Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 4

Testo di pubblico dominio

— Cosa facevi in collegio? Come ci campavi? Stavi allegro? — Egli, durante le soste dell'opera, raccontava; teneva allegra la compagnia per il modo con cui esaltava le delizie del reclusorio. Cantava anche a squarciagola una canzone che aveva sommessamente imparata a Castelfranco; e ridevano, sebbene fosse una canzone da piangere. Ma per il campo lo Scricco si meravigliava e godeva — e non lo diceva — delle piccole cose che ritrovava dopo tanti anni, e che gli ridestavano impressioni di sogni avuti là dentro, nella cella, alle notti grevi. Allodole trillavano invisibili contro il sole; cincie e lui si chiamavano, mai stanchi, d'albero in albero; le passere frullavano a frotte. Nei prati, i fiori d'inverno rompevano di lilla le verdi distese, brillavano gocce di guazza; candide famiglie di funghi spuntavano dalle radure. Si spandeva lontano l'odore dei pioppi. E al sole la dolcezza dell'aria faceva ricordare i giorni più tristi, ma passati per sempre. Frattanto con cautela, in segreto, il padrone si era accertato del vizio che aveva uno dei buoi acquistati da poco. Come aveva dato un balzo al passaggio di quel biroccino su cui era una donna col fazzoletto rosso, la bestia infuriava a mostrarle un fazzoletto rosso: tentava assalire cozzando. Terribile, se potesse! Era pericoloso irritarla anche là, legata alla posta. Quando i buoi han l'ira del rosso, nel sangue, guai; per ammazzare si lascerebbero ammazzare. Pure, Sandro non fece il referto; non ne parlò con nessuno. E temeva se ne accorgesse il bifolco. E fece fretta al sarto che, a norma dei patti, venisse a trar di cenci il garzone. Comperò anche, per il garzone, la flanella da fargli un camiciotto; rossa; e lo cuciva una delle nuore. — Vi nomineremo Garibaldi — dicevano ridendo le donne. Allo Scricco pareva di tornare ragazzo, quando aspettava ansioso il giorno della festa che indosserebbe il vestito nuovo, la camicia nuova. E fu un giorno di festa. Tutti, fuor che lor due — reggitore e garzone — erano ai vesperi. Giuocata che ebbero una partita alle bocce — la vinse lo Scricco —, entrarono nella stalla; lo Scricco a prender la sacchetta per andare alla foglia; Sandro per salir dalla botola nella cascina a dormire — disse — un bel sonno, tra il fieno. Ma appena fu disopra, il padrone ridiscese, svelto. Ascoltava allontanarsi la voce, che cantava la canzone di Castelfranco e, interrotta, rispondeva a uno che moveva parola dalla strada. Quindi sciolse, Sandro Molenda, il bue insano; lo spinse fuori della posta; lo avviò fuori della stalla, guatando (il camiciotto rosso non era a metà della capedagna); si nascose, svelto. E pochi istanti passarono, eterni. Chi non crederebbe a una disgrazia? Il bue insano (chi ne aveva colpa?) si era slegato, era scappato; e lui, accorso subito — troppo tardi — alle grida. Ecco. — Correte, gente! — gridò l'uomo che aveva mosso parola dalla strada. — Madonna, aiuto! — lo Scricco gridò: una volta sola. — Aiuto! — ripetè Sandro Molenda accorrendo con un forcale: — Aiuto! — E giunse.... — troppo presto? —: no. LA CASSAFORTE DI DON FIORENZO. Quando don Fiorenzo fu in fondo alla chiesa, si voltò, disse a bassa voce: — Signore, ve li consegno a Voi! —; e segnatosi con la solita rapidità, uscì. Il cielo schiariva. Pallidamente, il sole intiepidiva l'aria invernale. E il prete si mise a sedere sul gradino per riscaldarsi un poco al sole e quasi per rischiararsi lui pure dentro, nell'animo, che una commozione strana conturbava: di letizia amareggiata da un prossimo timore; di gioia impedita da una persistente gravezza. — La mia cassaforte! — pensò; e sorrise. Ma il pensiero gli ricadde inerte, ed egli restò a lungo così, seguendo con lo sguardo la vicenda della nuvolaglia più o meno tenue, non ancora trapassata nè aperta da raggi del tutto vittoriosi. Finchè, grazie a Dio, irradiò una vivida spera. — Mille e settecentocinquanta lire riscosse allora allora, calde calde. Mille e settecentocinquanta! Che somma! Che