Fior di passione di Matilde Serao pagina 27

Testo di pubblico dominio

descrizioni più o meno colorite che da tempo immemorabile si scrivono sui boschi, sui prati, sui fiori. Quante risate sull'edera tenace e sul ruscello che mormora! La signora aveva dei dentini bianchi da gattina cattiva, ed il signore dei mustacchietti biondi dalle curve armoniose e seducenti. Passavano una mattinata gioconda. I loro cuori erano tranquilli, i nervi quieti, lo spirito agile, la parola briosa. Con tutta l'arditezza del suo carattere e l'indipendenza della sua vita, la signora era onesta, pacificamente onesta: aveva marito, a Milano, e lo amava e si scrivevano ogni paio di giorni. Essa adorava il mare e veniva a prendere i bagni a Castellammare. Il signore aveva moglie, a Potenza, in Basilicata; ed era di carattere freddissimo sotto il suo allegro scetticismo, avendo in fondo al cuore un tacito disprezzo della donna. Ecco perchè non erano innamorati; e insomma, senza tante spiegazioni, non s'amavano perchè non s'amavano. Difficilmente si potrebbe assegnare una ragione all'amore: ed è la stessa cosa per l'indifferenza. --Se noi facessimo colazione?--domandò a un tratto la signora. --Signora Lucia, ecco che avete un'idea--disse lui, con cera spaventata. --Preparatevi perchè ne ho un'altra. Che vuol dire quando mi ci metto! È una valanga. Signor Federigo, andiamo a far colazione qui, a cento passi di distanza, da Giovannino, nei boschetti delle rose e delle mortelle. --Ci darà delle rose e delle mortelle per colazione? Il dubbio è crudele. --Bah! m'han detto che si pranza benissimo. A quest'ora non ci sarà nessuno. Solo i matti come noi vanno in giro. Ci comprometteremo orribilmente di fronte al cameriere ed all'oste... --Signora Lucia, le classi dirigenti debbono moralizzare.... --Basta, basta, per carità. Siete voi deciso?.... --Dal primo momento che parlaste di colazione, un dolce palpito... --Agitò il mio povero cuore.... --Una soave immagine.... --Intravveduta nella nebulosa dei miei sogni..... --Parve si realizzasse.... E risero di nuovo e camminarono nella polvere alta della via maestra, e ne ingoiarono della polvere! Il meriggio era soffocante. L'osteria di Giovannino, tutta bianca, aveva le persiane socchiuse; il silenzio più completo dominava. --Signora Lucia, qui non si fa colazione. Si guardarono con una cera afflitta. Erano rossi dal caldo. In questa un cameriere con un calzone militare ed una marsina civile, venne sulla porta, sogguardandoli con la più grande meraviglia. Quando essi salivano per la scaletta, li seguì. --Ho da preparare in una stanzina particolare?--poi chiese, come se parlasse fra sè, sottovoce, timidamente. Federigo esitò un momento, ma lei prontamente, con un risolino schietto, si voltò e disse: --Sicuro. Dopo, rimasti soli, nella sala grande, furono un po' imbarazzati. Ma fu un lampo. Subito subito, da persone di spirito, compresero la graziosità della posizione. --Sì, o signora,--esclamò Federigo, con accento drammatico,--turbiamo l'onesta coscienza di quest'uomo.... --Scandalizziamo addirittura. Noi ci amiamo, noi siamo due esseri colpevoli e felici, in procinto di fare una tragica colazione, mangiando la costoletta del disonore e bevendo il vino del tradimento... --Signora, noi rotoliamo in un abisso... --Senza fondo.... --Noi potremo essere sorpresi. O Lucia, io vi farò scudo del mio petto, tanto più che non avrei altri scudi.... --Perchè non ho io un velo, un lungo velo nero? Che vi pare, signor Federigo, io dovrei tremare ed impallidire? --Provate un momento; io proverò ad essere agitato. Il cameriere venne ad annunziare che era apparecchiato. La signora Lucia si alzò, con un passo affrettato; Federigo la seguì, parlandole sottovoce, dicendole delle scempiaggini che figuravano frasi d'amore--il cameriere si manteneva, come di dovere, a distanza. Ella, arrivata nella stanzina, si lasciò cadere sopra una sedia e nascose il volto fra le mani con molta naturalezza. --Amica mia, che volete da colazione? --Amico mio, non ho fame--fu la malinconica risposta. --Prenderete del Chablis? --Sì, sì--rispose lei, con la voce