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Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 20sai tu che cosa sia quella che faccia l'uomo gentile e qual sia quella che gentile esser nol faccia? Certo sì ch'io so che tu 'l sai. Né niuno è sì giovinetto nelle filosofiche scuole che non sappia noi da uno medesimo padre e da una madre tutti avere i corpi, e l'anime tutte iguali e da uno medesimo Creatore; né niuna cosa fa l'uomo gentile e l'altro villano, se non che, avendo ciascuno parimente il libero arbitrio a quello operare che più li piacesse, colui, che la virtù seguitò, fu detto gentile; e gli altri per contrario, seguendo i vizi, furono non gentili reputati: dunque da virtù venne prima gentileza nel mondo. Vieni ora tu tra' suoi moderni e ancora tra' suoi passati cercando e vederai quante di quelle cose, e in quanti, tu ne troverai che facciano gli uomini gentili. L'avere avuto forze che in loro vennono da principio da fecunda prole, che è naturale dono e non virtù, e con quello avere rubato e usurpato e occupato quello de' loro vicini meno possenti, che è vizio spiacevole a Dio e al mondo, li fece già ricchi; e, dalle riccheze insuperbiti, ardirono di fare quello che già soleano i nobili di fare: cioè di prendere cavalleria; nel quale atto ad una ora se medesimi e i vai e gli altri militari ornamenti vituperarono. Qual gloriosa cosa, qual degna di fama, quale autorevole udistù mai dire, che per la re publica, opure per la privata, alcuno di loro adoperasse già mai? Certo non niuna; fu adunque il principio della gentileza di costoro forza e rapina e superbia, assai buone radici di così laudevole pianta. Di quegli che ora vivono è la vita tale che l'esser morto è molto meglio. Ma pure, se stato ve ne fosse alcuno valoroso, che fa quello a costei? Così bene te ne puoi gloriar tu, come ella e qualunque altro si fosse: la gentileza non si può lasciare per eredità, se non come la virtù, le scienzie, la santità e così fatte cose; ciascun conviene che la si procacci e acquistila, chi avere la vuole. Ma, che che stato si sia negli altri, diriza un poco gli occhi in colei, di cui parliamo, che così gentil cosa ti pare; o chi ella sia al presente o nel preterito stata sia riguarda. S'io non errai, vivendo seco, e se bene quello, che di lei poco innanzi ragionai, raccogliesti, ella ha tanto di vizio in sé che ella ne brutterebbe la corona imperiale. Che gentileza ti può dunque da lei essere gittata al volto, o rimproverata non gentileza? In verità, se non che parrebbe che io lusingare ti volessi, assai leggiermente e con ragioni vere ti mosterrei <te> molto essere più gentile che ella non è, quantunque degli scudi de' tuoi passati non si veggano per le chiese appiccati. Ma così ti vo' dire che, se punto di gentileza nello animo hai, o quella avessi che già ebbe il legnaggio del re Bando di Bernvich, tutta l'avresti bruttata e guasta, costei amando. Ora io potrei, oltre a quello che ho detto, ad assai più altre cose procedere; e con più lungo sermone e con parole più aspre contro alla ignominia della malvagia femina che ti prese e contro alla tua follia e alla colpa da te commessa; ma, volendo che quelle che dette sono bastino, quelle che tu vuogli dire aspetterò –. Io aveva colla fronte bassa, sì come coloro che il loro fallo riconoscono, ascoltato il lungo e vero parlare dello spirito; e sentendo lui a quello avere fatto fine e tacere, lagrimando alquanto, il viso alzava; e dissi: – Ottimamente, benedetto spirito, dimostrato m'hai quello che alla mia età e a' miei studi si convenia; e in spezialtà la viltà di costei la quale il mio falso giudicio per donna della mia mente, nobilissima cosa estimandola, eletta avea; e i suoi costumi e i suoi difetti e le maravigliose virtù sue con molte altre cose; e con parlare ancora assai più dolce, che 'l mio peccato non meritava, me riprendendo m'hai dimostrato quanto gli uomini naturalmente di nobiltà le femine eccedono e chi io in particulare sia. Le quali cose, ciascuna per sé e tutte insieme, hanno sì in diritto rivolta la mia sentenzia, e il mio animo permutato, che, senza niuno dubbio, di ciò che mi pareva davanti, ora mi pare il contrario; in tanto che, quantunque piissima sia Colei, li cui prieghi la tua venuta a me impetraro, apena che io possa sperar già mai perdono o salute, quantunque ella mi