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Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 26santi, angeli, arcangeli, patriarchi, profeti, apostoli, martiri, confessori: chi gli appendeva al collo un breve coi nomi dell'Onnipotente: Hel Heloym, Sother, Emmanuel, Sabaoth, Agia, Tetragrammaton, Otheos, Athanatos, Jehova, Saday, Adonay, Homusion — e a gran segni di croce minacciava il demone e gridava: — Esci, immondo! esci, aspide e basilisco! Scorpione e iniquo spirito, vien fuori! Fuori! Ma no: lo spirito d'iniquità non usciva. L'ossesso or sghignazzava, or parlava una strana lingua, or fremeva sputando e digrignando i denti, or bestemmiava come un saraceno. E chi gli copriva il capo con la stola e cantava il salmo: Vicit leo de tribu Juda; e chi l'ungeva con la cera del cero pasquale e recitava antifone e oremus. Invano, tutto invano! E chi leggeva gli evangeli al passo di Gesù scacciante i demóni; e chi aspergeva l'invaso, lo inaffiava a dirittura, tutto quanto, di acqua benedetta. Invano. L'unione fa la forza. I poveri fraticelli si studiavano di operare insieme; ma lo spirito invasore pareva più possente che quello famoso di Simon mago. Ne fecero di tutte le sorta. La notte si flagellarono sui nudi dorsi, e il giorno dopo digiunarono; sempre in preghiera. Il giorno seguente si recarono alla città e per le campagne a largire in carità i quattrini dell'avvocato.... Invano. Non valevano discipline, vigilie, digiuni, orazioni, elemosine; nulla! Che diavolo! che strapotenza di un diavolo! Era accaduto più di quel che il priore aveva previsto. Lo spiritello, fornito d'immensa energia, d'una resistenza che ogni più grosso demonio avrebbe potuto invidiargli, restava, pervicace e tenace, nel luogo di sua soddisfazione; nel corpo di colui che, maggior colpevole, aveva mandato gli altri alla colpa. Nè i fratelli sapevano più a che santo votarsi: quantunque alcuni, sorretti dalla speranza e dalla fede, si attendessero di giorno in giorno un miracolo: l'intervento di un messo di Dio. .... Quando, una mattina, dopo forse un mese di tante angosce, il laico che vangava l'orto scorse venire alla volta di lassù un uomo di aspetto venerabile, a cavallo d'una mula d'aspetto venerabile. Giunto che fu, e legata che ebbe la mula a una caviglia, il solenne pellegrino avanzò verso la portineria. — Sono — egli disse — il dottor Papenwasser, professore all'università di Koenisberga, e vengo qui a studiare su di voi frati l'«elaterio della facoltà di astrazione». — Ma che elaterio! L'ortolano e il portinaio cominciarono a gridare: — Il messo di Dio! È arrivato il messo di Dio! Accorsero. E tutti i monaci gli si fecero incontro con riverenze e benedizioni. Nemmeno perdettero fiducia udendo — i più istruiti — chi egli era; anzi si persuasero meglio che venisse mandato dal Cielo. Era un dottore, e un dottore d'Università, e un professore dell'Università di Koenisberga! Non avevano dunque ragione di ritenerlo capace d'ogni sapere? Infatti, com'essi umilmente e timidamente l'ebbero informato della loro disgrazia, egli sentenziò: — Ho capito. Son dotto in materia. — E con l'occhio della mente corse subito al profondo magazzino della sua mente; guardò al ripartimento demonografia e scórtovi argomento per una erudita lezione, soggiunse: — Son da voi. Purchè procediamo con metodo. Credettero i monaci che a procedere con metodo prima di tutto fosse necessario condurlo dove avevano vincolato, in un lettuccio, il miserabile ossesso. Che! A quel fiero spettacolo, il quale avrebbe intenerita una pietra, non si commosse affatto l'erudito dottore; come non udisse quelle strida, non vedesse quelle contorsioni convulse, quegli