La sposa persiana di Carlo Goldoni pagina 13

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gioie). Scena decima Machmut, e detti. MACHMUT Stelle! Osmano? OSMANO Machmut, vedi mia figlia al suolo. MACHMUT Morta? OSMANO No, tramortita per eccesso di duolo. MACHMUT Tamas mio figlio io viddi da fier dolore oppresso. OSMANO Di Fatima l'affanno vien da tuo figlio istesso. Ma s'ella non cadeva sugli occhi miei svenuta, La testa di tuo figlio fora al mio piè caduta. MACHMUT Di mio figlio? CURCUMA Signori, par che riprenda fiato. (Rinvenga quando vuole, il meglio l'ho intascato). FATIMA Ohimè! OSMANO Figlia? FATIMA Consorte? (verso Machmut) MACHMUT Il suocero son io. OSMANO Volgiti al genitore. FATIMA Dov'è lo sposo mio? OSMANO Pensa alla tua salute non a quell'alma ingrata. CURCUMA Con un po' di marito è bella, e risanata. FATIMA Tamas dov'è? (a Machmut) MACHMUT Non lungi. FATIMA Vive? (ad Osmano) OSMANO Sì, per tuo zelo, Perché tu lo salvasti. FATIMA Ah benedetto il cielo! Benedetta la mano del genitor pietoso, Che in grazia d'una figlia, ha salvato lo sposo. Vive poi? Deh signore, Tamas, il caro figlio, Respira, o langue, è in libertà, o in periglio? MACHMUT Sì, respira, sta lieta. OSMANO Ancor l'ami cotanto? MACHMUT Ira ho contro il mio figlio, e tu mi movi al pianto. CURCUMA In tant'anni, ch'io faccio di custode il mestiero Quest'è la prima volta, che vedo un amor vero. FATIMA Dove son le mie gioie? (a Curcuma) CURCUMA Son qui, ve le ho serbate. (Credea fra tanti affanni se le avesse scordate). MACHMUT Itene a riposare. (a Fatima) FATIMA Tamas? MACHMUT Non dubitate, A voi verrà fra poco. FATIMA Oh Dio! non m'ingannate. Padre, suocero, io sono d'amor sì ardente, accesa, Che già di lui mi scordo ogni onta, ed ogni offesa. Io stessa non intendo, come in un giorno appena, S'abbia per un oggetto a provar tanta pena; Come improvvisa forza di mal inteso amore Abbia da render dolci anche i disprezzi a un cuore. Ma se di tal portento vera cagion non trovo, Posso narrar gli effetti di quell'ardor, ch'io provo. Tosto, che in me ragione si sprigionò, che in seno Principiar le passioni a conoscere il freno Piacquemi, che la madre, che la balia amorosa, Mi dicesser sovente: figlia, sarai la sposa. E più della coltura del viso, e delle chiome, Mi piacea dello sposo sentir i priegi, e il nome. Tamas m'avea invaghita, pria d'averlo veduto. Tre lustri l'ho adorato, posso dir, sconosciuto; E quando il giovinetto s'offerse al mio sembiante, Principiai a godere, non ad essere amante. Trista d'amor mercede, misera, ottenni, è vero; Ma poco gel non scioglie fiamma del nume arciero. L'onta, che in altra avrebbe il poco ardor scemato, In me, d'amor ripiena, l'ha spinto, e l'ha aumentato; E quanto del crudele crescea meco il rigore, In me crescea la brama di guadagnargli il cuore. Fino la sua diletta, fin la rivale audace, Per non sdegnar lo sposo, vidi e soffersi in pace; Colla speranza in petto, che l'anime consola, Si cangierà col tempo, ed amerà me sola. Ah genitor, col ferro, se non mi avevi allato, Tutte le mie speranze, tu distruggevi, irato. Misera figlia, e sposa, che far potea di meno, Che offrir per il consorte al genitor il seno? Morta sarei piuttosto, che vedova trovarmi, Per quella mano istessa, che mi guidò a sposarmi. L'onor, la tenerezza, l'amore, e la pietade, La fralezza del sesso, e quella dell'etade Mi tolsero ad un tratto il lume, e le parole, Caddi, qual fior sul campo colto dai rai del sole. Il ciel mi serba in vita, e non mi serba invano, Tamas darammi il cuore, come mi diè la mano. Possibil [che] in vedermi pronta a morir per lui, Non abbia a dir pentito: Fatima, ingrato io fui? Fatima, per me offristi alle ferite il petto Eccoti in ricompensa qualche tenero affetto? Sì, mi basta anche un segno d'amor, di tenerezza; Tutto contenta un alma alle sventure avvezza. Dimmi, sol, che non m'odi, dimmi ch'io sono... Oh Dio! Padre, suocero, ah dite: dov'è lo sposo mio? Perché tarda a vedermi? perché non vien l'ingrato? Ohimè! Tamas sarebbe