La sposa persiana di Carlo Goldoni

Testo di pubblico dominio

L'AUTORE A CHI LEGGE Eccomi a dar principio alla stampa del nuovo corso di mie Commedie, scritte per il Teatro che dicesi di San Luca in Venezia, della Nobilissima Casa Patrizia de' Vendramini. Quantunque questa Commedia, che ha per titolo la Sposa Persiana, sia stata la terza da me composta nel primo anno del nuovo impegno, voglio ch'ella occupi il primo luogo, in grazia, non dirò del suo merito, ma della sua fortuna. Alcuni vi furono fra i Spettatori che non contenti di replicatamente vederla, mi vollero far l'onore di scriverla dai Palchetti; il che riuscì loro di fare in più e più volte che provati si sono. Videsi, dopo, passare di mano in mano copiata e ricopiata a tal segno, che pochi eran quelli che non l'avessero, tutti però scorretta, come l'avean potuta rapir di volo, e sempre più rovinata nel ricopiarla. Più volte mi hanno minacciata la stampa, a Trento, a Lucca, ed altrove; ma si è avuto qualche rispetto per me. Finalmente comparve in questa Città stampata, senza data di tempo e luogo, piena zeppa d'errori più di qualunque altra che vedevasi manoscritta, colla maggior parte de' versi stroppiati, coi sentimenti stravolti a tal segno, che se per mia disgrazia non foss'ella impressa dalle replicate sue recite nella memoria delle persone mi avrebbe sonoramente posto in ridicolo. Dicesi ch'ella sia stata stampata a Napoli; la verità si è, che in faccia mia, che a dispetto mio, fu in Venezia venduta, e introdotta non si sa come. Buon per me, che conosciuta la difformità con cui si fa comparire, pochi l'hanno comprata, e dalle mie mani l'aspettano. Per altro non si ha rispetto alcuno per i poveri Autori, e credesi che rapir loro un originale non sia peccato, con obbligo di restituzione, per l'onore e per l'interesse. Lettor carissimo, ecco qui la Sposa Persiana nello stato medesimo in cui fu da me sulle scene esposta; se non che, ascoltando le voci oneste de' buoni Amici, purgata l'ho intieramente di qualche equivoco, che offendeva le orecchie più delicate. Gli equivoci sono tollerabili nelle Commedie, quando si può credere che i meno maliziosi li abbiano a interpretare col senso buono; e Dio mi guardi dallo scandolo degl'innocenti. Ho sudato, e suderò sempre per questo, per togliere dal Teatro nostro scorretto l'oscenità, la malizia; e se lo spirito comico mi seduce, lascio volentieri correggermi, e a chi lo fa gli son grato. Dopo la Commedia mia intitolata Moliere, altre in verso non ne aveva composte; ma ricordandomi che quel tal verso rimato, a imitazion dei Francesi, piacque moltissimo su quei Teatri, ne' quali videsi rappresentata, m'invogliai ritentar di farlo in un'altra, cercando argomento a cui, più della Prosa, fosse conveniente il Verso. Feci un salto assai grande: balzai sino in Persia, e di là trassi argomento per la costruzione di una Commedia; non lo presi già dalla Storia, sapendo io che un tal fonte riserbato dev'essere per le Tragedie, per i Drammi per Musica, e per quell'anfibio componimento, che Tragicomedia si chiama. Ho inventata la favola di Persone d'un rango inferiore; un Finanziere, un Capitano sono i principali Soggetti: questi non eccedono il grado della Commedia, e gli altri tutti sono o inferiori, o dipendenti, o soggetti. Evvi una Vecchia, che forma il ridicolo; e se le persone più nobili parlano con gravità, eccedente allo stile delle Commedie nostre, ciò accade in grazia della Nazione Orientale, che anche nelle persone basse comparisce austera e feroce. Questa è una Commedia fondata sulla passione; altre ne ho fatte di un simile stile, e sono state gradite. Né il primo sono io stato a farlo, ma dai Francesi moderni ciò si è tentato, ed anchein Francia la passione della Commedia fu bene accolta. I Spagnuoli, gl'Inglesi ne sono amanti, e l'esperienza m'insegna, che gl'Italiani ancora la sentono volentieri. È stata onorata di qualche critica la presente Commedia, né qui voglio fare un'apologia fuor di proposito, lasciando in libertà ciascheduno d'intenderla a piacer suo. Nella Commedia intitolata il Festino, che fu l'ultima in quell'anno