gutturale e lo sguardo vagante delle donne che perdono la testa. Il cameriere uscì con gli ordini. Essi dettero in uno scoppio di risa; non ne potevano più. Lucia aveva le lagrime agli occhi, Federigo si nascondeva la testa nel tovagliolo. Che cosa buffa! Si spassavano come scolaretti in vacanza. Poi Lucia venne a un tratto seria. Guardava attorno un po' disillusa. Non trovava nulla di strano, nulla di nuovo. Lui comprese. --Ecco un salottino che non ha nulla di particolare. Non ce ne sono più che nei romanzi. Noi diventiamo borghesi. Lei sorrise distrattamente. Ritornò alla commediola. --Che faremo ora, signor Federigo, che faremo per ingannare quest'uomo? Inventate. --Dovremo darci del tu. --È vero, è vero; anzi, fingiamo d'imbrogliarci col tu e col voi. --Sicuro. Poi guardiamoci lungamente e balbettiamo qualche parola incomprensibile.... --Quando lui ci parla fingiamo di essere distratti, io fisserò l'acqua nel mio bicchiere.... --Ed io farò delle pallottoline di pane... La commediola andava innanzi, concertata a meraviglia, recitata a meraviglia. Il pubblico composto del cameriere e dell'oste, in lontananza, in un corridoio, ci cascava. Ma per cinque minuti gli attori si occuparono delle costolette, con molta attenzione. --Signora Lucia, noi non dovremmo mangiare. --O perchè? --Capite, col cuore divorato dai rimorsi... --Avete ragione.... infatti.... Ma infine noi saremo di quelli che mangiano per rabbia.... --E bevono per disperazione.... --Per annegare il rimorso.... Continuarono quindi a far colazione col buon appetito dei giovani che hanno l'anima tranquilla e la salute in equilibrio. Ma non si scordavano la loro parte. --Quando lui viene, signora Lucia, fingeremo di bere nel medesimo bicchiere. --Io dirò: "Federigo, ti ricordi di Viareggio?". --Ed io mi turberò, sospirerò, farò un atto di rimpianto. Ci prendevano gusto; come si dice in vocabolo teatrale, s'investivano del carattere. Pensavano che cosa si potesse far di meglio, di più fine. Si guardavano in volto, interrogandosi. Nella stanzetta il calore estivo diventava insopportabile, dalla finestra aperta, con le gelosie socchiuse, non entrava un filo d'aria ed entravano molte mosche. La signora Lucia agitava il suo ventaglio; aveva bevuto due bicchieri di Chablis e la commedia la esaltava. Federigo rimaneva più calmo; del resto, in ambedue era chiara, netta, lucida la coscienza del dualismo. Non si confondevano, no. Non entravano in una intimità maggiore per la rappresentazione; non si aumentava di una linea la mutua confidenza. Erano lì buoni amici, contentoni, felici di burlare l'oste ed il cameriere. Una commediola perfetta, addirittura un successo. Il cameriere parlava sottovoce, era pieno di rispetto, camminava forte venendo, camminava piano andandosene. Essi sorridevano, dietro le sue spalle. Lucia sbucciò una pesca, e staccandone un pezzetto, lo diede a Federigo con un vezzoso gesto d'amore: un'idea venuta lì per lì. Federigo prese il pezzetto di pesca, baciò lievemente le dita della manina: anche questa un'idea improvvisata. Il cameriere vide e finse di non vedere: scappò a prendere il caffè. Essi si strinsero la mano, scambiandosi le loro felicitazioni: in verità, si ammiravano. Non si erano mai tanto divertiti nella loro vita. Trovavano naturale quello che facevano, naturale la propria indifferenza, l'impersonalità. Anzi, non pareva loro neppure arrischiata la posizione, tanta era la serenità del loro animo. Andavano innanzi come due fanciulli soddisfatti di un nuovo giuoco, trovato per caso. Federigo sapeva, poichè aveva vissuto; Lucia indovinava, perchè era donna. L'impensato la interessava. --Signor Federigo, non vi pare che dovremmo fumare delle sigarette? --Accendendole, scambieremo un'occhiata. Poi scambieremo proprio le sigarette. --E guarderemo il fumo con aria triste. Quando il cameriere venne a sparecchiare, essi fumavano. Un rumore di ruote s'intese

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Argomenti: cento passi,    tempo immemorabile,    tacito disprezzo,    lungo velo,    calzone militare

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