Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile pagina 2

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nazionale, e quando si tratta del lusso della loro casa e delle toelette delle loro signore, ricorrono all'estero, diffidando del gusto del paese, quasi disdegnandolo. Che peccato che tu non sia qui per il famoso festone, che deve essere di quelli di cui i giornali si interessano! Per certo avresti avuto anche tu una toeletta di rango francese, e così cammuffate, seguendo la moda della giornata, che esige vecchi balli risorti e rinnovati da un battesimo straniero, parole, biascicate in lingue d'oltre alpi e d'oltre mare, atti a l'americana e giù di lì, si avrebbe forse avuto tutte due il sommo piacere di essere giudicate signorine perfette e forse anche la gloria di leggere il nostro nome nei giornali con tanto di descrizione e di lode! Ma basta per oggi. Ciao carissima; ciao egoistona, che per amore del tuo cattivo orgoglio, hai avuto il coraggio di abbandonare la povera LUCIA.» Finito di scrivere, Lucia, piegò il foglio in due, lo chiuse nella busta e fece l'indirizzo, quando il fischio acuto e prolungato della fabbrica, richiamò gli operai al lavoro. «Già le tredici!—disse meravigliata. E alzatasi, con la lettera in mano, che voleva fosse impostata subito, socchiuse le gelosie e stette a vedere gli operai tornare frettolosi a la fabbrica. Di questi, alcuni sdraiati bocconi lungo il marciapiede, si alzavano stiracchiandosi e sbadigliando; si davano una scrollatina e via; altri finivano d'ingollare la loro polenta o il pane con lo scarso companatico; un ragazzetto cantava a tutto spiano; due fanciulli si rincorrevano vociando. In breve la fabbrica ebbe inghiottita tutta quella gente, e per la via deserta, di quella parte di città tuttora spopolata, tornò il silenzio. Lucia, sempre dietro le gelosie socchiuse, voleva persuadersi che fosse interessante lo spettacolo della via polverosa battuta dal sole abbagliante e che i rari passeri che volavano dalle piante del giardino a beccuzzare le briciole sparse su l'acciottolato, fossero meritevoli di particolare attenzione. Ma l'interesse e l'attenzione furono tosto assorbiti da una persona che si andava avvicinando; la persona dell'ingegnere Del Pozzo, il Conte Anton Mario Del Pozzo, l'orgoglioso che quando favoriva in casa aveva l'aria di degnarsi. Era un bel giovine il Conte Del Pozzo; alto, diritto, bruno pallido, con i capelli neri a spazzola, i baffi arricciati in punta. Il babbo di Lucia lo stimava assai; gli operai dello stabilimento gli volevano bene e l'obbedivano come altrettanti agnelli. Tutti lo portavano ai sette cieli. «Credo ch'egli sia dotato d'un certo fascino!—pensava Lucia—E il fascino ha da essere tutto ne' suoi occhi strani! Certi occhi grandi, di un colore fra il grigio e il verdastro, d'uno sguardo profondo, dolce e melanconico ad un tempo; certi occhi che non si potevano dimenticare. No; non si potevano dimenticare; di questo Lucia era convinta e persuasa.
Il fascino egli lo doveva avere davvero negli occhi!…
Ma possedessero pure, quegli occhi, tutta la potenza affascinatrice che si volesse, a lei non avrebbero certo fatto nè caldo nè freddo. Dovette convenire, arrossendo con un segreto inesplicabile rincrescimento, che il giovine ingegnere non l'aveva mai guardata in modo da far supporre in lui delle idee da affascinatore. Si erano trovati così di rado insieme!… Ed anche quelle poche volte, egli, al di là del saluto rispettoso e di poche parole quasi d'obbligo, non aveva mai fatto nulla, manco con un'occhiata, per esprimere il benchè minimo desiderio di stare con lei. Il suo fascino, se pure è vero che ce l'abbia, egli non pensa certo di usarlo con te!—le mormorò dentro una voce.—E—continuò la voce—faresti bene a non occuparti di lui, e lasciarlo in pace, poi che egli non si cura di te! Lucia rispose a quella voce con una spallucciata. Ella si curava di lui?… Era matto da legare chi lo credeva. Ed era una voce pettegola e falsa quella che le andava blaterando simili scioccherie. «Ho proprio bisogno che lui si occupi di me!