Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 8

Testo di pubblico dominio

nelle case, in sul far male arditamente si mettono argomentando che, se quello è a lei sofferto che non sarebbe sofferto alla serva, chiaramente può conoscere sé donna e signoreggiante. E primieramente alle fogge nuove, alle leggiadrie non usate, anzi lascivie, e alle disdicevoli pompe si danno; e a niuna pare essere bella né raguardevole, se non tanto quanto ella ne' modi, nelle smancerie e ne' portamenti somigliano le piuviche meretrici; le quali tanti nuovi abiti né disonesti possono nella città arrecare, che loro tolti non sieno da quelle che gli stolti mariti credono esser pudiche; li quali, avendo male i loro danari spesi, acciò che gittati non paiano, queste cose nelle dette maniere lasciano usare, senza guardare in che segno debba ferire quello strale. Come esse da questo fiere nelle case divengono, i miseri il sanno, che 'l pruovano: esse, sì come rapide e fameliche lupe, venute ad occupare i patrimoni, i beni e le riccheze de' mariti, or qua or là discorrendo, in continui romori co' servi, colle fanti, co' fattori, co' frategli e figliuoli de' mariti medesimi stanno, mostrando sé ténere riguardatrici di quelli, dove esse discipatrici desiderano d'essere; senza che, acciò che ténere paiano di coloro di cui esse hanno poca cura, mai ne' lor letti non si dorme: tutta la notte in letigi trapassa e in questioni, dicendo ciascuna al suo: “Ben veggio come tu m'ami: ben sarei cieca se io non m'accorgessi che altri t'è all'animo più ch'io. Credi tu ch'i' sia abbagliata, e ch'io non sappia a cui tu vai dietro, a cui tu vuogli bene e a cui tu tutto 'l dì favelli? Ben so bene: io ho migliori spie che tu non credi. Misera me! ché è cotanto tempo ch'io ci venni, e pure una volta ancora non mi dicesti quando a letto mi vengo: ‘Amor mio, ben sia venuta’. Ma, alla croce di Dio, io farò di quelle a te che tu fai a me. Or son io così sparuta? Non son io così bella come la cotale? Ma sai che ti dico? chi due bocche bacia, l'una convien che li puta. Fatti in costà: se Dio m'aiuti, tu non mi toccherai: va' dietro a quelle di che tu se' degno; ché certo tu non eri degno d'avere me; e fai ben ritratto di quel che tu se'. Ma a fare a far sia. Pensa che tu non mi ricogliesti del fango; e Dio il sa chenti e quali erano quelli che se l'arebbono tenuto in grazia d'avermi presa senza dote, e sarei stata donna e madonna d'ogni lor cosa: e a te diedi cotante centinaia di fiorini d'oro, né mai pur d'un bicchiere d'acqua non ci pote' esser donna, senza mille rimbrotti de' frateti e de' fanti tuoi: basterebbe s'io fossi la fante loro! E' fu bene la mia disaventura ch'io mai ti vidi: che fiaccar possa la coscia chi prima ne fece parola!”. E con queste e con molte simili e più altre assai più cocenti, senza niuna legittima o giusta cagione avere, tutta la notte tormentano i cattivelli: de' quali infiniti sono, che cacciano chi 'l padre, chi il figliuolo; chi da' fratelli si divide; e quali né la madre né 'l padre a casa si vogliono vedere; e lascia il campo solo alla vittrice donna. Le quali, poi che espedita la possessione vegono, tutta la sollecitudine alle ruffiane e agli amanti si volge. E sieti manifesto che colei, che in questa moltitudine più casta e più onesta ti pare, vorrebbe avanti solo uno occhio avere che esser contenta solo d'uno uomo; e, se forse due o tre ne bastassero, sarie qualche cosa; e forse saria tolerabile se questi due o tre avanzassero i mariti, o fossero almen lor pari. La loro lussuria è focosa e insaziabile; e per questo non patisce né numero né elezione: il fante, il lavoratore, il mugnaio, e ancora il nero etiopo, ciascuno è buono, sol che possa. E sono certo che sarebbono di quelle che ardirebbono a negare questo, se l'uomo non sapesse già molte, non essendo i mariti presenti o quelli lasciati nel letto dormendo, esserne ne' lupanari pubblici andate con vestimenti mutati; e di quelli ultimamente essersi partite stanche ma non sazie. E che cosa è egli ch'elle non ardiscano, per potere a questo bestiale loro appetito sodisfare? Esse si mostrano timide