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Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 19illuminò maestosamente il mare, i monti, in distanza; ogni cosa. Lucia si alzò; si vestì e pensò che l'Autore di tanto cose sublimi, non avrebbe potuto permettere che nel suo cuore fosse spenta ogni luce di speranza. * * * Zia Marta, nelle sue lettere piagnucolava. Aveva dovuto abbandonare il villino; s'era ridotta a vivere in tre stanzucce fuori porta; la pensione le bastava a pena per non morire di fame; era una vita misera. Invidiava la nipote. Ella poteva vivere tranquilla o in qualche agiatezza. Peccato che la sua casa fosse perduta in quel villaggio ove durante l'inverno non si vedeva anima viva; se fosse stata in città l'avrebbe pregata di ospitarla; avrebbero fatto vita insieme. Di lasciare Milano, le sue abitudini cittadine, le sue amiche, ella non si sentiva il coraggio. E stava lì sola soletta, stancando il cervello per studiare il modo di fare economia, imponendosi privazioni, sacrifici d'ogni maniera. Erano lettere gemebonde che infastidivano perchè inspirate dall'egoismo. Lucia si proponeva di soccorrere la zia; si sarebbe ristretta. Per lei e Bortolo ci voleva così poco! Pippo Ferretti, impiegato in una casa commerciale di Londra, scrisse una sola lettera a la figliuola, dopo il fallimento. Poche parole senza un'allusione a la disgrazia; si felicitava con la figlia, che, se non altro, non aveva bisogno di nessuno. La felicitazione mal celava una punta d'invidia, quasi un rimprovero. «Se io morissi—pensava qualche volta la fanciulla—il poco che possiedo passerebbe a papà, e verrebbe, forse a stabilirsi qui con la moglie. Si figurò la signora Rabbi nella modesta casetta e un senso amaro le sconvolse il cuore, «Sarebbe spostata come una regina in un capanno!—disse:—Lo spirito della povera mamma, ne soffrirebbe. Se quella donna entrasse qui, i ricordi ne sarebbero offesi e si involerebbero. Ma… papà non avrebbe forse bisogno di lavorare a la dipendenza degli altri! Poco a poco, il pensiero della sua agiatezza, per quanto modestissima, la turbò come una colpa, le riuscì incresciosa come un rimorso. Si esagerò la condizione del padre, il suo avvilimento da persona usa a comandare, ora dipendente; misurò con il proprio sentimento il suo dolore d'uomo ruinato; ne rimase accasciata. «Se morissi—si trovò ancora a pensare—quel poco che possiedo passerebbe a lui e potrebbe vivere, se non altro, indipendente! «Si duole di morire chi è circondato da affezioni!—continuò fra di sè.—Quando si è soli e non si è amati, a che cosa serve vivere?.. A che cosa serve? La giornata ora smagliante di sereno; non una nuvola in cielo; il mare a pena increspato, l'aria biancastra, troppo piena di luce. Nel suo costume di bagno, Lucia, seduta fra gli scogli, in una insenatura, a l'ombra, con i piedi nell'acqua, pensava. «Papà non mi vuol più bene!.. Se, morissi non gli importerebbe nulla! Le si gonfiò il cuore ricordando il tempo in cui suo padre l'adorava, non aveva occhi e cure che per lei, la sua unica figliuola; il tempo in cui la gente diceva che egli la viziava! Come era felice allora!…. per certo avrebbe riso su la faccia a chi le avesse predetto che quella tenerezza esclusiva dovesse un giorno mutarsi in indifferenza. «Quella donna gli ha cambiato il cuore!—mormorò—lo ha affascinato! C'era dunque il fascino?… una potenza individuale, che attrae e incatena spogliando d'ogni volontà!