Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 18

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necessario che ci sia la stima!—soggiunse con un sospiro. In vece di entrare in casa, si mise nel sentieruolo che saliva su 'l poggio, e guidava, fra due filari di pini, al cimitero. «Vado a trovare la povera mamma!—si rivolse a dire a Adele. Il cimitero, piccolo, modesto, senza lusso d'ornamenti, con una sola cappella mortuaria che raccoglieva le ossa degli avi, dei nonni e della mamma di Lucia, qualche croce arruginita sorgente fra le erbe alte, qualche angioletto di ferro dipinto indicante la tomba d'un bimbo, e cippi, alcuni spogli, sepolti nel verde, altri adorni di ghirlandine di fiori freschi o circondati da brevi aiuole coltivate, era messo di sghembo su la costa del poggio, riparato dal sole che vi batteva in pieno da un folto di piante che si innalzavano lungo il muricciolo di cinta. Lucia vi giunse in pochi minuti. Al cigolio del cancello di ferro, che stentava ad aprirsi, frullò dalla pianta vicina, una capinera, che andò a posarsi un istante sopra il tetto della cappella, poi spiegò il volo alto. Il piccolo viale era ingombro di erba che conveniva acciaccare per percorrerlo. Nell'erba era un guizzare di lucertole, un rincorrersi d'insetti, un fremere di vita fra le tombe dei morti; un monotono, flebile suono di zizzio e stridio, e susurro, che rompeva il silenzio senza disturbarlo. Lucia si guardava intorno; ricordava persone conosciute nei nomi scolpiti nei cippi e nelle croci. Quanti non erano morti dalla sua infanzia in poi! Si fermò dinanzi a una colonnetta spezzata di marmo bianco, che portava il nome di «Anna Ladini.» «Aveva vent'anni quando la tisi la distrusse!—pensò; e pregò per l'anima della fanciulla che aveva veduta fiorente di salute, forte al lavoro, felice. Una bruna pietra orizzontale, ricinta da una siepe di mortella, segnava la tomba di Marina del fabbro, morta di dolore per l'abbandono del marito. Una croce pendente indicava il posto ove riposavano le spoglie di Bista, l'affittaiuolo che era morto solo invocando i figli sparsi per il mondo. Lì sotto un rosaio incolto, bianco di fiori, giaceva Carolina del fornaio, sua compagna d'infanzia, che il mare aveva buttata a riva annegata, dopo una tempesta. Più in là, sotto un capannuccio coperto di madreselva, consumavano i resti di Rosa, la vedova che aveva lasciati orfani sei figli. «Si soffre tanto, si passa per ogni sorta di pene, per poi finire così, al cimitero!… Che mette conto di affannarsi per una vita così breve? Era entrata nella cappella, fredda in confronto dell'aria esterna, illuminata dalla luce rossastra che pioveva passando attraverso i vetri delle alte finestrette. Vi ora un odore morto di rinchiuso e di fiori appassiti. Lucia si inginocchiò. Ma in vece di pregare come soleva, quel giorno si ritrovò a monologare senza avvedersene. Dov'era lo spirito dei morti?… si staccava dalle persone che aveva amate in terra?… le dimenticava?… o pure vive con noi, d'una vita che i nostri sensi imperfetti non possono sentire?… vita confusa, misteriosa, che forse si rivela nelle nostre aspirazioni, nei vaneggiamenti, nei sogni! Hanno i morti pietà delle nostre debolezze, dei nostri dolori? O sono severi della severità di chi più non lotta con la materia e più non può comprendere la miseria delle creature? Fra questo mondo e l'altro c'è un invisibile legame, o pure una inesorabile rottura?… «Mamma!… mi sei tu vicina con lo spirito o io ti invoco in vano?—susurrò la fanciulla tremante di dubbio, con in cuore un immenso desiderio di fede, di protezione e conforto. Si raccolse; volle scacciare da sè la superba titubanza, che la scoraggiava e desolava. No; non era possibile, che dopo tanta tenerezza, la mamma sua l'avesse lasciata sola su la terra!… Il suo spirito le stava vicino sempre; esso le susurrava al cuore suggerimenti buoni e santi; le dava la forza di sopportare il dolore e le delusioni, la confortava a sperare, la compativa. «No, mamma!… fra te e me non è spezzato il vincolo d'amore!… non può essere!… Dio non lo permetterebbe!