Il benefattore di Luigi Capuana pagina 6

Testo di pubblico dominio

contro una parete di bronzo. —È vero! È vero!—confermò il notaio. —Educati a questo modo—riprese Paolo Jenco—noi perdiamo ogni energia. E quando, troppo tardi, siamo liberi di fare a modo nostro, continuiamo la tradizione. Ripetiamo, precisamente, quel che è stato fatto con noi. Ci vorranno secoli per mutarci. —I secoli passano presto—disse miss Elsa, sorridendo. Un ragazzino, coperto malamente da quattro stracci, si era avvicinato e stava ad ascoltare con le mani dietro alla schiena, gli occhi neri spalancati, intenti alla bella signorina, che l'osservava di sfuggita—se n'era accorto—e che parlava una lingua di cui egli capiva soltanto poche frasi. —Vuoi venire, laggiù, da me? Ti farò il ritratto—gli disse miss Elsa.—Bel tipo arabo!—soggiunse rivolta a Paolo, senza attendere la risposta del ragazzino—Vuoi venire? —Quando?—egli domandò. —Domattina. —Che ne farò del ritratto? —Quello lo terrò io; ti regalerò un vestito; la tua mamma te lo adatterà. Hai la mamma? —No. —È morta? —Chi lo sa? —Sua madre è in carcere, per falsa testimonianza—spiegò il dottore vedendo lo stupore di miss Elsa a quella risposta. —Poverino! Hai il padre però. —È in prigione anche lui, per omicidio, e non ne uscirà vivo probabilmente—soggiunse il notaio. —E gli altri parenti? domandò miss Elsa. —Non ho nessuno—rispose il ragazzo. —Come vivi? —Cara signorina,—disse il notaio—ci vuol così poco per vivere nella sua condizione e alla sua età! —Perchè non lo mettono in un asilo di orfani? Può essere calcolato per tale. Qualcuno dovrebbe occuparsene. —Ma ce n'è venti, trenta, cinquanta nello stesso caso! Che vuol provvedere? Mancano i mezzi. —Verrai domattina?—tornò a domandargli miss Elsa con voce intenerita dalla commozione. —Eccellenza, sì. —Perchè ti sei accostato a noi? Chi t'ha detto:—Va'ad ascoltare quel che dicono? Afferrato improvvisamente per un braccio e colto alla sprovveduta da questa domanda di Paolo, il ragazzo si smarrì, e balbettò: —Me l'ha detto… me l'ha detto… Nessuno me l'ha detto—poi si corresse, accigliato. —Chi te l'ha detto, sì? Non esser bugiardo —Il dottor Medulla…—confessò il ragazzo piagnucolando sotto la forte stretta della mano che lo aveva agguantato. —Oh!—esclamò miss Elsa, indignata.—E perchè? —Per niente signorina; perchè quel signore non ha altro da fare… e perchè… —Il perchè lo so io, notaio—lo interruppe Paolo Jenco che si mordeva le labbra, fremente. —Adoprare un ragazzino per un atto così vile!… Non avrei mai creduto che il dottor Medulla fosse capace di questo! —È un imbecille presuntuoso e vigliacco! —Non si arrabbi, signor Jenco!—disse miss Elsa aggiungendo alla gentilezza delle parole la dolcezza d'uno sguardo che pregava. —Senti,—proseguì Paolo—va' a rapportargli: Don Paolino diceva che voscenza è un buffone. —No,—intervenne il notaio.—Non gli dirai niente. Sarebbe troppa soddisfazione per quel pettegolo. E vi andrebbe di mezzo la signorina. Non gli dirai niente, hai capito?—continuò rivolto al ragazzo—se no, ti darò quattro scoppole e quattro calci io. —Niente, eccellenza, sì; niente! Bella Madre Santissima! —E domani andrai laggiù, dalla signorina Ti darà il vestito. —Eccellenza, sì! —Far fare la spia a un ragazzo!… Ma perchè?… Oh! Il dolce viso di miss Elsa era diventato così severo e le sue rosee labbra si erano così scolorite, che il notaio sentì pietà di lei e stringendole una mano la confortava: —Signorina, il mondo è cattivo! VIII. Scendevano, silenziosi, per lo stradone; miss Elsa con gli occhi bassi e le ciglia un po' corrugate, quasi facesse un insolito sforzo di riflessione; Paolo Jenco mordendosi le labbra, con gli sguardi ancora lampeggianti di sdegno, che però si addolcivano di tratto in tratto, quando li rivolgeva a osservare la signorina, quantunque il silenzio e l'atteggiamento di lei lo rendessero perplesso nel risolversi a dirle quel che gli tumultuava nel cuore. Improvvisamente miss Elsa rizzò il capo, spalancò gli occhi ed esclamò soddisfatta: —Ho capito! —Che cosa?