La sposa persiana di Carlo Goldoni pagina 5

Testo di pubblico dominio

se le mie parole, e i cauti miei consigli Non basteranno, e i' veda all'amor tuo perigli, Di pentole, e di vetri piena ho la stanza mia: Zitto, Ircana figliuola, faremo una malìa. Una malìa faremo sì forte, e portentosa, Che strugga in pochi giorni e l'amante e la sposa. IRCANA No, l'amante. CURCUMA Sta cheta; l'amante sino a tanto Che della nuova sposa viva giulivo a canto; Indi fedel tornando sia d'ogni mal guarito, D'esserti impaziente, non più signor, marito. IRCANA Hai tal poter? CURCUMA Sì, cara, vedrai portenti strani, Vedrai quel che san fare di Curcuma le mani. Dacché l'età primiera mi abbandonò, tre lustri Amar mi feci ancora con sughi, ed erbe industri; Con serpi, sangue, e pietre certa bevanda fassi, Che innamorar farebbe anche le piante, e i sassi. Dell'oro, e dell'argento vi entra in cotal mistura: Averne, quanto puoi, dal tuo signor procura; Recalo alle mie mani, e ne vedrai l'effetto. Figlia, senza interesse l'amor mio ti prometto. (parte) Scena sesta Ircana sola. IRCANA Ah voglia il ciel, che mai abbiasi a usar tal'arte: Laddove amor fa d'uopo, rigor non abbia parte. Sguardi, parole, amplessi, vezzi, sospiri e pianti Son le malìe, che han forza sul cuore degli amanti. Ma allor, che un'altra donna venga con forza eguale A disputarmi un cuor, che per natura è frale, Se a sostenere il dritto il mio valor fia poco, L'arte, l'ardir, l'inganno e le malìe avran loco. Tutto tentar io voglio, sino la morte istessa; Pria di vedermi in faccia d'una rival depressa. Oh genitori ingrati, che al ciel mandaste i voti, Non per mirar, canuti, della figlia i nipoti, Ma sol, perché, accresciuto alla beltade il vezzo, Al comprator poteste vendermi a maggior prezzo! Ma se destin crudele nascer mi fe' da gente Che per il proprio sangue tenero amor non sente, Se per costume indegno esser dovea venduta, Ah nel serraglio almeno fossi del re venuta. Sì, nell'Haram spazioso, anche fra mille, e mille Distinguer si farebbono al Sofì mie pupille; Sia vaga, o non sia vaga, incolta qual io sono, Dato avrei forse io sola il successore al trono. Ma a un Killientar venduta, venduta a un finanziere, Avrò chi mi contrasti nel merto, e nel potere? No, no, questo non fia, Tamas, è mio soltanto; Regnar nel di lui cuore è mia gloria, è mio vanto. Picciolo regno ancora mi basta, e mi consola, Purché in quel cuore io possa sempre regnarvi, e sola. (parte) Scena settima Machmut accompagnato da quattro Officiali, che attendono gli ordini suoi. MACHMUT Olà, ciascun s'impieghi: i schiavi, i servi, i cuochi; Si preparin le mense, i vasi, i cibi, i giuochi. Tosto al caffè; prepara oltre il costume adorno Il picciolo banchetto, che usasi a mezzo il giorno. Latte, poponi ed altre frutta del mio giardino, Confezioni, sorbetti, oppio purgato, e fino, Thè non manchi; si dia tabacco a chi ne brama, Siavi per tutto il vaso, che kaliam si chiama: Il kaliam, quel vaso, che fra noi si accostuma, Con cui sì dolcemente l'uom si riposa, e fuma. Canti vi sieno, e danze, vi sien poeti egregi, Che della nuova sposa formin poema ai pregi; Quindi nell'ampia sala, di lumi intorno piena, Al seguito festivo diasi superba cena. Del terso e bianco riso sodo pilò sia fatto, Di burro, e droghe carco, nel color contrafatto. Sieno in minuti pezzi nello schidion girati, D'aromati nutriti i migliori castrati. Lepri, maiali ed altre carni vietate immonde Non sianvi alla mia mensa; cerchinle i ghiotti altronde. Del bove in acqua pura al più l'uso permetto, Salse bandisco, e sughi, e ogni manicaretto, Lasciando agli Europei la follia, ch'io deploro, Di accellerar coi cibi il fin de' giorni loro. Ma Tamas viene; andate; gli ordini udiste in parte, Supplisca ad ogni altr'uopo l'uso, l'ingegno e l'arte. (partono i servi) Merita ben tal sposa, che dote reca, e onore, Che il suocero l'accolga con pompa, e con splendore. Ah voglia il ciel, che il figlio con pari ardor la miri. Ma temo, è mesto in viso; par che pianga, e sospiri. Scena