felice memoria, e a tutti i suoi illustri figliuoli e discendenti. Piacemi particolarmente poi, per l'interesse della signoria vostra, considerando che ella vuole mostrare al mondo che in lei si verifichi quel detto, Qui viret in foliis venit a radicibus humor
Sic Patrum in natos transeunt cum semine mores.
_E questo dico, perchè avendo ella avuto un padre tanto virtuoso ed eccellente, che per il merito delle sue rare virtù, oltra l'avere tenuto le prime cattedre degli studj d'Italia, fu anche chiamato (come sa ognuno che conobbe maestro Andrea Turini), e tirato al consiglio e servizio di due sommi Pontefici, Clemente settimo e Paulo terzo, con tanta onorata provvisione. Laonde, avendo conosciuto il prefato Clemente la molta sufficienza, la intera fede e le sue rare virtù, lo mandò in Francia al servizio, alla cura ed ai secreti di Caterina sua nipote, illustrissima duchessa d'Orliens, oggi serenissima regina di Francia, con provvisione di mille scudi d'oro, ove non stette molto tempo; chè avendo conosciuto il Cristianissimo re di Francia i meriti delle sue virtù, lo elesse fra gli altri eccellenti e nobili, ch'egli aveva, per suo particolar medico, e non con minor provvisione di quella del sommo Pontefice. E s'io mi volessi stendere agli altri virtuosi suoi meriti, mi bisognerebbe più tempo ed altra occasione che di una semplice lettera. Piacemi per non mi stendere in lungo che la S. V. nata di quello arbero, a sua imitazione, cerchi di fare frutti simili a quello. Piacemi ancora che la non voglia degenerare, oltra il padre, dalla natura e dalle belle opere del reverendo M. Baldassare Turini suo zio, il quale per i meriti delle sue virtù, fu da Leone X pontefice massimo eletto per suo Datario, uffizio di tanto onore ed importanza quanto sa ciascuno che ha pratica della corte di Roma; per le quali fu di poi ancora eletto da Paulo terzo, pontefice massimo, cherico di camera, e segretario apostolico, alle opere del quale è obbligatissima di perpetua e grata memoria la terra nostra, sì per gli belli ed onorati edifizj, come anco per avere rinnovato la memoria (già spenta per le passate pesti, e per gli gravi incendj di guerra) degli ecclesiastici onori di quella, avendo sua signoria reverenda (con il mezzo e favore di Leone X) di nuovo eretto il collegio de' canonici, che già anticamente era onoratissimo nella nostra collegiata chiesa di S. Maria Maggiore, con tanta dignità ed onore (come ciascuno può vedere), in jure canonico, nel Decretale al Cap. Per tuas de Arbitriis, già sono anni circa CCCLX, nel pontificato d'Innocenzo terzo, pontefice massimo, e fatta tutta questa nostra provincia di Valdinievole di nessuna Diocesi, onorato il Collegio, non solo del Prelato, che a guisa di Vescovo, celebra con ogni sorte di episcopale ornamento, e ch'esso Prelato insieme con i suoi Canonici, abbia facoltà di conferire i benefizj della sua giurisdizione, e che in detta Collegiata vi siano sette dignità, cioè Proposto, Arcidiacono, Priore, Tesaurieri, Arciprete, Decano e Primicerio, con altri dodici Canonici, tutti giudici delegati, ed altri onori che io lasso, per non essere tedioso. Alle cui virtuose opere, non potendo la S. V. rendere altre grazie, nè altre gratitudini, in altro miglior modo, assai ne renderà ella se (come ha cominciato) seguirà onoratamente le pedate dell'uno e dell'altro, col virtuoso, onesto e religioso vivere: al che fare con tutto il cuore la esorto. Mandole il Sonetto che ella ha ricercato M. Pompeo che ei faccia sopra la detta opera. Il quale può ella veramente accettare più tosto da questa occasione di essersi trovato qui oggi che da lui, sendo nato in questi boschi dilettevoli, per avere egli un pezzo fa dismessi questi studj piacevoli, occupato in cose di maggior pregio. Vale._ Di Corsigliano gli XV di marzo del M D LV. Lugubri carte, a voi dogliose strida
Di miseria e d'orror non sia chi neghe,
Tristi lai, mesti accenti, atroci grida
Maggiori or più l'antica età non spieghe.
Al più barbaro Scita omai si pieghe
L'animo fero; a cui la mente infida
Diè il freddo ciel, poi ch'el men reo ci affida
A crude serpi, a velenose streghe.
A che cercando gir verso Aquilone,
Di crudo antropofago, o d'arimaspe,
O se più feritade altrui s'ascrive?
Se d'un mostro ciclope, o lestrigone
(Che pasce il sangue uman) più crudel aspe
Nel nostro clima in mezzo Italia vive.
GIOVANFRANCESCO PICO AL SUO MAINARDO S. Pur ora, o Mainardo, ho scherzato sopra cose gravi, se noi giudichiamo però che tanti uomini famosi, sì gentili come cristiani, che hanno scritti Dialogi, abbiano scherzato. Come si sia, a me par che questo genere di scrivere sia un giuoco, quando io lo comparo a quelli che si disputano con maggior gravità, dove si tratta delle cose stesse, se siano in natura, quel ch'elle siano; donde dependino, e quello che abbino dentro, o gli accaggia di fuori. Essendo una volta domandato (ragionandosi sopra le mie opere) per qual cagione io non scrivessi in dialogo, ma in orazione continuata, per capi, per conclusioni, ad alcuna cosa ancora per quistioni e annotazioni, dissi liberamente piacermi più lo spartire la cosa di che si tratta nelle sue membra, e ch'el dialogo mi pareva simile alla Poesia: quantunque io sappia che tal volta le favole si sogliono scrivere in orazione familiare, e tal volta ancora le cose ben gravi in verso; il che osservammo ne' nostri inni, e in questa che facendo poco fa, la quale ora ti mandiamo per trattenimento nell'ozio. Ma così, come non mi è cosa nuova che quella finzione che si mescola nel Dialogo non è bugia (accennandosi tacitamente a chi legge per il nome la cosa non essere stata appunto come si narra, ma così facilmente potuta essere); così ancora non mi è dubbio ne' Dialogi usarsi quell'ordine che conviene a conoscere la natura delle cose, ma più tosto si presuppone dottrina confusa, che in un certo modo paia rassimigliarsi alle similitudini di Anassagora. Questo modo di scrivere fu appresso de' Greci in molta stima (nondimeno l'animo umano è desideroso della varietà con la quale massimamente lo allettava, e tratteneva l'eloquenza socratica) per raccorre naturalmente (quasi come se dicessi in un corpo) le cose sparse. La quale facondia di dire per essere da me lontana, mi fece anco discostare da quella sorte di scrivere; pure al presente mi è piaciuto tentarlo, dandomisene buona occasione per le illusioni, e per i malefizj delle streghe, commessi pochi mesi sono nel nostro distretto, dalle quali l'opera s'ha acquistato il nome di Strega, ovveramente, se più ti piace, degli inganni de' Demonj, dal quale incitati correvano a gara tutti quelli che si dicevano essere portati al giuoco

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