La sposa persiana di Carlo Goldoni pagina 6

Testo di pubblico dominio

qual da giovinetta Conservo (grazie al cielo) la vista ancor perfetta. IRCANA Ohimè! CURCUMA Non vi affliggete, di già ci siamo intese; M'impegno, che la sposa viva non dura un mese. Ho tutto preparato, rospi, cicute, e fieli, E d'animali immondi sangue, cervella e peli; Delle spinose piante nutrite in Carmania, Che avvelenano i venti, ne ho sempre in mia balìa. Ho l'antimonio, il sale, il solfo e l'orpimento, E mancami soltanto dell'oro, e dell'argento. IRCANA Eccome, prendi questo. (si strappa uno smaniglio) CURCUMA Piano non lo strappate; Spiacemi, che d'un fregio la bella man spogliate. E pur fia necessario scioglierlo in una tazza. (Sciogliere lo smaniglio? Affé, non son sì pazza). (da sé) IRCANA Ma incontro alla sua sposa è volontario andato Tamas, o da suo padre a forza strascinato? CURCUMA Non so; ma l'ho veduto montar sul suo destriere, Tutto coperto d'oro, che a mirarlo è un piacere, Al lato era del padre, intorno avea parenti, Preceduto da turba di servi, e di stromenti. L'eunuco Bulganzar (quel sozzo eunuco nero, Che se far lo potesse, farebbe altro mestiero) Egli si è ritrovato in mezzo alla brigata, Allor che fu la sposa dal giovine incontrata, Là dove il Sanderut vicin, con l'acque sue Tra Zulfa ed Ispaan parte il terreno in due; Fatima, d'ogn'intorno da schiave circondata, Sedea sopra un camello colla faccia velata. Con tante ricche vesti, con tante perle, ed oro, Che abagliava la vista, avea seco un tesoro. Però la sopraveste ch'avea la sposa intorno, E parte delle gioie onde il bel crine è adorno, Bulganzar mi assicura, che fur, due giorni sono, Da Machmut mandate alla sua nuora in dono. Tale è in Persia il costume, ahi troppo dolorosa Disparità, che passa tra una schiava, e una sposa! IRCANA Curcuma, tu mi uccidi, tu m'empi di dispetto, Vedrai morire Ircana con uno stile in petto. CURCUMA Sì, quando al fianco vostro Curcuma non aveste, E di costei, che vi ama, fidar non vi poteste. O Tamas vi è fedele, e Fatima sen riede, O ch'io ben ben lo concio, quando manco sel crede. In ogni guisa certa io son del vostro bene... Sentite i gridi, i suoni; ecco la sposa viene. IRCANA Ah non voglio vederla; ah non fia mai, che a quella Fia destinata Ircana servir schiava, ed ancella. Al figlio lo protesta, e al genitore istesso; Dieci siam nel serraglio d'età pari, e di sesso. Di me conto non facci, meco non usi orgoglio; Schiava di Tamas sono, donna servir non voglio. Digli, che non mi cale d'esser tra ferree porte, Che Ircana non paventa onte, minaccie, e morte. (parte) Scena seconda Curcuma sola. CURCUMA La compatisco in parte, ma in parte la condanno; Perché per una sposa prendersi tanto affanno? Esser vuol sola sola? Un uom tutto per lei? D'un che ne avesse trenta io mi contenterei. Ma Curcuma infelice! la bella età sen vola, Né trovo chi mi voglia, né in compagnia, né sola. Quel disgraziato eunuco mi fa sì gran dispetto! Mi segue e mi tormenta... eunuco maledetto! Oh se valer potesse delle malìe la forza, Vorrei di questo viso mutar l'antica scorza, E liscie ritornando tuttor le carni mie, Non offrirei per altre usar le stregarie. Quest'è l'acciecamento di chi ci ascolta, e crede: Spera l'effetto in lui di quel, che in noi non vede. Ho avuto uno smaniglio col parlar destro, e scaltro, E certo non diffido d'avere anche quell'altro; Uno smaniglio solo a Ircana disconviene. Su queste nere mani starebbero pur bene! Ma vuo' veder la sposa; ella ne avrà de' belli! Oh se potessi averne un paio anche di quelli! Chi sa? La donna antica, se il bel fiore ha perduto, Senno acquista col tempo, e fa il pensiere arguto. Vedrò s'ella ha bisogno punto dell'arti mie, Di lisci, di profumi, d'inganni, e di malìe. La vita che mi resta (già che ho d'amar finito) Vuo' saziar l'ambizione, la gola, e l'appetito. Scena terza Machmut, Fatima coperta da un velo, ed Osmano, preceduti da vari instrumenti; e seguito di schiavi, che portano su vari bacini la dote della sposa. OSMANO Figlia, questo