… stammi vicina, mamma! proteggimi, mamma! Una tenerezza di pianto le strappava le lagrime mentre l'anima accoglieva un soave senso di fiducia e si chetava nella sicurezza dell'amore, della protezione materna. Quando uscì dal cimitero, il sole s'era ritirato nel brusco tramonto, segnando una riga di fuoco giù, in lontananza, nel punto che il cielo pare si abbassi a congiungersi con il mare. Quella sera a cena, non prese cibo; le ripugnava; sentiva la testa pesa; un gran desiderio di riposo. Andò a letto che la sera non era ancora calata. Si tirò su a sedere, lasciò andare la testa sui guanciali. Gli ultimi bagliori staccavano spiccati i paesaggi, le scene, le figurette della vecchia, bizzarra tappezzeria. Ogni paesaggio, ogni scena, ogni figuretta le ridestava nell'animo un ricordo; la tuffava nel passato. Quante volte, nella sua infanzia, ella non si era ritrovata ad animare con la fantasia le figure dai colori vivaci e dalle linee inverosimili e spesso ridicole che adornavano le pareti di quella cameretta! C'era una nevicata su la costa della montagna con una capannuccia quasi sepolta nella neve e due fanciulli a poca distanza, che le ricordava tutta una storia di miseria, di sventura, di eroismo; storia di poveri montanari sopraffatti da valanghe, lottanti con frane e gelo. C'era una nave nel mare burrascoso con passeggieri e marinai in atteggiamenti disperati, che le risvegliavano in cuore l'antica pietà per i naufraghi immaginari; c'erano antri con bestie favolose, villaggi abbattuti da terremoto, graziosi angoli verdi con gente tranquillamente raccolta. Poveri sgorbi che per lei si animavano interessandole il sentimento e la fantasia. Era stata la mamma, che durante i lunghi giorni di piova o le brevi malattie della sua infanzia, l'aveva le tante e tante volte intrattenuta illustrando con semplici racconti e descrizioni le figure della vecchia tappezzeria. Il ricordo dell'affetto materno, caldo, previdente, ingegnoso, le faceva sentire più amaro il suo presente di fanciulla quasi abbandonata a sè stessa. Si commosse nella pietà di sè, fu presa d'inquietitudine, sentì che non poteva dormire, sgusciò dal letto e si fece a la finestra così com'era, avvolta nella lunga camicia da notte. La notte era chiara, che ci si vedeva come di pieno giorno; le alte scogliere che stavano ai lati della casetta, fantastiche nel bagliore, si sarebbero dette immani mostri accucciati nell'onda. Il mare appena agitato dalle onde morte, pareva dormisse sotto le stelle. Nell'aria della notte limpida, si spandevano acutamente gli odori forti delle alghe, i soavi profumi delle gaggie, dei gelsomini, e magnolie e reseda. Lucia si abbandonò al piacere di respirare liberamente l'aria profumata. Il riposo dello spettacolo che le si spiegava dinanzi, la calmò come un bagno fresco. L'agitazione silenziosa delle bestie che si svegliano durante la notte nascondendo al sole la loro oscura esistenza, le accarezzava l'orecchio di rumori indistinti. Nel molle bagliore della notte, Lucia sentì corrersi nel sangue fremiti di speranza e di fiducia come se una affinità misteriosa l'unisse a quella poesia vivente. Rimase a fantasticare senza saperlo, finchè l'aria si fece frizzante e fu costretta a chiudere i vetri ed a cacciarsi sotto le coltri. Dormì poco. Verso oriente, l'orizzonte impallidiva nella luce smorta del mattino, quando ella si svegliò. Un gallo buttò il suo canto nell'aria; un altro gli rispose a distanza; fu in breve un concerto di voci rauche e acute e nell'immensa vôlta del cielo, che andava insensibilmente biancheggiando, le stelle illanguidivano e sparivano. Gli uccelli cominciarono a pipillare, poi a chiamarsi con pigolii, in fine a volare fra le piante e gli scogli con garriti e trilli e gorgheggi. Dalla finestra di fianco al suo letto, Lucia stette a vedere le nuvole rosee che gettavano su 'l mare una luce fantastica, finchè, lentamente, il sole, sfolgorante, grandioso,

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Argomenti: piccolo viale,    flebile suono,    immenso desiderio,    soave senso,    mare burrascoso

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