Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello pagina 6

Testo di pubblico dominio

«Accecati, io son cieca!». La figliastra. E quando non li chiude più? Quando non sente più il bisogno di nascondere a se stessa, chiudendo gli occhi, il rosso della sua vergogna, e invece vede, con occhi ormai aridi e impassibili, quello dell'uomo, che pur senz'amore s'è accecato? Ah, che schifo, allora che schifo di tutte codeste complicazioni intellettuali, di tutta codesta filosofia che scopre la bestia e poi la vuol salvare, scusare... Non posso sentirlo, signore! Perché quando si è costretti a «semplificarla» la vita—così, bestialmente—buttando via tutto l'ingombro «umano» d'ogni casta aspirazione, d'ogni puro sentimento, idealità, doveri, il pudore, la vergogna, niente fa più sdegno e nausea di certi rimorsi: lagrime di coccodrillo! Il capocomico. Veniamo al fatto, veniamo al fatto, signori miei! Queste son discussioni! Il padre. Ecco, sissignore! Ma un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato. Io non potevo sapere che, morto là quell'uomo, e ritornati essi qua in miseria, per provvedere al sostentamento dei figliuoli, ella indicherà la Madre si fosse data attorno a lavorare da sarta, e che giusto fosse andata a prender lavoro da quella... da quella Madama Pace! La figliastra. Sarta fina, se lor signori lo vogliono sapere! Serve in apparenza le migliori signore, ma ha tutto disposto, poi, perché queste migliori signore servano viceversa a lei... senza pregiudizio delle altre così così! La madre. Mi crederà, signore, se le dico che non mi passò neppur lontanamente per il capo il sospetto che quella megera mi dava lavoro perché aveva adocchiato mia figlia... La figliastra. Povera mamma! Sa, signore, che cosa faceva quella lì, appena le riportavo il lavoro fatto da lei? Mi faceva notare la roba che aveva sciupata, dandola a cucire a mia madre; e diffalcava, diffalcava. Cosicché, lei capisce, pagavo io, mentre quella poverina credeva di sacrificarsi per me e per quei due, cucendo anche di notte la roba di Madama Pace! Azione ed esclamazioni di sdegno degli Attori. Il capocomico (subito). E là, lei, un giorno, incontrò— La figliastra (indicando il Padre).—lui, lui, sissignore! vecchio cliente! Vedrà che scena da rappresentare! Superba! Il padre. Col sopravvenire di lei, della madre— La figliastra (subito, perfidamente).—quasi a tempo!— Il padre (gridando).—no, a tempo, a tempo! Perché, per fortuna, la riconosco a tempo! E me li riporto tutti a casa, signore! Lei s'immagini, ora, la situazione mia e la sua, una di fronte all'altro: ella, così come la vede; e io che non posso più alzarle gli occhi in faccia! La figliastra. Buffissimo! Ma possibile, signore, pretendere da me—«dopo»—che me ne stessi come una signorinetta modesta, bene allevata e virtuosa, d'accordo con le sue maledette aspirazioni «a una solida sanità morale»? Il padre. Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi—veda—si crede «uno» ma non è vero: è «tanti», signore, «tanti», secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: «uno» con questo, «uno» con quello—diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre «uno per tutti», e sempre «quest'uno» che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero! non è vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non esser tutti in quell'atto, e che dunque una atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi, alla gogna, per una intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto! Ora lei intende la perfidia di questa ragazza? M'ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei; e mi vuol dare una realtà, quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere per lei, in un momento fugace, vergognoso, della mia vita! Questo, questo, signore, io sento sopratutto. E vedrà che da questo il dramma acquisterà un grandissimo valore. Ma c'è poi la situazione degli altri! Quella sua... indicherà il Figlio. Il figlio (scrollandosi sdegnosamente). Ma lascia star me, ché io non c'entro! Il padre. Come non c'entri? Il figlio. Non c'entro, e non voglio entrarci, perché sai bene che non son fatto per figurare qua in mezzo a voi! La figliastra. Gente volgare, noi!