che premi, è del tuo sposo il suolo: Fuor del paterno impero, devi obbedir lui solo. Finor t'increbbe forse il giogo de' parenti, Tanto più ai figli in odio, quanto a lor bene intenti; Ma non pensar per questo orgogliosa, altera, D'aver, per esser donna, la libertade intera. Passi da un giogo all'altro; qual più pesante, e stretto A te non saprei dirlo, che tu mel dica aspetto. Pur se soave il brami, sta in tua balìa; contenta Il tuo destino incontra, il tuo dover ramenta. L'obbedienza, che usasti ai genitor severi, Usala in avvenire dello sposo agl'imperi; Che se obbedisti il padre talor con qualche stento, Nell'obbedir lo sposo troverai più contento. Amalo, e coll'amore anche il servir sia misto, Se vuoi del di lui cuore formar l'intero acquisto. Schiave avrà il tuo consorte, l'uso comun ti è noto, Non esca dal tuo labbro contro di loro un voto; Ma vincerle procura, accanto al tuo diletto, In amore, in dolcezza, in virtude, in rispetto; Ed ei, trovando il merto col casto nodo unito, Amerà con costanza gli amplessi di marito. Figlia, ti lascio; osserva, ecco quanto potei Per formarti la dote trar dagli erari miei. Ma più di gemme, e d'oro, nei mali, e nei perigli, Vaglianti per tua scorta questi ultimi consigli. Ama quel che amar lice, non quel che giova, e piace; Serba, promovi, e cura la domestica pace: Misura con l'onesto e l'utile, e il diletto, Prima il ciel, poi lo sposo: soffri, conosci; ho detto. (parte) Scena quarta Machmut, Fatima e li suddetti. MACHMUT Olà, parta ciascuno; in libertà qui resti Dello sposo la sposa ai primi sguardi onesti. Figlia, che con tal nome posso chiamarti anch'io, Se unita fra momenti sarai col sangue mio, Non so quale a' tuoi occhi recato abbia diletto Quel che or mirasti appena sposo tuo giovinetto. Non brilla ad esso in volto gran vezzo, e gran bellezza, Ma la beltade in uomo non è quel che si apprezza. Valor, sangue, decoro, virtù, costanza, e amore. Questo è quel, che di donna rende felice il cuore. L'amor non nasce a un tratto, col tempo in sen si accende: Male, se a' primi colpi un debil cuor si arrende. Se il figlio mio non langue, tosto che può mirarti, Usa di sposa amante, i vezzi, i sguardi, e l'arti. Soffri da prima il gelo, o lo vedrai fra poco Ardere ai tuoi bei lumi, ardere al tuo bel foco. Vietare io non potei, per legge, o per costume, Ch'egli non rimirasse di qualche schiava il lume. Ma spero (e lo vedrai) che sol di te contento, Ogni straniero fuoco nel suo cor sarà spento (Fatima si va contorcendo). No, non ti dia ciò pena. Fatima, tel prometto Che t'amerà; sii certa; eccolo il giovinetto. Sola con lui ti lascio; scopriti, e lo consola; Fagli gustar il dolce di qualche tua parola. Se un dardo da' tuoi lumi entro il suo cuor sia spinto, Fatima, non temere, egli ti adora, hai vinto. Scena quinta Fatima sola. FATIMA Misera me, che sento? Qual rio serpe geloso Prevenuto ha il momento da scoprirmi allo sposo? Negletta s'io mi vedo per una schiava audace, Come tacer penando? come soffrirlo in pace? E se un divorzio ingrato mi torna al genitore, Qual menerei mai vita tra il dispetto e il rossore? Ah mi lusingo ancora! Eccolo; giusti Dei, Piacessi agli occhi suoi, come egli piace ai miei. Scena sesta Tamas, e detta. TAMAS (Eccomi al gran cimento. Ah quel ch'io temo in quella È, che d'Ircana sia più vezzosa, e più bella E tanto in lei sorpassi beltà, grazia, e costumi, Ch'io resister non possa al poter de' suoi lumi. Arder mi sento in seno... e l'ho veduta appena... Scoprasi il volto ignoto; escasi ormai di pena) (da sé). Sposa, a voi si presenta tal, che ha per voi rispetto, E pari aver desia alla stima l'affetto. Quest'è il primier momento, che ad uom scoprir vi lice: Svelatevi a' miei lumi; fatemi omai felice. FATIMA Dolce obbedire a sposo, che può volere, e prega; Squarcierò il velo ingrato, che

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Argomenti: sozzo eunuco,    disgraziato eunuco,    casto nodo,    straniero fuoco,    serpe geloso

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