Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 22

Testo di pubblico dominio

settimane dopo la sera che Alfonso aveva mosso al fratello l'oscuro ammonimento — e Alfonso non ne aveva più tenuto parola nè Raimondo se ne era più ricordato — l'arciprete, dalla via, sorprese l'amico una mattina mentre curava i fiori prediletti. E gli disse piano, timidamente, quasi: — Ho da parlarle. Andandogli incontro per il viale che metteva, un po' di lungo, all'ingresso della strada, Raimondo pensava: — Don Paolo mi sembra stralunato. Parlarmi di che cosa? Di che avevano discusso nei recenti colloqui? Degli elementi dell'atomo (elettroni....); delle macchie solari in rapporto alla meteorologia....; di Darwin in rapporto ai neovitalisti....; della — ah, sì! — della pluralità dei mondi abitati — sì, sì — in rapporto alla religione e al dogma. E in presenza di donne egli si era lasciato trasportar troppo dall'argomento; aveva turbato, in grazia delle scandalizzate ascoltatrici, la serena tolleranza, la coscienza del bravo prete. — Colpa di Sirio! — si disse ancora Raimondo vedendo con la mente il sorriso ironico di Adriana. Infatti al tema pericoloso li aveva condotti, quella sera, l'accenno al pianeta che gira intorno a Sirio in cinquant'anni. Ma don Paolo parve anche più imbarazzato quando seduto sul sedile, tra il folto, cominciò a bassa voce: — La nostra amicizia e la mia prudenza, anzi il mio dovere...., m'impongono.... Raimondo gli fu subito grato del tono dimesso, della soggezione manifesta, e pentito com'era d'avergli fatto dispiacere, affrettò: — Ho capito, don Paolo. Lei ha ragione. Il prete sembrò ora meravigliarsi di quella consapevolezza; ma l'altro abbassò gli occhi, quasi a significare: — Le dò ragione, sebbene l'amore della scienza mi giustifichi. — Lei capisce — seguitò il prete, grato a un tempo che gli fossero risparmiate spiegazioni penose, e dolente di dover insistere per condurre l'amico al suo prudenziale consiglio. — Lo scandalo.... Le chiacchiere.... La perfidia degli avversari.... Già: felici di dare addosso a un povero prete, che per l'amor della scienza si comprometteva in conversazione sopportando teorie irreligiose. All'insistenza però del collega, Raimondo non volle più cedere del tutto; oppose, serio: — Capisco; capisco. Ma non diamo troppo peso.... — Il mio timore — interruppe angustiato don Paolo —, il mio timore è che le voci, le accuse anonime pervengano all'orecchio di chi deve ignorare.... Dell'arcivescovo? Povero don Paolo!; si aspettava noie fin dalla Curia! — Ha ragione — affrettò di nuovo Raimondo. — Le prometto.... Ma allora una bella risata squillò dietro di essi e li fe' sorgere in piedi. Adriana. — Bravo don Paolo! — esclamò. E scendendo per l'erta, tra i lauri: — L'ora è propizia! Il prete, pallido, stentò a sorridere. — Di giorno — la signora soggiunse — non si vedono le stelle, e adesso le sarà più facile persuadere questo ostinato.... — A che? — Raimondo chiese. — A non perdere di vista le cose terrene! Don Paolo guardò la signora con ricuperato animo. Disse: — Forse sarebbe meglio, certe volte, perderle di vista! E la signora fissò il prete. — Oh! Così non deve dir lei, reverendo, che con tanto zelo compie quaggiù la sua missione di carità e di amore! Anche Raimondo sentì l'ironia e gli dispiacque. — Mia cognata — interloquì — mi giudica egoista, apate. — Se non foste, non avreste sempre la testa in Sirio. Sviato, il discorso proseguì scherzoso tra i due e lasciò libero il terzo di andarsene presto. Se n'andò, don Paolo, convinto d'avere provveduto alla sua missione. — Ora la metterà in guardia — pensava. — Mi ha capito meglio lui di lei. .... Ed era stata per Raimondo una notte quasi insonne, sebbene senza sospetti di nessuna sorta. S'alzò all'alba; spalancò la finestra. E si rimise, così vestito, sul letto. Nella quiete ancora notturna pesava l'aspettazione del giorno canicolare. Poi i suoni vi furono come gettati dentro da lungi ed estesi da onde che vibrassero basse e dense, quasi staccate dall'aria che le recava. Rari abbaiamenti e