impeti di atrabile, quei ghigni osceni. E intanto egli predisponeva, severo e tacito, l'argomento della sua lezione: — Dèmoni e spiriti in Egitto, Assiria, Caldea, Persia; in Frigia, a Colchide; in Tracia — presso i Greci e i Romani.... (Oh che bella lezione!) — Magia operativa e magia divinatoria — riti di espiazione — formole, erbe e pietre magiche.... (Oh che profonda lezione!) — Negromanzia; lampadomanzia; dactilomanzia; lecanomanzia.... (Oh che colossale lezione!) — Ragolomanzia; palomanzia: petchimanzia; partenomanzia; pegomanzia.... Poi, fatti sedere intorno intorno tutti i frati, il dottore incominciò: — Narra Erodoto di Alicarnasso, dai latini erroneamente detto il padre della storia, che gli antichi Egizii.... Stupirono i frati. Non comprendevano quale fine potesse avere un tal discorso; pareva loro che più importasse la liberazione dell'infelice. Ignoravano, poveri frati, che scopo degli eruditi è di mostrarsi eruditi; nè immaginavano l'efficacia dell'erudizione quando trascende alle contingenze della realtà. Il dottore di Koenisberga parlava da mezz'ora appena, e già i monaci, nei loro sgabelli, chinavano il capo sul petto e a occhi chiusi riposavano in un delizioso oblio della loro corporea salma e dei loro guai. E già l'ossesso sbadigliava. Da prima furono sbadigli a bocca spalancata e lamentevoli, mentre gli occhi smarriti ricercavano la perduta coscienza. Indi, a poco a poco, seguiva un languore, un assopimento benefico. Finchè, a due terzi della lezione, il priore mandò un fragoroso sospiro, e dopo, alto, un grido di gioia. Destati, i fraticelli balzarono in piedi; guardarono; videro. Miracolo! Il miracolo del messo di Dio! — Laus Deo! Osanna! — E corsero a sciogliere il redento. E — laus Deo! laus Deo! — tutti si inginocchiarono ed elevarono braccia e voci in rendimento di grazie al Signore. Salvo! Il priore era salvo! Tedeum! Ma poichè fu cantato il Tedeum! accadde un fatto forse più strano della stessa liberazione che aveva sollevato gli animi oppressi: l'erudito, fedele al suo metodo, per cui non abbandonava mai un argomento senza averlo, secondo diceva, sviscerato o esaurito, ripigliò il discorso dal punto in cui era rimasto interrotto. Come se nulla fosse accaduto! Come se a colui non importasse nulla del gaudio che rianimava tutto il convento, dell'esultanza in cui tutti i monaci furono concordi quasi per una comune resurrezione! E allora sdegnati, essi non videro più nel dotto di Koenisberga l'angelo salvatore ma lo strumento involontario, inconscio, indegno della Provvidenza; e tanta era la foga che egli metteva a seguitar con la fastidiosa discorsa, che dubitarono lo spirito maligno si fosse trasferito dal priore in lui. Per non più patire esperienze diaboliche afferrarono dunque gli sgabelli, e gli mossero incontro: — Via! Fuori di qui! Fuori l'invasato! All'inferno! Oh frati ingenui nonostante i loro recenti scapucci nel cammino del mondo! Il diavolo che aveva resistito tanti anni dentro un'ampolla, in elemento contrario; che aveva resistito a tanti scongiuri e religiosi assalti e rituali invettive, non aveva potuto, no, resistere all'intera lezione d'un erudito tedesco. Figurarsi se si sarebbe trovato bene dentro il corpo di lui! No, no, preferiva.... — Via, scorpione! via, basilisco! Preferiva, aveva preferito.... — Via, dragone! All'inferno! — i frati urlavano. E il dottor Papenwasser fu costretto per la prima volta, da che era professore a Koenisberga, a mancare al suo metodo. Uscì di trotto, alla volta della mula. Ma la mula non c'era più. E la capezza, con cui l'aveva legata alla caviglia, bruciava ancora. 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