Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 25

Testo di pubblico dominio

Ahimè! a vederle pensò che con l'oro si posson far molte e belle cose, non una: vincere la morte. Ond'ebbe paura di morire; ebbe il dubbio d'andar lui, invece del frate, a sgambettare tra le grinfe del diavolo sovrano di tutti i diavoli; e con un febbrone addosso si mise a letto. Vi penò, peggio che se fosse stato all'inferno, fino a che non si risolse a mandare per quel tal monaco e fino a che non l'ebbe al capezzale, in confessione. Inutile dire come questa fu lunga e scrupolosa; basti sapere che all'ultimo il peccatore disse: — Padre reverendo: in salvezza dell'anima mia lascio al vostro convento il frutto di tutti i miei guadagni, leciti e illeciti. A un patto.... — Quale patto? — chiese il frate. — Che vi incarichiate voi dell'ampolla, là, sullo scrittoio. C'è dentro.... — Che cosa? — dimandò il frate. — Il più reo spirito che mai abbia infestato Burgfarrubach. Si ricordò il buon priore del demonietto che, parecchi anni prima, aveva dato da fare a non pochi esorcisti; e imaginò fosse lui a sprizzar fuoco e a friggere dentro la boccia; ma non ne prese soverchia pena. A studiare e meditar la vita di Sant'Ilario taumaturgo aveva imparato uno scongiuro che nemmeno l'arcidiavolo potrebbe resistervi; nemmeno Lucifero. Da uomo prudente gli bisognò tuttavia consultare i suoi monaci che, confessandoli lui stesso, sapeva tutti savi. Doveva accogliere l'eredità? E l'ampolla? Non era un lascito pericoloso alla buona fama del convento? No. Tutti furono di opinione che l'eredità si accettasse; ne avevan gran bisogno; e quanto alla boccia, si rimettevano all'antico senno del priore e alla pietà divina. Così i sacchetti delle monete — appena morto l'avvocato — furono trasferiti al luogo di quegli onesti servi di Dio; e l'ampolla, nella celletta del priore. Il quale sorridendo un poco della paura che solo a vederla avevano avuta i fratelli più ingenui, pensò: «Non si riuscì mai a rimandare questo reo spirito all'inferno perchè non fu mai possibile trattenerlo sin alla fine degli scongiuri. Ma ora è qui dentro, e ben ci sta; e a suo dispetto dovrà udire sin in fondo quel che io ho imparato da Sant'Ilario taumaturgo. Quando poi piacerà a me, lo lascerò andare a casa di Lucifero, togliendo il tappo, ossia gettando l'ampolla in terra». E quasi per prova si diede a recitar l'esorcismo che credeva ineluttabile. Ma come disse: — esci, maledetto, da questo corpo! lascia in pace.... — fu costretto a interrompersi: la boccia, su la panca, parve accendersi di gaudio; e ne scaturì una risata così gioconda, così arguta che al buon priore cascarono le braccia. Rimase atterrito. Non aveva pensato, poveretto, che l'esorcismo di Sant'Ilario era rivolto alle invasioni diaboliche in corpo di cristiano — «lascia in pace quest'anima cristiana» —, non in un'ampolla d'acqua chiara. E il poveretto dubitò, capì che non c'era da fidarsi nel rimedio creduto infallibile. Tenersi dunque l'ampolla in cella? Misericordia! Che pericolo! che orrore! Non ebbe più una notte di bene. Vampe davanti agli occhi; strani cachinni agli orecchi; e quel ch'era peggio, tentazioni che una non aspettava l'altra. Urgeva liberarsi del gravoso lascito. Ma in qual modo? Rompere l'ampolla dentro il convento? E se lo spirito ritornava al costume d'una volta e s'annidava or qua or là, ora a infestar questa, or quella cella, senza che un compiuto, efficace scongiuro bastasse a scacciarlo? Rompere l'ampolla all'aperto? Le sacre storie riferivano terribili esempi delle vendette che gli spiriti neri prendevano se fugati in ispazi indifesi: súbite accensioni dell'aria, per cui uomini santi rimasero paralizzati o fulminati; repentini turbini, che rapirono creature innocenti, e non si trovarono mai più; frenesie delle quali, per orrore istantaneo, degni sacerdoti infermarono la vita intera. Dibattuto in tali dubbi, il priore sospirava, piangeva e lottava notte e giorno contro le tentazioni. Pregava, invocava il divino aiuto. Finalmente a suo conforto rilesse nelle sacre scritture che anche con i diavoli grandi giova talvolta