Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 21

Testo di pubblico dominio

fede, nel profondo di ninferno il tuffate e nascondete. E perciò questa ingannatrice, come a glorificarla eri disposto, così ad avilirla e a parvificarla ti disponi; il che agevolemente ti verrà fatto, per ciò che dirai il vero. E, in quanto puoi, fa' che a le' nel tuo parlare lei medesima mostri e similemente la mostri ad altrui: per ciò che, dove l'averla glorificata tu aresti mentito per la gola, e fatto contro a quello che si dee, e tesi lacciuoli alle menti di molti che, come tu fosti, sono creduli, e lei aresti in tanta superbia levata che le piante dei piedi non le si sarebbono potute toccare, così, questo faccendo, dirai il vero e sgannerai altrui, e lei raumilierai; che forse ancora di salute le potrebbe essere cagione. Fa' dunque, incomincia come più tosto puoi e fa' sì che si paia; e questa satisfazione, quanto a questo peccato, tanto ti sia assai –. Al quale io allora rispuosi: – Per certo che, se tanto mi vorrà bene Iddio che di questo laberinto mi vegga fuori, secondo che ragioni, di satisfare m'ingegnerò; e niuno conforto più, niun sospignimento mi bisognerà a far chiaro l'animo mio di tanta offesa. E, mentre nelle parole artificialmente dette sarà alcuna forza o virtù, a niuno mio successore lascierò a fare delle ingiurie ricevute da me vendetta, solo che tanto tempo mi sia prestato ch'io possa o concordare le rime o distendere le prose. La vendetta da dovero, la quale i più degli uomini giudicherebbono che fosse da far con ferri, questa lascierò io a fare al mio signore Dio, il quale mai niuna mal fatta cosa lasciò inpunita. E nel vero, se tempo da troppo affrettata morte non m'è tolto, io la farò, con tanto cruccio di lei e con tanto vituperio della sua viltà, ricredente della sua bestialità mostrandole che tutti gli uomini non sono da dovere essere scherniti ad uno modo, che ella vorrebbe così bene essere digiuna d'avermi mai veduto, come io abbia desiderato o disidero d'essere digiuno d'avere veduta lei. Ora io non so, se animo non si muta, la nostra città avrà un buon tempo poco che cantare altro che delle sue miserie o cattività; senza che, io m'ingegnerò con più perpetuo verso testimonianza delle sue malvagie e disoneste opere lasciare a' futuri –. E, questo detto, mi tacqui; ed esso altresì si taceva; per che io ricominciai: – Mentre quello a venire pena, che tu aspetti, ti priego a uno mio desiderio sodisfacci. Io non mi ricordo che mai, mentre nel mortale mondo dimorasti, teco né parentado né dimesticheza né amistà alcuna io avessi già mai; e parmi essere certo che, nella regione nella quale dimori, molti sieno che amici e parenti e miei dimestichi furono, mentre vissero: per che, se di quindi alla mia salute alcuno dovea venire, perché più tosto a te che ad alcuno di quelli fu questa fatica imposta? – Alla qual domanda lo spirito rispuose: – Nel mondo dov'io sono né amico né parente né dimesticheza vi si guarda in alcuno: ciascheduno, pur che per lui alcuno bene operar si possa, è prontissimo a farlo, e senza niuno dubio. È il vero che a questo servigio e ad ogn'altro molti, anzi tutti quanti, che di là ne sono, sarebbono stati più di me sufficienti; e sì parimente tutti di carità ardiamo che ciascuno a ciò sarebbe stato prontissimo e volonteroso; ma pertanto a me toccò la volta, perché la cosa, di che io ti dovea venire per la tua salute a riprendere, in parte a me aparteneva, come di cosa stata mia; e assai manifestamente appariva che di quella tu ti dovevi più da me vergognare che da alcun altro, sì come di colui al qual pareva che nelle sue cose alcuna ingiuria avessi fatta, meno che onestamente desiderandole. Appresso a questo, ciascun altro si sarebbe più vergognato di me di dirti quello delle mie cose, che era da dirne, che non sono io; né era da tanta fede prestargli intorno a ciò quanta a me; senza che, alcuno non arebbe sì pienamente saputane ogni cosa raccontare sì come io, quantunque io n'abbia lasciate molte; e