rappresentata, e sarà l'ultima del Tomo Secondo, ho a bella posta introdotto le varie critiche della Persiana qua e là raccolte, e i personaggi medesimi della Commedia questa e qualchedun'altra difendono. Vari nimici ho avuti, ed ho tuttavia, che parlano, e scrivono, e contro di me s'avventano o per passione, o per invidia, o per interesse, ed io li ho compatiti sempre, e li compatisco, né mai ho voluto rispondere alle loro miserabili inezie. Quello che più degli altri mi ha fatto maravigliare, si è un moderno Autore di una Tragedia Italiana intitolata Teonoe, il quale nella dedicatoria, o sia prefazione di cotal opera, introduce, fuor di proposito, ragionamento sulla Commedia, condanna il verso che dicesi Martelliano, e arriva a chiamar me, e quei che si credono seguaci miei, gente nata per infamia dell'arte. Non può negarsi che la Teonoe non sia verseggiata con una dolcezza di metro, e con una forza di sentimenti ammirabile. L'Autore suo degnissimo è Scolaro del celeberrimo Signor Marchese Maffei di gloriosissima ricordanza. Si conosce ch'egli ha procurato imitarlo, copiando i pensieri della sua Merope, e i versi medesimi trascrivendo; ma in alcuni tratti, mi si conceda il dirlo, ha superato il Maestro. Io gli auguro di buon cuore lunga vita, e miglior salute, acciò possa egli arricchire i Teatri nostri di belle erudite Tragedie. Il talento suo felicissimo arriverà ben presto a conoscere i difetti di questa sua prima imperfetta Opera, e si asterrà principalmente per l'avvenire di terminare una Tragedia in tal modo che sarebbe riprensibile in Commedia ancora; tanto più che il matrimonio di Teonoe con Icaro non è necessario, terminandosi l'azione completa col discoprimento delle due Figliuole di Testore. Vedrà col tempo quanto sia meglio scemar il numero degl'inutili versi, delle repetizioni, e specialmente degli argomenti; ed io son certo che arriverà egli ad essere un giorno il decoro della Tragedia Italiana. In quanto a me, se non mi degna dell'approvazione sua, pazienza. Ho cinque lettere del Maffei suo Maestro, suo Nume, che parlano di me in altra guisa; nell'opera sua de' Teatri antichi e moderni scrive di me in maniera che rende onore al mio nome. So che il Marchese Maffei ed il Martelli furono nemici in vita per occasione del verso dal secondo inventato; ma condannato un tal verso dal Maffei giustamente nella Tragedia, disse a me medesimo, che intesa la recita del mio Moliere, piaciuto eragli nella Commedia; e tanto è vero ciò che asserisco, che a lui medesimo vivente l'ho ricordato nella dedica di tal Commedia a lui fatta nel Tomo Secondo della edizione mia Fiorentina. Riescitomi sì bene il verso nella Persiana, lo ritentai nel Filosofo Inglese, che fu egualmente felice; onde arrivatane la notizia al prefato Signor Marchese Maffei, così mi scrive in una sua lettera che colle altre conservo, in data de' 24 Febbraro 1754: Dal Signor Luciato ricevo il suo quarto Tomo; gliene rendo mille grazie, e ne fo parte la sera agli Amici. Sento con sommo piacere l'eccessivo applauso che si fa alla sua ultima Commedia. Se si stamperà, la voglio di foglio in foglio. Continui pure così, e supereremo tutte l'opposizioni ecc. L'approvazione del Maestro dovrebbe bastare per vincere l'opposizione dello Scolaro. In un'altra de' 7 Maggio 1753, così mi scriveva il Signor Maffei: Le confido che ho fatto una solenne risposta al Concina, ed a quel suo libro nel quale afferma che l'arte è infame, e infami tutti quelli che hanno mano in Teatro, e che non debbono partecipare de' Sacramenti. In questa risposta nomino Lei, e il Fagiuoli, e gli do per esempio di Commedie oneste e morigerate, ecc. Ed in altra de' 15 Ottobre 1753: Io vorrei sapere come mandarle il mio libro de' Teatri antichi e moderni (osservo ora la data della sua da Venezia onde lo spedirò). Vedrà in questo, come ho difeso l'onesto uso de' Teatri, e la riputazione di chiunque

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Argomenti: spirito comico,    libertà ciascheduno,    moderno autore,    tomo secondo,    solenne risposta

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