La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola pagina 15

Testo di pubblico dominio

Satana, detto dagli Ebrei, avversario, da' Greci, diavolo, e dai Latini, calunniatore! Poteva pensare maggiore calunnia verso di Dio, che ingegnarsi con le sue parole, torgli la divinità; e attribuirla a sè stesso con tanta arroganza, e con tanta insolenza falsissimamente? Onde forse per questo amò il nome di demonio, o perchè dimostrasse scienza, ovvero timore. Ma il proprio suo è sempre di ordinare calunnie e fraude, e così ingannò il primo uomo sotto nome di Dei, onde si acquistò il nome di calunniatore, come afferma Giustino filosofo e martire. AP. Ma in che modo eri tu conosciuta dalle altre cristiane? ST. Non ci era differenza alcuna: io andavo alla chiesa; la quaresima mi confessavo dal sacerdote, e dicevogli tutti gli altri miei peccati, eccetto questo; m'accostavo all'altare a vedere l'ostia sacra, nè ci era differenza nessuna fra me e l'altre donne; nè questo mi vietava il mio amatore, solamente voleva che io dicessi certe parole piano, e che io facessi nascosamente certe cose, le quali facendo, non mi domandava altro. AP. Dicci ogni cosa. ST. I giorni delle feste, essendo io in chiesa (come s'usa), e cantando il sacerdote l'Evangelio, mi commetteva, che io dicessi da me stessa: non è vero, tu ne menti; e quando il sacerdote s'alzava l'ostia sacra sopra il capo, mi comandava che io non la guardassi, e che, mettendomi sotto le mani drieto, gli facessi a questo modo le fica (come io fo ora); di poi con istanza grandissima mi pregava, e con ogni sforzo m'imponeva che io non dicessi al sacerdote cosa nessuna de' nostri amori, e della nostra pratica, nè di quelle che appartenevano al giuoco. L'altre cose poi, dicessile io o no, non gli importava. Inoltre, quando io ero all'altare a farmi porre in bocca il sacratissimo corpo di Cristo, voleva che a poco a poco me lo cavassi, e mostrando di spurgarmi, lo convolgessi nel moccichino per portarlo al giuoco, per poterlo quivi sbeffare e schernire in quei modi che tu hai inteso. Portavo ancora due ostie meco cucite nella veste, mediante le quali mi diceva che io non confesserei cosa nessuna al giudice di quel che mi domandasse, dove che poi forzandomi il giudice, e minacciando di tormentarmi, quel maligno me le fece gittare in un vaso da fare mio agio postomi nella prigione, da quello che era sopra ciò. AP. Ubbidistilo tu? ST. Sì, che io l'ubbidii, misera me! e dirovvi una cosa molto orrenda, che avendole spezzate con una mazza, io vidi uscirne sangue. FR. Andiamo (se ti piace) incontro a Dicasto che ritorna a noi. AP. Mi piace. DIC. Restaci altro? FR. Siamo stomacati in modo, che non abbiamo bisogno di desinare. DIC. Ritiriamoci un poco nell'orto, e spasseggiando forse ritroverete l'appetito; rimettasi lei in prigione. AP. Non arei mai potuto credere che elle avesseno saputo trovare tante sceleranze. Io certo che prima arei facilmente perdonato a questa sorte d'uomini, stimando che il peccato loro non fusse altro che leggerezza, circa all'esser condotti in questi errori: e credevomi che le streghe fusseno ingannate, facendo parere loro quel che non è; e giurerei che elle sono sbeffate per tal via. Ma così come ho sempre mai creduto alla religione della verità cristiana, così non comporterei in modo alcuno che si perdonasse a sì empi malfattori. DIC. S'io farò che si vegga che questo appartiene alla religione cristiana, e che io ti adduca tanti testimonj, che sarà forza che tu creda in quel giuoco esser molte cose, le quali veramente (come noi sogliamo dire, concedimi questa parola) realmente si fanno, penso che poi ostinatamente non farai resistenza. AP. Insino a qui l'animo non s'inchina nè all'una, nè all'altra parte. DIC. Dimmi (ti prego) hai tu veduto mai morto alcuno risuscitato? AP. Non n'ho veduti. DIC. Credi tu che i morti possino risuscitare? FR. Non lo negherà, sendo questo cantato da' poeti, e scritto da' filosofi, e principalmente appresso di Platone, i morti essere risuscitati dagli inferi. AP. Io non do fede in una cosa così grave e di tanta importanza nè a' poeti, nè a' filosofi; ma