Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 5

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della fanciulla. Prese la lettera, l'aperse, lesse ad alta vece: «Gentile Signorina, «Il povero fanciullo ch'Ella ha veduto morire, non aveva altri al mondo che una sorella, la quale gli faceva da madre. Essa ha vent'anni ed abita in un abbaino su 'l Corso di Porta Nuova N…. Lavora da sarta. «Con rispetto. Le porgo i miei doveri. «ANTON MARIO DEL POZZO.» «Va bene!—disse Lucia piegando la lettera, mentre uno strano senso di incresciosità le sconvolgeva il cuore. Trovava quelle righe troppo cerimoniose, troppo fredde, dopo che tutti due avevano passato un'ora al letto del morente, risentendo le medesime impressioni, soffrendo le medesime ansie. Le pareva ch'egli avrebbe potuto aggiungere almeno una, una sola parola un po' gentile nel darle l'informazione di cui ella lo aveva incaricato. Sentì eccessiva la delicatezza del giovine che aveva voluto consegnare la lettera, aperta al suo babbo. «Va bene!—tornò a dire.—E se tu, papà, lo permetti, andrò con Adele a vedere la sorella del povero fanciullo e le porterò i miei risparmi. Vide negli occhi della zia lampeggiare la disapprovazione per quel passo imprudente, quasi ardito. Una signorina che andava in un abbaino!.. che si metteva a contatto con una ragazza sconosciuta; una sartina; forse peggio; e vi andava con Adele, che ella, se avesse potuto, avrebbe licenziata volentieri. Questo, Lucia lesse negli occhi della zia e fece una impercettibile spallucciata. Il papà, lui, acconsentiva; altro!.. anzi toglieva dal portafoglio alcuni biglietti di Banca e li dava a la figliuola. Il povero ragazzo operaio era morto lavorando in fabbrica; era un dovere pensare, provvedere a chi lasciava. Lucia rispose al suo papà buttandogli le braccia al collo. Come era contenta di quel tratto di generosità, lei che aveva tanto sofferto per la sua indifferenza il giorno della disgrazia del povero fanciullo!.. Dunque anche suo padre aveva cuore caritatevole e generoso, malgrado le apparenze, che lo facevano parere insensibile, freddo, amante delle abitudini, della quiete morale!… No; no; il suo papà non era, come la zia, incapace di vedere un palmo in là del proprio orizzonte; lui non dimenticava, per quanto spesso sembrasse, d'essere stato povero; d'aver passato l'infanzia, l'adolescenza e parte della giovinezza nelle ristrettezze non di rado dolorose; insieme con la fortuna, egli non aveva accolto certi pregiudizi ridicoli e crudeli!… In fatti, quando aveva saputo dell'amore di Adele, aveva interrogato il cocchiere per veder chiaro nella cosa e per interesse della giovine, che era in casa da parecchi anni. Il cocchiere, un onesto giovanotto, aveva subito confessato il suo affetto e dette le sue buone intenzioni; ed egli, il babbo, aveva stabilito il tempo delle nozze, aggiungendo che una volta marito e moglie, se volevano, avrebbero potuto continuare a servire in casa. Alle osservazioni della sorella, a' suoi atti scandolezzati, un po' ridendo, un po' su 'l serio, aveva bellamente fatto capire, che era sua intenzione fosse fatto così, e che così si sarebbe fatto. Lucia ingollò in fretta la colazione, nella impazienza di uscire, di andare dalla povera fanciulla, che aveva così barbaramente perduto l'unico fratello. Indossò un vestito scuro, modestissimo; in testa mise un cappello di paglia nera senza ornamenti; e così semplice e nella semplicità più che mai elegante e graziosa, si incamminò con Adele. La giornata, era smagliante di sereno; l'aria calda e piena di effluvi odorosi. Presero per un viale del parco, che avrebbero attraversato per sboccare su 'l corso Garibaldi, e di là, infilare i bastioni fino a Porta Nuova. Il babbo aveva proposto di ordinare la carrozza. Ma Lucia non aveva voluto; la delicatezza che le aveva suggerito di vestire modestamente, la faceva rifuggire da ogni apparenza di lusso. Recare soccorso e conforto al povero, in toeletta sfoggiata e in carrozza, le sarebbe sembrato brutto, meschino, quasi vile. Il sole abbagliante indorava il parco dalle piante tutt'ora in arbusto; senz'ombra. Su