—Lui, fino!—Ma lei può vedere, signore, che tante volte io lo guardo per inchiodarlo col mio disprezzo, e tante volte egli abbassa gli occhi—perché sa il male che m'ha fatto. Il figlio (guardandola appena). Io? La figliastra. Tu! tu! Lo devo a te, caro, il marciapiedi! a te! Azione d'orrore degli Attori. Vietasti, sì o no, col tuo contegno—non dico l'intimità della casa—ma quella carità che leva d'impaccio gli ospiti? Fummo gli intrusi, che venivamo a invadere il regno della tua «legittimità»! Signore, vorrei farlo assistere a certe scenette a quattr'occhi tra me e lui! Dice che ho tiranneggiato tutti. Ma vede? E stato proprio per codesto suo contegno, se mi sono avvalsa di quella ragione ch'egli chiama «vile»; la ragione per cui entrai nella casa di lui con mia madre—che è anche sua madre—da padrona! Il figlio (facendosi avanti lentamente). Hanno tutti buon giuoco, signore, una parte facile tutti contro di me. Ma lei s'immagini un figlio, a cui un bel giorno, mentre se ne sta tranquillo a casa, tocchi di veder arrivare, tutta spavalda, così, «con gli occhi alti», una signorina che gli chiede del padre, a cui ha da dire non so che cosa; e poi la vede ritornare, sempre con la stess'aria, accompagnata da quella piccolina là; e infine trattare il padre—chi sa perché—in modo molto ambiguo e «sbrigativo» chiedendo danaro, con un tono che lascia supporre che lui deve, deve darlo, perché ha tutto l'obbligo di darlo— Il padre.—ma l'ho difatti davvero, quest'obbligo: è per tua madre! Il figlio. E che ne so io? Quando mai l'ho veduta io, signore? Quando mai ne ho sentito parlare? Me la vedo comparire, un giorno, con lei, indicherà la Figliastra con quel ragazzo, con quella bambina, mi dicono: «Oh sai? è anche tua madre!». Riesco a intravedere dai suoi modi indicherà di nuovo la Figliastra per qual motivo, così da un giorno all'altro, sono entrati in casa... Signore, quello che io provo, quello che sento, non posso e non voglio esprimerlo. Potrei al massimo confidarlo, e non vorrei neanche a me stesso. Non può dunque dar luogo, come vede, a nessuna azione da parte mia. Creda, creda, signore, che io sono un personaggio non «realizzato» drammaticamente; e che sto male, malissimo, in loro compagnia!—Mi lascino stare! Il padre. Ma come? Scusa! Se proprio perché tu sei così— Il figlio (con esasperazione violenta).—e che ne sai tu, come sono? quando mai ti sei curato di me? Il padre. Ammesso! Ammesso! E non è una situazione anche questa? Questo tuo appartarti, così crudele per me, per tua madre che, rientrata in casa, ti vede quasi per la prima volta, così grande, e non ti conosce, ma sa che tu sei suo figlio... Additando la Madre al Capocomico Eccola, guardi: piange! La figliastra (con rabbia, pestando un piede). Come una stupida! Il padre (subito additando anche lei al Capocomico). E lei non può soffrirlo, si sa! Tornando a riferirsi al Figlio: —Dice che non c'entra, mentre è lui quasi il pernio dell'azione! Guardi quel ragazzo, che se ne sta sempre presso la madre, sbigottito, umiliato... È così per causa di lui! Forse la situazione più penosa è la sua: si sente estraneo, più di tutti; e prova, poverino, una mortificazione angosciosa di essere accolto in casa—cosi per carità... In confidenza: Somiglia tutto al padre! Umile; non parla... Il capocomico. Eh, ma non è mica bello! Lei non sa che impaccio danno i ragazzi sulla scena. Il padre. Oh, ma lui glielo leva subito,

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Argomenti: atroce ingiustizia

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