ottava Tamas e detto. TAMAS Signor, a' piedi vostri... MACHMUT Perché sì mesto in viso? Lungi non è la sposa, n'ebbi testé l'avviso. Accoglierla a momenti dovrai fra le tue braccia. E ti disponi a farlo torvo? turbato in faccia? TAMAS Signor pria che la sposa giunga fra i muri nostri, Eccomi a voi prostrato, eccomi a' piedi vostri. (s'inginocchia) MACHMUT Alzati... Olà, che dici? Sei tu di lei pentito? È tardi; ella ti aspetta, esser le dei marito. TAMAS Ma se il mio cor... MACHMUT T'accheta, nel vincolarsi il figlio Prenda dal genitore, non dal suo cor, consiglio. TAMAS E se l'odiassi? MACHMUT Degna d'amor Fatima io stimo, Ma se la sposa odiassi, tu non saresti il primo. TAMAS Che nozze! che sponsali! che barbaro costume! L'approvano le leggi, e lo comporta il Nume? MACHMUT Sì, di Maccone stesso, d'Alí, ch'indi si onora, E dei dodici Imanni, che venner dopo ancora, Questa è la legge: a noi tener non è vietato Schiave quante vogliamo nel serraglio privato. Non è dall'Alcorano aver più mogli escluso, Ma prenderne una sola è fra Persiani in uso. E questa non s'apprezza dal vezzo, o dai colori, Ma dal poter del padre, dai schiavi e dai tesori. Costei che a te in isposa da me fu destinata, Da genitor guerriero, carco di glorie, è nata: Ricchi smanigli e gemme, schiavi ti reca in dote: Queste son beltà vere, l'altre a me sono ignote. TAMAS Dunque per gemme, e schiavi, per vesti, perle ed oro, Perder dovranno i figli di libertà il tesoro? MACHMUT Odi, vuo' consolarti. Fatima la tua sposa Ricca non è soltanto, ma è bella, ed è vezzosa. Donne, che l'han veduta uscir dal bagno fuora, Giuran, che beltà pari non han veduto ancora. D'alta statura, e grave, lunghi capelli e neri, Non tinti di sandracca, ma nel color sinceri, Guancie vermiglie, e piene, bocca del riso amica, Seno, che imprigionato suol tenere a fatica; Non ha, qual si accostuma nell'ultime pendici Del tartaro confine, pendenti alle narici; Ma vagamente adorna i crini, il collo, il petto, Spira dolcezza, e amore in maestoso aspetto. D'uopo non ha la bella d'usar candido impiastro Sulla mano di neve, sul piede di alabastro: Nel portamento altera, piena di brio, di foco... Parti che molto io dica, e pur dissi anche poco. Mirala, e dimmi poi, se fia tal peso grave, Se può sposa sì vaga valer per cento schiave. Che l'ami, e che l'adori non dico, e non comando; Mirala, e ciò mi basta, questo è quel che io domando. (parte) Scena nona Tamas solo. TAMAS E vi sarà d'Ircana donna più bella ancora? Di Fatima il ritratto nell'udirlo innamora. Gli occhi, le guancie, il crine, la mano, il viso, il petto... Tanta beltà innocente raccolta in un oggetto? Tamas... vediamla; alfine il padre lo domanda; E il domandar del padre vuol dir, che lo comanda. Ma Ircana mia?... Qual torto le fo, se un'altra io miro? Non mi trarrà per questo dal petto un sol sospiro. E se beltà sì rara poi mi accendesse il cuore, Resister chi potrebbe alla forza d'amore? Fuggasi... No, si vegga; finora Ircana è quella, Che agli occhi miei d'ogni altra parve più vaga, e bella. Svelisi in suo confronto beltà tanto lodata, E delle due si vegga, chi è vinta, e superata. Questa non è incostanza, non è mancar di fede, È un desio... ma neppure; è il padre che lo chiede. È ver che il padre istesso disubbidir giurai; Ma in onta delle leggi giurar non si può mai. Sia forza, sia consiglio, seguo del padre i detti, Ma terrò in guardia il cuore, non cangierò gli affetti. Ircana, sì, ti adoro, sì, tu sarai più bella; Ma lascia, che rimiri le luci ancor di quella; E se negli occhi suoi non vedo il tuo splendore, In te cresciuto il merto, crescerà in me l'ardore. (parte) Atto secondo Scena prima Ircana e Curcuma. IRCANA Ah Curcuma, e fia vera la nova dolorosa? Tamas andò egli istesso ad incontrar la sposa? CURCUMA Questi occhi lo han veduto, e,

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Argomenti: secondo scena,    sangue tenero,    costume indegno,    picciolo regno,    costume adorno

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