questa credo che fosse la cagione che me innanzi ad ogn'altro eleggere facesse, a dovere venire a medicarti di quel male al quale radissime medicine trovare si sogliono –. A cui io allora dissi: – Qual che la cagione si fosse, quel credo che a te piace ch'io ne creda, e per questo sempre mi ti conosco obligato; per che io ti priego, per quella pace che per te ardendo s'aspetta, con ciò sia cosa ch'io sia volonteroso di mostrarmi di tanto e di tale benificio verso te grato, che, se per me operare alcuna cosa si puote che giovamento e alleviamento debba essere della pena la qual tu sofferi, che tu, avanti che io da te mi parta, la mi 'mponga, sicuro che, quanto il mio potere si stenderà, senza fallo, sarà fornita. A cui lo spirito disse: – La malvagia femina, che mia moglie fu, è tutta ad altra sollecitudine data, come puoi avere udito, che a ricordarsi di me; e a' miei figliuoli ancora nol concede l'età, ché piccoletti sono; parenti o altri non ho che di me mettano cura (non mettessono essi più in occupare quello de' pupilli da me lasciati!): e perciò alla tua liberal profferta imporrò che ti piaccia, quando di questo viluppo sarai fuori dislacciato – che con l'aiuto di Dio sarà tosto –, che tu, a consolazione di me e ad alleggiamento della mia pena, alcuna elimosina facci e facci dire alcuna messa nella quale per me si prieghi: e questo mi basterà. Ma, s'io non erro, l'ora della tua diliberazione s'avvicina; e perciò diriza gli occhi verso oriente e riguarda alla nuova luce che pare levarsi; la qual se ciò fosse che io avviso, qui non arebbono luogo parole, anzi sarebbe da dipartirsi –. Mentre lo spirito queste ultime parole dicea, a me, che ottimamente il suo desiderio ricolto avea, parve levare la testa verso levante e parvemi vedere surgere a poco a poco di sopra alle montagne uno lume, non altrimenti che, avanti la venuta del sole, si lieva nello oriente l'aurora. Il quale, poi che in grandissima quantità il cielo ebbe imbiancato, subitamente divenne grandissimo; e, senza più verso di noi farsi che solamente coi raggi suoi, in quella guisa che noi talvolta veggiamo, tra due oscuri nuvoli trapassando, il sole in terra fare una lunga riga di luce, così, verso noi disceso, fece una via luminosa e chiara, non trapassante il luogo dove noi savano; la qual non prima sopra me venne che io, con molta maggiore amaritudine della mia coscienzia che prima non avea fatto, il mio errore riconobbi. E, poi che alquanto gustata l'ebbi, mi parve che non so che cosa grave e ponderosa molto da dosso mi si levasse e me, al quale inmobile e inpedito prima essere parea, senza sapere di che, fe' incontanente parere leggerissimo e spedito e avere licenzia di potere andare. Per la qual cosa dire mi parve allo spirito: – Se tempo ti paresse d'andare, io te ne priego che di quinci ci dipartiamo, per ciò che a me sono tornate le perdute forze e il buono volere; e parmi vedere la via espedita –. A cui tutto lieto rispuose lo spirito: – Ciò mi piace: muovi e andiamo tosto; ma guarda del sentiero luminoso, che davanti ti vedi e per lo quale io anderò, tu non uscissi punto: per ciò che, se i bronchi, de' quali vedi il luogo pieno, ti pigliassero, nuova fatica ti bisognerebbe a trartene, oltre a questa, alla quale io venni; sallo Iddio se l'aiuto, ch'hai avuto al presente, impetreresti o no –. Al quale mi parea tutto lieto rispondere: – Andianne pur tosto, per Dio, e questa cautela sicuramente al mio avedimento commetti; ché per certo, se cento milia prieghi mi si facessono incontro in luogo delle beffe già ricevute, non mi potrebbono più nelle catene rimettere, delle quali la misericordia di Colei alla qual sempre mi conobbi obligato (e ora più che mai), e la tua buona dottrina e liberalità appresso, mi tragono –. Mossesi adunque lo spirito; e, per lo luminoso sentiero andando, verso le montagne altissime dirizò i passi suoi. Su per una delle quali che parea che il cielo toccasse, messosi, me non senza grandissima

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