—domandò Paolo maravigliato. —Il segreto di mio padre. —Ha un segreto anche per lei? —Non sapevo spiegarmi per quale ragione, da quasi un anno, noi viviamo proprio isolati laggiù a Villa Elsa, evitati, dovrei dire. —Oh!… Miss Elsa! —Da principio non è stato così. Fin alcune signore di Settefonti si benignavano di farci qualche visita, di accettare i nostri inviti. Ricorda che belle giornate di intima allegria? E che serate, quando quei signori, partivano di là a notte alta, al lume di luna? Io rimanevo su la terrazza del Cottage per vederli salire verso il paesetto, a piccole brigate di tre, di quattro persone; per rispondere ai loro saluti da lontano, che risonavano limpidissimi per la vallata; per ascoltare i violini, i flauti, le chitarre e gli strumenti di ottone che chiudevano la marcia e si affievolivano, si affievolivano, quasi la fatica della ripida salita smorzasse il fiato ai suonatori venuti sul tardi a far la serenata agli invitati ed a noi… Poi, a poco a poco, le visite diradarono, e gli invitati risposero scuse che avevano l'aria di pretesti per non accettare. E anche mio padre diradò le sue gite a Settefonti, che servivano, soleva dire, a sgranchirgli le gambe. Fedeli sono rimasti lei, suo padre, il notaio e… il dottor Medulla. —Non lo nomini neppure! —E ogni volta che io ho domandato a mio padre:—Ma perchè?—mio padre si è fatto un po' scuro in viso e mi ha risposto con apparente noncuranza:—Paese che vai, usanza che trovi!—Brutta usanza!—pensavo. Ora, dopo quel che è accaduto poco fa col ragazzino… Che abbiamo fatto di male mio padre, mia madre, la zia, io?… E perchè mio padre non è più chiamato, come una volta: il Benefattore? —Perchè il mondo è cattivo, gliel'ha detto il notaio. —È stato ed è davvero un benefattore; posso proclamarlo con orgoglio. —Appunto per ciò!… E fossero soltanto essi cattivi ed ingrati! Ma costringono ad essere o ad apparir tali anche gli altri, perchè non tutti abbiamo la forza e il coraggio di ribellarci a un pregiudizio, di opporci a un'ingiustizia… Io, che lei stima meno cattivo di parecchi, io sono un vigliacco… me lo lasci dire; un vigliacco! Mio padre è peggio di me, perchè la vigliaccheria gli sembra prudenza. Deve averlo notato: in questi ultimi mesi, egli è venuto soltanto due volte laggiù. Io ho osato di venire, di accompagnarla spesso, ma non ho mai saputo osare… Si fermò, torcendosi le mani, alzando rabbiosamente gli occhi al cielo, con tale espressione di dolore che anche miss Elsa, voltatasi a guardarlo, non potè far a meno di fermarsi, lievemente arrossita in viso; la reticenza l'aveva turbata. —Paese che vai, usanza che trovi!—ella disse sorridendo con lieve espressione di tristezza. —E poi—riprese Paolo, quasi non avesse udito quelle parole…—se anche avessi saputo osare… che cosa avrei conchiuso? —Bisogna essere sinceri, per restare onesti,—mormorò miss Elsa. —Bisogna, in certe circostanze darsi un bel colpo di pistola a una tempia! —Sarebbe vero dunque che lei non crede in Dio, lei?—domandò miss
Elsa con dolcissimo accento di compassione e di rimprovero.
—Se Dio esistesse, non permetterebbe tante infamie! —Oh, no, signor Paolo, non parli così! Del bene e del male che facciamo siamo responsabili noi. —E di quello che ci costringono a fare gli altri? —Nessuno può costringerci a fare il male. —Non tutti siamo santi o eroi. —Basta essere uomini di retto cuore. Ora scendevano lentamente. Lo stradone in quel punto tagliava una collina, s'inoltrava tra due alte sponde che formavano rampe coperte di erbe selvatiche tutte in fiore. Cardi rizzavano spinosi steli coronati da ciuffi azzurri, violetti, gialli; pianticine rampicanti con fiori rossi a stelline, sembravano cosparse di

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Argomenti: forte stretta,    don paolino,    insolito sforzo,    lieve espressione

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