tradito, assassinato? Che vive mi diceste. Creder lo deggio a voi, Perdonate a una sposa l'ardir de' dubbi suoi. L'amor è, che me rende impaziente ardita, A rintracciar io stessa il mio ben, la mia vita. Scena undicesima Machmut, Osmano e Curcuma. MACHMUT Seguila. (a Curcuma) CURCUMA Sì, signore. Poverina, è pietosa; Anch'io son per natura tenera, ed amorosa (parte). MACHMUT Osmano, se ti lascio, forza è d'amore. OSMANO Io stesso Teco verrò. MACHMUT Fra donne non si chiede l'accesso. OSMANO V'è mia figlia. MACHMUT E vi sono giovani schiave, ancelle. OSMANO E la perfida Ircana si asconderà fra quelle. MACHMUT Nol so. OSMANO Sappilo, e rendi la schiava a me venduta, O con quella del figlio temi la tua caduta. MACHMUT Non minacciate, Osmano, ché alle minaccie avvezzo Machmut non è mai stato; v'amo, vi stimo, e apprezzo. Calmi di vostra figlia mirar contento il cuore, Lo merta sue virtude, lo merta il suo dolore. Tutto farò per lei contro mio figlio istesso D'Ircana o viva, o estinta, voi avrete il possesso, Ma vel ridico in pace, l'amico rispettate. Quando parlate meco, Osman, non minacciate. OSMANO Basta, che tu m'inganni, o che il tuo figlio indegno Provochi, temerario, il mio foco, il mio sdegno: Fatima non fia sempre vostra difesa, e scudo: Né tratterrà il mio ferro tenero petto ignudo Da questo brando mio, che unqua sofferse un torto, Qual si sia l'offensore, cadrà svenato, e morto E s'io morir dovessi, per vendicarmi ancora, Salva la gloria mia, salvo l'onor, si mora. Atto quinto Scena prima Notte oscura. Ircana, e Curcuma, ambe in spoglie virili alla foggia degli eunuchi. IRCANA Tremo. CURCUMA Venite meco; la notte si fa oscura Non ci conosceranno, non abbiate paura. Abbiam spoglie cambiato, come si cambia il bruco; Femmina facilmente può passar per eunuco. Quest'abito è di quello, cui Tamas ha ferito Il vostro è di colui, che col veleno è ito. IRCANA Ma tu, che di malìe maestra ti facesti, Perché non usar quelle, anzi che queste vesti? CURCUMA Oh quando il fato avverso vuol favorire i tristi, Nascono di quei casi, che non si son previsti; Tamas, pien di furore, nella mia stanza è entrato, Le pentole m'ha rotto, e tutto ha rovesciato. IRCANA Tamas adunque infido, per soggezion d'Osmano Strinse la sposa al seno? strinse a colei la mano? CURCUMA E di più vi direi qualche altra bella cosa; Ma sotto queste spoglie sono ancor vergognosa. IRCANA Vadasi. CURCUMA Non per questo s'ha da fuggir, mia cara, Ma per quel sciropetto, che Osmano vi prepara. Tamas vi ha liberata, ma tal prodezza è questa, Che al giovine imprudente costò quasi la testa, E se nol difendeva Fatima, col suo petto, Andava il meschinello a ritrovar Maometto. Ciò lo commosse alquanto, l'ira calmò nel cuore, Per Fatima provando pietà, se non amore. Ma i vecchi indemoniati, contro di voi feroci, Vi voglion stritolare, come si fa le noci; Onde, se non fuggite, Tamas è già perduto, E perderete il resto, senza sperare aiuto. IRCANA Partir senza vendetta? Ah questa è maggior pena D'una barbara morte, d'una crudel catena. CURCUMA Se di vendetta un giorno poteste lusingarvi, Io stessa vi direi: pensate a vendicarvi; Ma se diventa Osmano vostro signor, cospetto! Ha un ciglio rabbuffato, ha un ceffo maledetto! E voi, che di natura siete delicatina, Vi manda all'altro mondo senz'altra medicina. IRCANA Fuggasi, giacché il fato ha tronca ogni speranza Ecco l'indegno frutto di soverchia baldanza. Era pur meglio in pace, di Tamas mio signore Colla novella sposa goder diviso il cuore. Ah no: lo dissi, il dico, e l'ho fissato in mente, O sola, o abbandonata, o goder tutto, o niente. Ah maledetto il punto, che qui Fatima venne! Fosse spirata almeno allor quando si svenne! Ed io colle mie mani, per onta, e per dispetto Avessi a quell'indegna strappato il cuor dal petto. O sarei morta, e

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Argomenti: campo colto,    figlio istesso,    figlio indegno,    ferro tenero,    tenero petto

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