Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 20

Testo di pubblico dominio

subito. Ma non poteva fuggire, miserabile, da sè stesso; non poteva fuggire al dilemma che gli si veniva determinando sempre più chiaro nella mente: O il mondo sapeva, e sarebbe inesplicabile la sua condotta, la sua ipocrisia, la sua dedizione alle convenienze quando e in qualunque modo egli desse a vedere che non ignorava, già prima, la colpa della moglie; o il mondo non sapeva, e guai per lui se si vendicasse. Rivelerebbe lui la sua sventura. La pubblica moralità non giustifica il marito che ammazza, o scaccia la moglie, o se ne separa, se il castigo non chiarisce, non specifica la colpa. Anche in treno, e poi la notte insonne, nel letto dell'albergo, cercò la via a superar sè stesso. Invano. Il pensiero di rimettere all'avvenire una decisione gli era insostenibile; nessun conforto, nessun consiglio, nessun aiuto. Che poteva sperare dal destino? E invano la mattina dopo si provò a un ritorno di vita normale nelle faccende per cui era stato chiamato a Ferrara; anzi quei discorsi, così lontani e diversi dell'intima cura, gli esacerbarono sempre più la ferita, gli rintorbidarono la mente. Ripartì con una più fiera tempesta nell'anima, con un senso di energia ricuperata e prorompente, e un bisogno d'uscire da quella sua agonia; con un solo pensiero fisso e, solo esso, ragionevole: che la risoluzione del suo destino non dipendeva da lui; dipendeva dal contegno della moglie. Egli l'affronterebbe gettandole in faccia la lettera che ne attestava la colpa, le direbbe: — Ho tentato di salvare il tuo onore salvando il mio. Ora, a noi! E senza chiasso, senza scandalo! Che intendi di fare? Ma una mossa sola di lei, una parola sola avversa alla sua passione immensa lo trasporterebbe al di là del limite che divide la ragione dalla follia; e allora non indietreggerebbe, non esiterebbe davanti alla catastrofe sanguinosa. Una revolverata per lei e una, magari, per sè; tanto, la sua vita era spezzata! Così, mentre andava a casa, l'immagine della donna gli si confondeva nella mente con le attitudini o del terrore improvviso, o della negazione disperata; o della confessione umiliante, o dell'invocazione di pietà e di perdono. La immaginava di nuovo in una crisi di lagrime e di rimorso, a cui sovrastava imponente, spietata, tremenda, quale che si fosse, la risposta e l'azione di lui.... A casa! A casa! Ma nell'entrare in casa pallido, fremente, ecco venirgli incontro la moglie frettolosa e, al tempo stesso, tranquilla. Tranquillissima! Diceva: — Il notaio Neri t'ha cercato ierisera e stamattina per una cosa di grande premura. Poco fa ha mandato questa lettera. E la porgeva. Tranquillissima! Amaldi per prendere la lettera del notaio e aprirla lasciò nella tasca quell'altra, che già stringeva per gettarla in faccia all'adultera. E lesse; e intanto che leggeva, Rina, nel vederlo affoscare sempre più, dubitò di una nuova disgrazia e: — Che c'è, Corrado? Una nuova disgrazia? — chiese con dolcezza. Corrado non rispose respingendola: — Via, malafemmina! — Rispose: — Nulla! —; e si diresse all'altra camera. — Vuoi desinare subito? — Rina domandò ancora con dolcezza —. Sarai stanco; avrai fame. Senza volere, assentì, del capo. Poi, nella camera di là.... Era una cosa incredibile! Una cosa turpe, laida, lurida; una schifezza orrenda! Da ridere. Che vigliacco era stato quell'uomo saggio! Diceva la lettera del notaio: ".... Il testamento del compianto commendatore Demetrio Lecci, aperto a richiesta del di lui nipote, lega lire cinquantamila a favore della S. V...." — Ed io — disse a sè stesso Corrado Amaldi sobbalzando con l'impeto del martire che riconfermi la sua fede di fronte allo scherno osceno e tirannico —, io rifiuto il legato, io rifiuto il prezzo della mia vergogna! Rifiuto! Ah sì? Rifiutava? Un eroe! Se non che il mondo vigilava e chiedeva: Perchè? Perchè rinunciare al lascito del tuo miglior amico, che hai tanto stimato e amato in vita, che hai tanto onorato in morte, che hai accompagnato all'ultima dimora e hai visto, con tanto