prometta, sì mi par grave e spiacevole il mio peccato. E per ciò temo che, dove per la mia utilità venisti, quella in grandissimo danno non si converta: in quanto prima noiosa m'era la stanza e gravi le catene che mi teneano; ma pure, non conoscendo il pericolo nel quale io era, né ancora la mia viltà, quelle con meno affanno portava che omai non potrò portare le mie lagrime: ché multiplicherà ognuna in mille; e la paura diverrà in tanto maggiore che mi ucciderà; sì che, se male mi parea davanti stare, ora mi parrà stare pessimamente –. Lo spirito allora, nello aspetto tutto pieno di compassione, riguardandomi disse: – Non dubitare: sta' sicuramente, e nel buono volere, nel quale al presente se', sì persevera. La divina bontà è sì fatta e tale, che ogni gravissimo peccato, quantunque da perfida iniquità di cuore proceda, solo che buona e vera contrizione abbia il peccatore, tutto il toglie via e lava della mente del commettitore e perdona liberalmente. Tu hai naturalmente peccato, e per ignoranza: che nel divino aspetto ha molto meno d'offesa che chi maliziosamente pecca; e ricordar ti dèi quanti e quali e come enormi mali, per malizia operati, Egli abbia con l'onde del fonte della sua vera pietà levati; e, oltre a ciò, beatificati coloro che già come nimici e rubelli del suo imperio peccaro, per ciò che buona contrizione e ottima satisfazione fu in loro. E io, se non m'inganno, anzi se le tue lagrime non m'ingannano, te sì compunto veggio che già perdono della offesa hai meritato; e certissimo sono che desideroso se' di satisfare, in quello che per te si potrà, della offesa commessa; alla qual cosa io ti conforto quanto più posso, acciò che in quel baratro non cadessi donde niuno può poi rilevarsi –. Al quale io allora dissi: – Dio, che, solo, i cuori degli uomini vede e conosce, sa se io dolente sono e pentuto del male commesso e se io così col cuore piango come cogli occhi; ma, che per contrizione e per satisfazione tu in speranza di salute mi metti, avendo io già l'una, carissimo mi sarebbe d'essere da te amaestrato di ciò che a me s'appartenesse di fornire l'altra –. Al quale esso rispuose: – A volere de' falli commessi satisfare interamente si conviene, a quello che fatto hai, operare il contrario, ma questo si vuole intendere sanamente. Ciò, che tu hai amato, ti conviene avere in odio; e ciò, che tu per lo altrui amore t'eri a volere fare disposto, a fare il contrario, sì che tu odio acquisti, ti conviene disporre; e odi come, acciò che tu stesso, male intendendo le parole da me ben dette, non t'ingannassi. Tu hai amata costei perché bella ti pareva, perché dilettevole nelle cose libidinose l'aspettavi. Voglio che tu abbi in odio la sua belleza, in quanto di peccare ti fu cagione, o essere ti potesse nel futuro; voglio che tu abbi in odio ogni cosa che in le' in così fatto atto dilettevole la stimassi; la salute dell'anima sua voglio che tu ami e disideri; e, dove per piacere agli occhi tuoi andavi desiderosamente dove vedere la credevi, che tu similemente questo abbi in odio e fùgghitene; voglio che della offesa fattati da lei tu prenda vendetta: la quale ad una ora a te e a lei sarà salutifera. Se io ho il vero già molte volte inteso, ciascuno, che in quello s'è dilettato di studiare, o si diletta, tu sai ottimamente, eziandio mentendo sa cui li piace tanto famoso e sì glorioso rendere negli orecchi degli uomini che, chiunque di quel cotale niuna cosa ascolta, lui e per virtù e per meriti sopra i cieli estimano tenere la pianta de' piedi; e così in contrario, quantunque virtuoso, quantunque valoroso, quantunque di bene sia uno che nella vostra ira caggia, con parole, che degne paiano di Tag: cose contrario gentile odio assai fare uomini voglio peccato Argomenti: libero arbitrio, lungo sermone, medesimo padre, naturale dono, vizio spiacevole Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Decameron di Giovanni Boccaccio Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni Garibaldi di Francesco Crispi Il colore del tempo di Federico De Roberto L'Olimpia di Giambattista Della Porta Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Come far vivere a lungo la mimosa Come riconoscere i sintomi di una gravidanza Capodanno in Polonia Come coltivare i lamponi Cancun e i tesori dei Caraibi
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