—pensò. E ricordò, con un sorriso, i vagheggini che le giravano intorno facendole la ruota come piccioni innamorati! O non era già stata chiesta in sposa dall'avvocato Stolzi e dal capitano Fralli?… Non dipendeva che da lei rispondere di sì. Ma lei aveva invece risposto decisivamente di no. E il figlio del ricco banchiere Svarzi, il signor Aldo, non la seccava con la sua assiduità?… Ah quanto la seccava!… La seccavano tutti, ecco. Bastava che qualcuno le si mettesse intorno con l'aria di farle la corte, perchè dentro l'anima le sorgesse il fastidio, quasi la ribellione. Non voleva saperne di matrimonio nè di spasimanti lei. Non aveva che diciott'anni in fin de' conti. Maritarsi per maritarsi come facevano parecchie fanciulle, ella non lo avrebbe fatto mai e poi mai. E chi le faceva gli occhi di triglia le dava noia. Non sposerò che uno che io senta di amare davvero e molto!—concluse. «Che se quell'uno per me non ci sarà, ebbene! resterò nubile, nubile, nubile, come tante altre e come la Lena, che non ha voluto sposare il farmacista che le voleva bene e adesso ha trent'anni suonati! A proposito di Lena si ricordò della lettera che aveva in mano e che le premeva d'impostare presto. Uscì dalla cameretta, scese lo scalone e entrò come una folata di vento nel salottino di compagnia. Sedute vicine l'una a l'altra, zia Marta e le sorelle Zolli, nel cantuccio favorito, presso l'uscio a vetri che dava in giardino, chiaccheravano animatamente. Si spaurirono a l'entrata improvvisa della fanciulla e troncarono la conversazione. «Zia—disse Lucia, dopo aver salutato e mettendosi il cappello in testa davanti a la specchiera: «Esco un momento con Adele per impostare questa lettera! «Con Adele?—fece la zia stringendo le labbra che sparirono nelle crespe sottili, e socchiudendo gli occhi. Le sorelle Zolli guardarono Lucia in aria scandolezzata. Un vivo rossore si diffuse su 'l volto della fanciulla, mentre si avanzò fin verso le tre signore, fissandole in atto di chi vuole e aspetta una spiegazione. «Vai con chi vuoi, ma non con Adele!—fece la zia. «Perchè?—chiese la fanciulla con voce un po' rauca. «Adele è una scostumata!—spiegò zia Marta. «Fa a l'amore!—saltò su la signora Aurora, la maggiore delle sorelle
Zolli.
«Non è bene che una signorina a modo si faccia vedere intorno con lei!—soggiunse l'altra sorella Zolli; la signora Rosetta. «Fa a l'amore con il cocchiere!—informò zia Marta. «È tutto qui?—chiese freddamente Lucia. «Converrà licenziarla!—mormorò la zia, seccata dal tono freddo della nipote. Di rossa, Lucia si fece smorta. «Come?… licenziare Adele, la sua antica bambinaia, che aveva conosciuto e voluto bene a la povera mamma!… una brava e onesta ragazza?… Licenziarla perchè amava ed era riamata? «Ma… zia—disse, balbettando un poco,—ti ho sentita ieri parlare dell'amore fra la signorina Cromi e il tenente Poggi e ti intenerivi come di cosa nobile e gentile! Zia Marta si dimenò su la seggiola mormorando: «quello è un altro par di maniche! Un altro par di maniche?… E perché?… La signorina Cromi avrebbe sposato il tenente Poggi, come Adele avrebbe sposato il cocchiere!… E se non era disonesto l'amore fra una signorina ed un ufficiale, non lo doveva neppure essere quello fra due bravi giovani che lavoravano per vivere. Differenze, Lucia non ne vedeva. E zia Marta aveva troppo criterio per pensare che una persona giovine e affettuosa, per la ragione che aveva l'onore di servirla, dovesse rinunciare al proprio avvenire e soffocare il proprio sentimento. Parlare di licenziamento era cosa ingiusta e crudele. Ella stessa, Lucia, avrebbe fatto in maniera che Adele sposasse presto il cocchiere. Le voleva bene lei, la stimava; nessuno mai le avrebbe fatto del male; se la prendeva sotto la sua protezione, se la prendeva! Qui Lucia, che aveva parlato un po' vibratamente, nauseata da quella ingiustizia, da quei pregiudizi, da quell'egoismo,

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Argomenti: vivo rossore,    fischio acuto,    saluto rispettoso,    troppo criterio,    minimo desiderio

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