l'erba de' prati, le prime farfalle volavano in avida ricerca dei fiori. I passeri, gli usignuoli, qualche cincia, volavano da una pianta a l'altra, in gran faccende per la costruzione del nido; da un boschetto veniva il gorgheggio della capinera; ogni tanto un volo di rondini segnava una mobile striscia nera nell'aria d'oro e un garrito prolungato diceva la gioia del ritorno. Lucia e Adele, con l'ombrellino aperto, trotterellavano via svelte e leggiere chiacchierando con la confidenza benevola e rispettosamente affettuosa, che sempre è fra una padroncina buona e giusta, e una domestica riconoscente e affezionata. Adele diceva della sospettosa sorveglianza, dei rimproveri, dalle continue stoccate della signora Marta, che pareva si imbattesse nel diavolo ogni volta che vedeva lei o il cocchiere, e che mandava saette dagli occhi quando li sorprendeva insieme a scambiarsi due parole, da gente che si vuol bene. «È pure stata maritata anche lei!—soggiungeva.—E se fu maritata è segno che ha voluto bene a suo marito, anche prima che fosse suo marito. O in certi casi, essere poveri o ricchi non è lo stesso?… Lucia dava ragione a Adele senza però dare apertamente torto a la zia. Oh tutt'altro!… La povera donna bisognava compatirla; era in là con gli anni; aveva sofferto per la lunga malattia del marito. «Ed ha un cervellino da coniglio, poveretta!—finiva fra sé. Al vecchio Tivoli, si imbatterono nell'ingegnere del Pozzo, che vedendo Lucia, fece un leggero atto di sorpresa e salutò cerimoniosamente facendo di cappello. Quell'improvviso, inaspettato incontro, fece dare un tuffo nel sangue della fanciulla. Emozione della quale rise tosto in cuor suo. Che sciocca era a commuoversi d'una cosa così naturale!… Proprio una sciocca che ella stessa non riusciva a capire. Arrivarono lungo i bastioni di Porta Garibaldi. Gli ippocastani erano già coperti di foglie d'un color verde tenero; foglie di poco sbocciate dalle gemme. Di sotto il viale, dal suolo ricamato di ombre fantastiche e mobili, la gente camminava frettolosa e allietata dall'aria primaverile. Giunsero presto su 'l corso di Porta Nuova, a la casa additata. La giovine sarta a la quale era morto il fratello nella fabbrica ove lavorava, era in casa. «Scala a destra, seconda corte, abbaino numero otto!—informò il portinaio, dal deschetto, non smettendo di battere il cuoio d'una suola di scarpa. Attraversarono la prima corte; entrarono nella seconda. Lucia si mise per la prima nella scaletta ripida e scura; e su, su, su, seguita da Adele che cominciava a ansimare. A l'ultimo pianerottolo, infilò un'altra scaletta serrata fra i muri, finchè giunse nello stretto corridoio dove mettevano gli usci numerizzati degli abbaini. In uno di questi, aperto, una vecchia si cullava su le ginocchia un bimbo in fasce, cantandogli il ninna nanna con voce roca. Da un altro, insieme con un piagnucolare di fanciullo, veniva un odore tignoso di merluzzo fritto. In un terzo, chiuso, si rideva vociando. L'abbaino numero otto, era l'ultimo ed aveva l'uscio aperto sbarrato. Lucia e Adele si arrestarono un momento su la soglia. Seduta a un tavolino ingombro di matassine e rocchetti e cuscinetti per aghi e spilli e forbici e ritagli di stoffa, una giovine donna, baciata dal sole che pioveva un suo raggio dal finestrino, in alto, staccando una tinta d'oro dai suoi capelli biondi e copiosi, era intenta al lavoro. Levò gli occhi cerchiati d'azzurro come Lucia chiese il permesso d'entrare; si alzò premurosamente, stette in attesa di sapere il perchè della visita. Lucia si spiegò. A le parole della signorina, il volto pallido e soave della giovine bionda, prese poco a poco un'espressione dura; la bocca le si atteggiò a disdegnosa amarezza; gli occhi turchini si fecero torbidi. Con i pugni serrati su 'l tavolino, il busto sporgente innanzi, aveva l'aria d'una creatura offesa, che si ribella a soprusi e prepotenze. «L'hanno lasciato

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Argomenti: povero ragazzo,    volto pallido,    povero fanciullo,    tavolino ingombro,    strano senso

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