… C'era dunque davvero il fascino? Rivide con la fantasia, gli occhi chiari dell'ingegnere Del Pozzo; occhi che frugavano nell'anima commuovendo, destando sensazioni non mai provate. Come erano dolci, affettuosi quegli occhi, là, a Milano, la sera prima della sua partenza per la spiaggia! Come erano torbidi e severi il dì ch'egli era venuto a darle la notizia del fallimento! E quella sera, al letto del povero Cecchino morente? Nel cuore le si agitò la smania di rivederli quegli occhi chiari e luminosi; di sentirsene guardata, fosse anche torbidamente, severamente come l'ultima volta. Ed era una smania che le faceva martellare il cuore in petto, premendole le lagrime. Su 'l mare in calma, nelle barchette, che si staccavano dalla riva dello stabilimento, spiccavano nella luce dorata, signore e signorine nei loro capricciosi costumi, con in testa gli ampi cappelloni bianchi, e i giovinetti, che lo accompagnavano, quale a cavalcione della prua, quale ritto in poppa, altri con il remo vogando. Ed era un vociare festoso, uno scoppiettio di risatine squillanti, ogni tanto uno strillo di affettata paura. Lucia ritirò i piedi dall'acqua; si rizzò. L'aveva scossa il timore di essere sorpresa dalle sorelle Marri e da esse obbligata a passare la scogliera, a recarsi allo stabilimento. Al pensiero di ritrovarsi con la gente, specialmente con lo Svarzi, le saliva la nausea a la gola. Voleva essere sola; perchè non la lasciavano sola?…. Quel giorno poi non si sentiva punto bene. Aveva la testa greve; le correvano i gricciori per la vita, e nello stesso tempo, le scottavano le mani, il capo, tutto il resto del corpo. Era da un pezzo che provava un malessere strano; una debolezza a le gambe che le si piegavano sotto, frequenti capogiri, ripugnanza al cibo e un gran bisogno di starsene sdraiata o seduta senza far nulla. Ora sentiva il desiderio di tuffarsi in acqua; un bagno l'avrebbe rinfrescata, le avrebbe ridata un po' d'energia. Si arrampicò su lo scoglio estremo, che sporgeva innanzi e dal quale si poteva saltare con sicurezza come da un trampolino. Con i capelli raccolti in grosso nodo su la nuca, la testa scoperta, bella nel costume che ne delineava la persona snella e elegante, le braccia stese e le mani serrate palma a palma, stava per spiccare il salto, quando si sentì afferrata a la vita e si trovò fra le braccia dello Svarzi. Un urlo di terrore e di ribrezzo insieme le sfuggì dal petto. Si divincolò con una stratta violenta e nel parossismo si lasciò andare nel vuoto. All'urlo era accorso Bortolo; erano venuti nuotando vari bagnanti. Dopo un istante la fanciulla precipitata in mare, riapparve, agitò una mano; sarebbe ripiombata a fondo se un nuotatore non l'avesse prontamente sostenuta e tratta a riva. Bortolo e Adele se la presero fra le braccia, la portarono in casa di peso, come morta. Lo Svarzi stesso recò la notizia allo stabilimento. Egli l'aveva veduta precipitare; non era stato in tempo di impedire la caduta. La volgare menzogna lo salvava da rimproveri e disprezzo, lo rendeva interessante con i particolari del fatto. La signora Marri e le figliuole corsero alla casetta; si informarono. Bortolo era stato per il medico. Nella camera della malata non erano che questi e Adele. Nessuno doveva entrare; era indispensabile la quiete. Quel giorno a la spiaggia dello stabilimento, si fece un gran parlare di Lucia, di suo padre, della signora Rabbi, della passione dello industriale per lei, delle sue pazzie, della ruina. L'invidia, covata a lungo, si disfogava in esagerazioni, in maldicenze. Non si risparmiava nè pure la fanciulla innocente, la vittima, che adesso là nel suo lettuccio, giaceva nell'incoscienza della febbre. Lo Svarzi era sparito subito dopo il racconto del fatto. Forse una punta di rimorso l'aveva obbligato a fuggire quei luoghi, ad allontanarsi dalla fanciulla che gli aveva inspirato una passione trista ma così forte da resistere non solo a l'indifferenza, ma al disdegno. * * * Il mare era sconvolto dalla tempesta. Non si facevano bagni quel pomeriggio; impossibile. Manco i più arrischiati avrebbero osato affrontare l'ira dei cavalloni, minacciosi sotto il cielo corrucciato e le ventate rabbiose. I bagnanti, seccati, inuggiti, si erano raccolti nel salotto dello stabilimento, portati là dall'abitudine, dall'ozio, forse anche dalla smania delle emozioni. Nel salotto erano crocchi, erano tavolini da giuoco, era musica. Il pianoforte gemeva sotto le dita d'una signorina che strimpellava musica classica. Degli uomini, chi fumava, chi sfogliava giornali, chi faceva dello spirito. 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