e paurose; e, comandandolo il marito, quantunque la cagione fosse onesta, non sarrebbono in niuno luogo alto, ché dicono che vien meno loro il cerebro non entrerebbono in mare, ché dicono che lo stomaco nol patiscie; non andrebbono di notte, ché dicono che temono gli spiriti, l'anime e le fantasime. Se sentono un topo andare per la casa e che 'l vento muova una finestra o che una piccola pietra caggia, tutte si riscuotono e fugge loro il sangue e la forza, come se a un mortale pericolo soprastessono. Ma esse prestano fortissimi animi a quelle cose le quali esse vogliono disonestamente adoperare. Quante già su per le sommità delle case, de' palagi e delle torri andate sono, e vanno, da' loro amanti chiamate o aspettate? Quante già presummettero e presummono tutto il giorno o davanti agli occhi de' mariti sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascondere? Quante nel letto medesimo farli tacitamente intrare? Quante, sole e di notte e per mezo gli armati e ancora per mare e per li cimiteri delle chiese, se ne truovano continuo dietro chi me' lavora? e, che maggior vituperio è, veggenti i mariti, ne sono assai che presummono fare i lor piaceri. Oh quanti parti in quelle, che più temono o che più delli loro falli arrossano, innanzi al tempo periscono! Per questo la misera savina, più che gli altri alberi, si truova sempre pelata, quantunque esse a ciò abbiano argomenti infiniti. Quanti parti per questo, mal lor grado venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! riguardinsi gli spedali. Quanti ancora, prima che essi il maternale latte abbino preso, se n'uccidono! Quanti a' boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti e in sì fatte maniere ne periscono che, bene ogni cosa considerata, il minore peccato in loro è l'avere l'appetito della lussuria seguito. Et è questo esecrabile sesso femmineo, oltre ad ogni altra comparazione, sospettoso e iracundo. Niuna cosa si potrà con vicino, con parente o con amico trattare, che, se ad esse non è palese, che esse subitamente non suspichino contro a loro adoperarsi e in loro detrimento trattarsi; benché di ciò gli uomini non si debbono molto maravigliare, per ciò che naturale cosa è di quelle cose, che altri sempre opera in altrui, di quelle da altrui sempre temere; per questo sogliono i ladroni sapere ben riporre le cose loro. Tutti i pensieri delle femine, tutto lo studio, tutte l'opere a niuna altra cosa tirano, se non a rubare, a signoreggiare e ad ingannare gli uomini; per che leggiermente credono sopra loro d'ogni cosa, che non sanno, simili trattati tenersi. Da questo gli strolagi, li negromanti, le femine maliose, le 'ndovine sono da loro usitate, chiamate, aute care, e in tutte le loro oportunità, di niente servendo se non di favole, di quello de' mariti cattivelli sono abbondevolmente sovenute e sustentate, anzi arricchite; e, se da queste pienamente saper non possono la loro intenzione, ferocissime e con parole altiere e velenose s'ingegnano di certificarsi da' loro mariti; a' quali, quantunque il ver dicano, radissime volte credono. Ma, sì come animale a ciò inchinevole, subitamente in sì fervente ira discorrono che le tigre, i leoni, i serpenti hanno più d'umanità, adirati, che non hanno le femine; le quali, chente che la cagione si sia per la quale accese in ira si sono, subitamente a' veleni, al fuoco, al ferro corrono. Quivi non amico, non parente, non fratello, non padre, non marito, non alcuno de' suoi amanti è risparmiato; e più sarebbe allora caro a ciascuna tutto 'l mondo, il cielo, Iddio e ciò ch'è di sopra e di sotto universalmente in un'ora potere confondere, guastare e tornare in nulla che, ad animo riposato, potere cento bagascioni al suo piacere adoperare. Se 'l tempo mel concedesse l'andar narrando quanti mali, e come scelerati, le loro ire abbino già fatti, non dubito che tu non dicessi essere il maggiore miracolo, che mai veduto o

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Argomenti: mortale pericolo,    cotanto tempo,    niuno luogo,    letto medesimo,    maternale latte

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