giuocar d'astuzia. Ora, se per rimandare all'inferno il diavoletto, piccolo sì, ma protervo e spaventevole, bisognava fargli intendere tutto intero uno scongiuro; se lo scongiuro più efficace era quello di Sant'Ilario; se lo scongiuro di Sant'Ilario aveva efficacia certa nelle invasioni personali, l'astuzia, la vittoria stava nel trovar persona in cui allo sfuggir dalla boccia lo spirito entrasse e si compiacesse d'entrarci e di restarci. Se non che, per evitare ogni scandalo intorno all'eredità dell'avvocato, non era da rintracciare fuori del convento la coscienza ottenebrata e laida che allo spirito soddisfacesse pienamente. In un frate, dunque? Imprigionarlo in un frate peccatore? Oh certo!: il diavoletto sarebbe lieto di balzargli addosso, di sguazzarci dentro! E senza dubbio si ostinerebbe a rimanere nella insolita ambita stanza (un frate!) anche durante l'esorcismo; e allora....; battaglia vinta! All'inferno, una buona volta! Non più triboli per l'eredità! Era un pensiero cattivo? Un consiglio del gran Demonio? Perchè, badate, ci voleva che uno di quei fraticelli così savi e pii cadesse in colpa, e che il priore per conoscerlo all'uopo lo confessasse, e confessandolo non lo assolvesse prima d'aver compiuto l'esorcismo e aperta o rotta l'ampolla.... Ci voleva una tentazione irresistibile per qualcuno dei suoi cari monaci! Ebbene, le vite dei Padri non attestavano forse che anche le tentazioni giovano? Giovano a provar la virtù? Non era lecito, doveroso forse, mettere di quando in quando a prova le virtù del convento? E per la fragilità umana non tornava possibile, possibilissimo, l'errore pur di un fraticello che fosse savio e pio? Gran prudenza, sì, richiedeva la buona fama dal monastero da mantener intatta. E il priore parlò ai fratelli con grande prudenza. E disse che agevole sarebbe la via del Cielo se non la impedissero le lusinghe del mondo; nè esservi vittoria senza combattere. Andassero dunque, essi, i fratelli, per un po' nel mondo; in abito secolare e con le monete dell'avvocato sfidassero, sconosciuti ma forti, il secolo. Se qualcuno cadesse nella lotta, i vittoriosi l'aiuterebbero a risollevarsi. Bontà di Dio! Che precipizio! che salti mortali! Quando i fraticelli furono ritornati dalla città e li ebbe confessati tutti, il priore non seppe più quale scegliere per la funzione dell'esecrata ampolla. Tutti erano caduti, e come! Ah l'umana miseria! Ah la potenza del Demonio! Tutti precipitati, tutti! E ciascuno rispondeva alle rampogne: — I fratelli vittoriosi mi aiuteranno a risollevarmi. Sbigottì il priore; ma sperò che il sacrifizio dell'uno affretterebbe la cura degli altri infermi e, nello stesso tempo, la liberazione affannosamente sperata. E con il panico dell'atteso evento, con la smania d'uscire dall'angustia così a lungo protratta, corse a prendere l'ampolla e fatti schierare i fratelli dinanzi a sè (il diavolo scegliesse lui), la lasciò andare.... Allora....: un fracasso di cento ampolle infrante a un tempo; una vampata; un grido atroce, tra il fumo; e puzzo di zolfo; e il lamento che si mutava in riso di follia.... Orribile! Al diradar del fumo, esterrefatti, videro, tutti i frati videro il lor priore che si contorceva in una convulsione, al suolo; gli occhi fuor dell'orbita; la bava alla bocca; invasato. Bontà di Dio! Invasato il priore! Atterriti da questo castigo totale, rimorsi nel cuore e nell'anima, mentre alcuni soccorrevano il misero, gli altri si gettarono in ginocchio a implorar dal Cielo pietà. Piangevano. Non perciò cessava lo strazio orrendo! E i più anziani diedero il buon esempio; cominciarono a confessare ad alta voce le loro colpe, a far atti di contrizione, a rimbrottarsi a vicenda per meritarsi l'assoluzione che s'impartivano a vicenda. E assolti, avrebbero tentato la prova degli esorcismi. Tentarono. Chi, imposte le mani sul capo dell'ossesso, invocava l'aiuto dei

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Argomenti: uomo prudente,    diavolo sovrano,    lascito pericoloso,    efficace scongiuro,    tentazione irresistibile

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