Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 10

Testo di pubblico dominio

d'un fuocoso e caritevole ardore di bene e virtuosamente adoperare sì maravigliosamente gli accendeva che, laudando divotamente Colui che creata l'avea, a mettere in opera il bene acceso desiderio si disponeano. E di questo in Lei non vanagloria, non superbia venìa; ma in tanto la sua umiltà ne crescea che, per aventura, ebbe tanta forza che la incommutabile disposizione di Dio avacciò a mandare in terra il suo Figliuolo, del quale Ella fu madre. L'altre poche, che a Questa reverendissima e veramente donna s'ingegnarono con tutta lor forza di somigliare, non solamente le mondane pompe non seguirono, ma le fuggirono con sommo studio; né si dipinsero per più belle apparere nel conspetto degli uomini strani, ma le bellezze, loro dalla natura prestate, sì disprezarono, le celestiali aspettando. In luogo d'ira e di superbia ebbero mansuetudine e umiltà; e la rabbiosa furia della carnale concupiscenza colla astinenzia mirabile domarono e vinsero, prestando maravigliosa pazienza alle temporali aversità e a' martìri. Delle quali cose servata l'anima loro immaculata, meritarono di divenire compagne a Colei nella etterna gloria, la quale s'erano ingegnate nella mortal vita di somigliare. E, se onestamente si potesse accusare la natura, maestra delle cose, io direi che essa fieramente in così fatte donne peccato avesse, sottoponendo e nascondendo così grandi animi, così virili e costanti sotto così vili membra e sotto così vile sesso, come è il femineo; perché, bene ragguardando chi quelle furono e chi queste sono, che nel numero di quelle si vogliono mescolare e in quelle essere annoverate e reverite, assai bene si vedrà mal confarsi l'una coll'altra, anzi essere del tutto l'una contraria dell'altra. Tacciasi addunque questa generazione prava e adultera né voglia il suo petto degli altrui meriti adornare; ché per certo le simili a quelle, che dette abbiamo, sono più rade che le fenici; delle quali veramente se alcuna esce di schiera, tanto di più onore è degna che alcuno uomo, quanto alla sua vittoria il miracolo è maggiore. Ma io non credo che in fatica d'onorarne alcuna per li suoi meriti a' nostri bisavoli, non che a noi, bisognasse d'entrare: e prima spero si troveranno de' cigni neri e de' corbi bianchi che a' nostri successori d'onorarne alcuna bisogni entrare in fatica; per ciò che l'orme di coloro, che la Reina degli angeli seguitarono, sono ricoperte, e le nostre femine, digradando, hanno il camino ismarrito, né vorrebbero già che fosse loro insegnato; e, se pure alcuno, predicando, se ne affatica, così alle sue parole gli orecchi chiudono come l'aspido al suono dello incantatore. Ora io non t'ho detto quanto questa perversa moltitudine sia gulosa, ritrosa e ambiziosa, invidiosa, accidiosa, iracunda e delira; né quanto ella nel farsi servire sia imperiosa, noiosa, vezosa, stomacosa e importuna; e altre cose assai le quali, molto più e più spiacevoli che le narrate, se ne potrebbono contare; né intendo al presente dirleti, ché troppo sarebbe lunga la istoria. Ma per quello, che detto t'ho, dèi tu assai ben comprendere chente esse universalmente sieno e in quanta cieca prigione caggia e dolorosa chi sotto lo 'mperio loro cade, per qual che si sia la cagione. Pare essere a me molto certo che, se mai ad alcune perverrà all'orecchie la verità della loro malizia e de' loro difetti da me dimostrati, che esse incontanente, non a riconoscersi né a vergognarsi d'essere da altrui conosciute e ad ogni forza e 'ngegno di divenire migliori come dovrebbono, rifuggiranno: ma, come usate sono, pure al peggio andranno correndo; e diranno me queste cose dire, non come veritiero, ma come uomo al quale, per ciò ch'altra spezie piacque, esse dispiacquono. Ma volesse Iddio che, non altramente che quello abominevole peccato mi piacque, esse mi fossero piaciute già mai: per ciò che io arei assai tempo acquistato di quello che io dietro ad esse perdei; e nel mondo là, dov'io sono, assai minore tormento sofferrei che quello ch'io sostengo. Ma vegniamo ad altro. Dovevanti ancora gli studii