cordiale! Ah!, i quattrini, hanno proprio il vigore, l'ardore d'un cordiale che risuscita! — E questa volta rise di gusto, e si diede a pensare rinvigorito, infervorato, franco. Ne aveva abbastanza; finalmente non avrebbe più un centesimo di debito, con nessuno al mondo! Finalmente potrebbe spendere senza angustia per una veste (e si guardò la veste rossigna e tignosa), per un paio di scarpe (e si guardò a quelle scarpe). Finalmente potrebbe cavarsi qualche onesta voglia senza paura! No? Gli arriverebbe addosso l'Americano, suo fratello, con la solita burbanza, con la solita prepotenza, con i soliti assalti? — Che prete sei? Dove hai nascosti i quattrini che hai riscossi da Bisaccia? Dammeli! Ne ho bisogno! Li voglio! Bada!... — No! non te li dò! Trovali!; e se li trovi, prendili! Cadrai fulminato! Una pausa. Quindi don Fiorenzo rispose forte a suo fratello come l'avesse davvero lì davanti, trattenuto dalla tremenda minaccia; e si sfogò, finalmente. — Che prete sono? Un prete che ha sempre fatto il suo dovere; un galantuomo, sono, io, che ha sempre sofferto in lite con la miseria! Sempre! E adesso che ho quel che ho, un capitale mio, tutto mio (un biglietto da mille, stupendo; uno da cinquecento, sudicio, ma stupendo anche lui; due da cento, del Banco di Napoli, belli e buoni; due marenghi d'oro lucidi e sonanti che consolano a toccarli, e una carta da dieci per giunta), adesso che posso rifiatare, io, fratello, non ti scongiuro più a mani in croce di non rovinarmi, di non sacrificarmi, di non rubarmi, e ti domando, io, a te: — Che fratello sei? che cristiano sei? che uomo sei? E ti dico: Quando io digiunavo per tirar innanzi gli studi e arrivare a dir messa; quando nostra madre rompeva il digiuno a fette di polenta, tu eri già in America a far fortuna, e non mandavi un soldo, che è un soldo, a casa, mai; e affrettavi con la tua condotta, col tuo silenzio, coi tuoi misteri, la morte di quella santa! Che Dio ti perdoni! E quando sei tornato e mi hai veduto qui, nella parrocchia più misera, più trista della diocesi, e mi hai veduto nelle spese e nei debiti — la cascina, bruciata, da rifare; il fondo da bonificare; la vigna da ripiantare, da scassare, da curare —, sei venuto forse ad aiutarmi? Ti sei dato, invece, alle gozzoviglie in paese, laggiù, perchè ti credessero un gran signore e ti dicessero l'Americano; ti sei mangiato, bevuto, giocato tutto. Spassi e bagordi! Donnacce! Faraone e goffetto! E io non conosco nemmeno le carte! Poi, dopo: — Fiorenzo, prestami cinquanta lire, cento lire! — Non le avevo: il capomastro da pagare; il solfato da pagare; la banca da pagare. Povero me! E tu a rimproverarmi: — Che prete sei? — A minacciarmi: — Bada che sono stato in America! — Come per spiattellarmi che in America ne hai fatte di peggio. Dio ti perdoni! E appena in paese ti informavano che avevo venduto qualche cosa, súbito mi correvi addosso, a martirizzarmi. — Dammi i denari! Io: — No! — E me li hai portati via: più di una volta; dal canterano, di dentro il pagliericcio, di sotto i mattoni. Ladro! che Dio ti perdoni. A tal punto la fosca immagine fraterna sembrava cedere, sopraffatta. Ma risollevava il capo. Domandava: — Mille e settecentocinquanta franchi? — Sì! E questi non me li becchi! Questi sono in una cassaforte, mio caro, che non si tocca senza tremare. Questi li ha in custodia un carabiniere che ferma le mani e le gambe anche di chi è stato in America! Próvati; cadrai fulminato! — Non c'era da ribattere. L'Americano sembrava allontanarsi intimidito da un sacro spavento. E dileguava. Don Fiorenzo oramai si sentiva libero e tranquillo; guardò nella realtà. Gli olmi terrei e squallidi sfilavano con le vecchie braccia aperte, quasi a reggere un peso grande, e reggevano due o tre esili rami. Tra gli alberi, in un punto, l'acqua del rio specchiava, dentro una luce opaca, la sponda di contro: scolorita; brulla. Ma sollevandosi e

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Argomenti: camiciotto rosso,    bue insano

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