strazio, seppellire? O il mondo sa, o non sa.... Ma no (ragioniamo), no che il mondo non sapeva! Un uomo prudente, retto, saggio quale Demetrio Lecci, non avrebbe avuto mai simile audacia senza l'assoluta certezza che il mondo ignorava la sua colpa; non avrebbe corso il rischio di contaminare post mortem la fama di tutte le sue belle virtù con un atto che disonorasse il benefattore non meno del beneficato; anzi con illuminata esperienza egli aveva forse provveduto così a smentire, a rendere inverosimile la malignità se mai qualcuno osasse di mormorare! E se il mondo ignorava, non sarebbe stata stoltezza metterlo in sospetto rifiutando l'eredità? Accettarla! Ma (ragioniamo), ma accettandola come avrebbe potuto — povero marito —, come avrebbe potuto investire, assalire l'adultera, chiamarla infame? Essa avrebbe ribattuto, trionfante: — Chi più infame di te che accetti l'eredità dell'amante di tua moglie? Nessuno scampo, gran Dio! Così, proprio così: per salvare la sua dignità, il suo onore; per serbarsi un galantuomo, un gentiluomo agli occhi degli altri e di sua moglie, Corrado Amaldi doveva prendersi le cinquantamila lire e tacere! Irremissibilmente; ad ogni costo: tacere e prendersi le cinquantamila lire! Nessun rimedio. — Corrado, vieni a desinare? — chiamò Rina con dolcezza. Egli stracciò la lettera.... — non quella del notaio, l'altra —; ne sparse i minutissimi pezzetti fra le carte del cestino; e raccolte tutte le forze a superar sè stesso, rispose, con dolcezza: — Vengo. Non c'era altro da fare. LA STELLA SIRIO. Alfonso Graldi entrò nella stanza del fratello e gli chiese: — Hai sentito che cosa han detto le Raffi: dei socialisti e di Turri? Raimondo lo guardò, e tacque. Non ricordava e ricercava nella memoria. Ma Alfonso interpretò quel silenzio e quello sguardo quali segni di apprensione per lo stesso suo dubbio e di timore per una deliberazione grave. E disse, calmo: — Sta attento. Poi, dominandosi e augurando la buona notte, uscì. — Le Raffi? — Raimondo ricercava. — Vattelapesca! — Mentre discorrevano, su la terrazza, egli osservava Vega, Arturo e Antares. — Attento? A che cosa dovrei stare attento? Ai socialisti? A Turri? Perchè? Mah! Turri non era venuto a conversazione, quella sera, e nemmeno l'arciprete; e appunto perchè non aveva avuto gli amici con cui si intratteneva volentieri egli, alle chiacchiere delle informatrici, aveva preferito ascoltare ciò che gli dicevano le stelle. — Domattina lo domanderò a Adriana — soggiunse —; se era presente e se ci avrà badato. Anche Adriana infatti non dimostrava mai d'interessarsi ai pettegolezzi del paese, e, quando poteva, scampava dai fastidiosi argomenti di leghe, di soprusi municipali, di studiate rappresaglie, e battaglie minacciate, e sperate vittorie. Raimondo si mise dunque a leggere il libro che gli giovava più del bromuro. Finchè l'occhio gli scorse su le righe senza più afferrarne il senso. — Mio fratello — pensava — non è uno stupido; tutt'altro! Ma è vittima di una ambizione meschina. Vorrebbe prevalere a Castelronco. Che gloria! A dir vero Alfonso Graldi non viveva solo nel paese e del paese. Arricchiva sempre più usando ingegno, energia e volontà in imprese agricole e industriali; estendendo l'opera sua in tutta la regione; acquistandosi stima invidiabile pur in città, dove si trasferiva l'inverno. Ma nel luogo nativo quasi per necessità doveva sorreggere i conservatori, e prepararli alla riscossa. — Bel gusto! — mormorava, malcontento, Raimondo. — Bel gusto consumar gioventù, forze, ingegno in simili lotte, per simili conquiste! Al solito: dispetti, ire, arrabbiature. E inganni da opporre, e insidie da evitare.... Ah ecco! Aveva trovato: credè aver trovato ciò che avevan detto quelle pettegole Raffi. Una delle solite: la storia di un appalto favorito dal sindaco e conceduto alla lega dei birocciai, per la ghiaia; di una frode nella misura

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Argomenti: povero marito,    vita normale,    pensiero fisso,    scherno osceno,    simile audacia

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