tuoi dimostrare chi tu medesimo sii, quando il naturale conoscimento non te l'avesse mostrato, e ricordarti e dichiararti che tu se' uomo fatto alla imagine e alla similitudine di Dio, animale perfetto, nato a signoreggiare, e non ad essere signoreggiato. La qual cosa nel nostro primo padre ottimamente dimostrò Colui, il quale poco davanti l'avea creato, mettendogli tutti gli altri animali dinanzi e faccendogli nomare e alla sua signoria sopponendoli; il simigliante appresso faccendo di quella una e sola femina ch'era al mondo; la cui gola e la cui disubidienzia e le cui persuasioni furono di tutte le nostre miserie cagione e origine. Il quale ordine l'antichità ottimamente ancora serva al mondo presente ne' papati, negl'imperii, ne' reami e ne' principati, nelle provincie, ne' popoli e generalmente in tutt'i maestrati e sacerdozii e nell'altre maggioranze divine come umane: gli uomini solamente, e non le femine, preponendo e in loro commettendo il governo degli altri e di quelle. La qual cosa come possente e quanto valido argomento sia a dimostrare quanto la nobiltà dell'uomo ecceda quella della femina e d'ogni altro animale assai leggiermente a chi ha sentimento puote apparere. E non solamente da questo si può o dee pigliare che solamente ad alcuni eccellenti uomini così ampio privilegio di nobiltà sia conceduto; anche s'intenderà essere ancora de' più menomi, per rispetto alle femine e agli altri animali; per che ottimamente si comprenderà il più vile e 'l più minimo uomo del mondo, il quale del bene dello 'ntelletto privato non sia, prevalere a quella femina, in quanto femina, che temporalmente è tenuta più che niun'altra eccellente. Nobilissima cosa addunque è l'uomo, il quale dal suo Creatore fu creato poco minore che gli angeli. E, se il minore uomo è da tanto, da quanto dovrà essere colui, la cui virtù ha fatto ch'egli dagli altri ad alcuna eccelenzia sia elevato? Da quanto dovrà essere colui il quale i sacri studii, la filosofia ha dalla meccanica turba separato? Del numero de' quali tu per tuo studio e per tuo ingegno, aiutandoti la grazia di Dio, la quale a niuno che se ne faccia degno, dimandandola, è negata, se' uscito e tra' maggiori divenuto degno di mescolarti. Come non ti conosci tu? Come così t'avvilisci? Come t'hai tu così poco caro che tu ad una femina iniqua, insensatamente di lei credendo quello che mai non le piacque, ti vada a sottomettere? Io non me ne posso in tuo servigio racconsolare; e, quanto più vi penso, più ne divengo turbato. A te s'appartiene, e so che tu 'l conosci, più d'usare i solitarii luoghi che le moltitudini, ne' templi e negli altri publici luoghi raccolte, visitare; e quivi stando, operando, versificando, essercitare lo 'ngegno e sforzarti di divenire migliore e d'ampliare a tuo podere, più con cose fatte che con parole, la fama tua; che, appresso quella salute ed etterno riposo il qual ciascuno che dirittamente desidera dee volere, è il fine della tua lunga sollecitudine. Mentre che tu sarai ne' boschi e ne' remoti luoghi, le Ninfe Castalide, alle quali queste malvagie femine si vogliono assomigliare, non t'abbandoneranno già mai; la belleza delle quali, sì come io ho inteso, è celestiale: dalle quali, così belle, tu non se' schifato né schernito, ma è loro a grado il potere stare, andare e usare teco. E, come tu medesimo sai, che molto meglio le conosci che io non fo, elle non ti metteranno in disputare o discutere quanta cenere si voglia a cuocere una matassa d'accia, e se il lino viterbese è più sottile che 'l romagnuolo; né che troppo abbia il forno la fornaia scaldato, e la fante lasciato meno il pane levitare; o che da provedere sia donde vegnano delle granate che la casa si spazi; non ti diranno quel ch'abbia fatto la notte passata monna cotale e monna altrettale, né quanti paternostri ell'abbia detti al predicare; né s'egli è il meglio alla cotale roba mutare

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Argomenti: carnale concupiscenza,    abominevole peccato,    minore tormento,    naturale conoscimento,    valido argomento

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