all'evangelio. DIC. Io ti metterò innanzi esempj d'un'altra cosa, che non si contenga nella scrittura sacra. Credi tu che le navi possino uscire dalle Gadi, e dal porto d'Ulisbona, città del Portogallo, e ora (rivolte incontro a Zefiro) essere portate per due mila cinquecento miglia, o più, o meno, in un paese tanto grande che non si sappia quanto giri di circuito, e ora rispignendole Zefiro per il mare Atlantico possino venire nel golfo Indico? AP. Questo crederò io. DIC. A chi credi tu questo? AP. A tanti mercatanti, che dicono aver fatto tal cammino sopra le larghe spalle del mare. DIC. Hai tu mai parlato loro? AP. Non mai certo, ma ho bene parlato a quelli che affermano averlo inteso da chi vi è navigato. DIC. Non potrebbeno eglino ingannarti? AP. Gli uomini da bene non si dilettono di bugie. DIC. Se io ti produrrò testimonj quanti si siano quelli (e non manco da bene), che hanno confermato, e con giuramento, che le streghe sono portate al giuoco, e che i demonj sotto spezie di donne si sono sottomessi agli uomini, e sotto spezie di uomini hanno auto a fare con le donne: e quelli ancora che costretti con sagramento l'hanno confessato, non crederai tu? FR. Egli sarebbe cosa d'uomo senza vergogna e protervo, se tu non cedessi. AP. Per che cagione? FR. Perchè quando molti si accordano insieme in concludere qualche cosa, e affermanla tutti per una voce, non pare verisimile, che alcuno di ragione possa contraddirgli, se già non fusse mosso per qualche ragione di tanta efficacia, che avesse possanza di mandare a terra l'opinione confermata dal comune parere, la qual ragione non credo già che tu abbia. AP. Questo tuo sillogismo arebbe qualche vigore, se non s'applicasse alle cose che paiono sopra natura, ma a quelle che sogliono trattarsi nell'uso comune degli uomini; e però non repugnai alla navigazione dell'armata spagnuola, e repugno al giuoco di Diana. FR. Molto più si potrebbe contraddire a quelli che narrano il viaggio degl'Indi, che a quelli che spongono il giuoco della notturna Ecate. Imperocchè quello non fu conosciuto dagli antichi in modo alcuno; solamente si trovorno certi segni, per li quali dicono che già non so che nave d'India venne al lito spagnuolo. Ora si naviga d'Europa in India, per il mare d'Etiopia, e sono già descritti i porti, ed i liti nelle carte da navigare. Oltra di questo, furno incognite agli antichi isole di maravigliosa grandezza, che oggi son trovate; e quella terra nuova si grande, trovata a' nostri giorni, della quale non ha parlato mai nessuno. Chè se i filosofi, che si sono imaginati più mondi, avesseno conosciuto che fusse in rerum natura, forse mossi da questo, con più ragione parrebbe che fusseno impazzati. Certo che di queste terre nuove non n'hanno parlato nè Strabone, nè Tolomeo, nè quelli che son tenuti fabulosi, e delle streghe se ne fa menzione chiaramente ne' libri degli antichi, e de' moderni. AP. Io mi sento già già in un certo modo pender l'animo per piegare nella opinione tua. Ma io udirei volentieri i testimonj che Dicaste vuol produrre, e se alcuna altra ragione avesse fuor di quelle che ha dette. FR. Il dubitare è segno d'animo incostante, e che pieghi ora in qua, ed ora in là. Imperocchè le cose che dicevamo innanzi, ti parevano, se non vere, almeno assai verisimili, di poi contrastavi, e parevati anco di ragione dover contrastare. Ora confessi che l'animo t'inclina a venire nel nostro parere. Per le quali cose io raccolgo la tua instabile opinione, se già non mi dessi ad intendere, che forse le abbia dette per ironia, sendo tu assuefatto a quello scherzare che usano i poeti, ovvero, pratico ne' dialoghi di Socrate, da' quali non si può cavare mai un certo che di fermo e stabile, ovvero si cava con gran difficultà. AP. Io non fingo niente, nè giudico che mi bisogni teco usare ironia. Ma non vorrei in cosa di tanto pregiudizio temerariamente cedere. Mi pare molto meglio (pure che si faccia con

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Argomenti: paese tanto,    tanto pregiudizio,    maggiore calunnia,    mare atlantico

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