gallicini fiochi. Nè questi suoni rompevano l'immenso silenzio; e lo dilatavano, infinito, lo spesso zittìo delle locuste e il fondo e grasso gracidare dei rospi. Solo una voce umana avrebbe rotto il silenzio immenso, avrebbe ridestata la vita; ma non si udiva una voce d'uomo. E guardando di là, da sedere sul letto, agli alberi che nereggiavano lungo il clivo, Raimondo pensava agli uomini, e gli parevano creature poco dissimili da quelli: la superiore anima degli uni non era radicata alla terra come la vitalità degli altri? Il pensiero non era forse vincolato alla materia bruta? O forse Adriana, nella sua ignoranza, scorgeva il vero? Unica realtà capace di idealità e spiritualità, unica illusione difesa e sostenuta dalla realtà sarebbe l'amore? Unica felicità addentrarci amando nella vita della materia, per illuderci godendo e soffrendo di superar la terra che ci avvinghia con radici tenaci fino alla morte? Un galoppo veniva di lontano lontano, e Raimondo l'accompagnò con udito or più or meno sensibile. Lontano lontano.... E mentre la frescura lo riassopiva, e mentre gli pareva che quel galoppo strappasse affannosamente la strada, credè ricordarsi che Alfonso aveva detto di restare assente tre giorni.... Ma nell'avanzare il galoppo cadeva a trotto uguale; scemava; cessava. Alfonso? No. Non poteva esser lui che ritornasse un giorno prima, a quell'ora, dal luogo ove gli affari l'avevano intrattenuto, quantunque non di rado, per il caldo, viaggiasse anche la notte col suo buon cavallo. Quand'ecco un rumore vicino riscosse dal dormiveglia Raimondo: un repentino, affrettato rumor di passi, nella loggia. Ascoltò. Non sognava. Qualcuno apriva le imposte della ringhiera. Balzò e corse alla finestra e.... Come in un sogno volle gridare al ladro, e non potè. Giù, d'un salto, dal balcone, il fuggitivo scompariva tra le macchie: riconoscibile. Riconosciuto! Lui! E altri passi più forti per le scale e nella loggia; e lo sbattere violento d'un uscio. Turri! Alfonso! Con la mente vacillante, col cuore stretto da un'angoscia mortale, Raimondo percepì le due imagini nella rivelazione istantanea, e tutto gli apparve in una improvvisa orrenda luce. Ah le parole delle Raffi! Solo adesso le ricordava! E insieme, d'un tratto, vide quanto avrebbe dovuto intendere prima, a poco a poco, se avesse ricordato e riflettuto: l'ammonimento del fratello («sta attento»), le parole delle Raffi («il capitano, dicono i socialisti, consola i mariti fuori e le mogli in casa»), la prudenza di don Paolo, gli infingimenti di Adriana. Vide Adriana, e tremò per lei. Di pietà tremò. Uscì, disperato. Scendendo dal piano superiore, scarmigliata, piangente, con le mani in croce, disperata, lo affrontò la cameriera; e lamentando — Dio! Dio! — pareva rinfacciare a lui la storditezza, la debolezza, la viltà che non aveva saputo impedire, che non sapeva impedire. Raimondo si sentì mancare. Ma.... — l'uccide, l'ha uccisa! — ecco il colpo. E si precipitò verso là. Alfonso uscendo lo respinse. Stringeva in pugno il revolver. Si guardarono nell'attimo tragico. Fratelli? E con voce ferma, con la stessa voce con cui aveva detto quella sera: — sta attento — Alfonso disse al fratello: — L'ho uccisa. L'ASINO NEL FIUME. La maggior piena era passata: ora la fiumana, contenuta nella parte più bassa, scorreva rapida, ma a piccole onde lievi lievi che s'inseguivano riscintillando. Il sole, nel sereno purificato dalla pioggia della mattina, la irradiava, vi si rifletteva quasi in liquido argento; e ove dilagava nel letto più ampio, l'acqua pareva espandersi dall'agitazione del mezzo e indugiare, di costa, in un tremolìo fulgido, frequente e incessante; come in una trepida gioia infinita. Per passare dalla riva sinistra alla destra a caricarvi la ghiaia, i birocciai dovevano seguire la carraia che avevano praticata evitando massi e borri e seguire, sotto

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Argomenti: povero don,    sorriso ironico,    tanto zelo,    tema pericoloso,    bravo don

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