Fior di passione di Matilde Serao pagina 14

Testo di pubblico dominio

piazza di Spagna; sei entrata di là e ne sei immediatamente uscita dalla porticina che dà in piazza Mignanelli. Hai preso una vettura chiusa da nolo che portava il N. 522. Sei andata in via Cesarini al N. 170, al primo piano, dove Mario Torresparda ha un appartamentino per ricevere le signore del bel mondo che si compiacciono d'andarlo a trovare. La sua abitazione legale, dove riceve gli amici e le cocottes, è altrove. Sei restata là dalle quattro e dieci minuti fino alle cinque e cinquanta minuti; sei discesa, la vettura da nolo t'ha ricondotta in piazza Mignanelli; non avevi moneta spicciola, poichè non si pensa mai a tutto, hai date dieci lire al cocchiere, sei subito uscita dalla grande porta di piazza di Spagna, sei montata nella vittoria, che ti ha condotta per venti minuti alla Villa Borghese, d'onde sei ritornata subito qui. Ella era scivolata sul tappeto e gli stendeva le braccia mormorando: --Perdonami, perdonami, era la prima volta! --La prima volta, lo so. Mario Torresparda ti fa la corte da luglio, quando eri a Livorno; cominciò una sera di plenilunio; fu niente, prima, uno scherzo, poi dalla Svizzera dove era lui, in Sabbina dove eri tu, ti ha scritto prima spesso, poi ogni giorno. Hai sempre risposto; saranno state da cinquantadue a cinquantacinque fra lettere e biglietti. Qui vi siete visti due volte, al Pincio, di mattina, venerdì diciotto novembre e domenica ventotto. D'allora gli prometteste d'andare da lui, ma hai già mancato di parola due volte, lunedì e giovedì della settimana scorsa. Oggi finalmente ci sei andata per la prima, volta. --Oh Riccardo, oh Riccardo!--singhiozzava donna Livia come un bambino--Perchè non mi uccidi, invece di dirmi queste cose? --No, mia cara, io non ho l'abitudine di ammazzare nessuno e non voglio cominciare adesso, io. I mariti che uccidono le mogli si vedono nei romanzi di Ohnet e nei drammi del medesimo autore. Io non sono di questo parere: ho certe mie idee sull'onore che trovo inutile di sottometterti, perchè tu non le intenderesti. Sangue, no; non vale la pena, cara. Ci siamo voluti bene, prima e dopo il matrimonio, per un bel pezzo; poi tu non me ne hai voluto più, come è perfettamente naturale, e naturalmente ne hai voluto ad un altro. Non mi parlare di lotta, di battaglia, di acciecamento, di passione contrastata; non servirebbe a nulla, io non ci credo. Gli amori finiscono, ed è logico che sia così. Il tuo, per me, è durato abbastanza, mi pare.--Non mi lagno, come vedi; tu non hai fatto nulla di irregolare; anzi con quella lunga abitudine femminile, per quella tradizione a cui non mancate mai voialtre, per quel raffinato gusto per cui siete tanto seducenti, tu hai scelto il mio buon amico Mario Torresparda. Io gli volevo bene a Mario Torresparda, e glie ne voglio ancora. Non mi batterò mica con lui, per dar gusto a te ed al pubblico. Vuoi forse dirmi che egli ti ha sedotta? No, cara, non è vero: forse tu stessa credi che sia così, sei in buona fede; ma disilluditi, sono le donne che cominciano sempre a sedurre, e l'uomo si lascia prendere. Che colpa ha Mario Torresparda? Nessuna. Ha trovato una donna che faceva la civetta con lui, si è lasciato invescare, poveretto, si è innamorato. Lo compatisco, esser l'amante di una donna maritata non è molto piacevole, è una posizione piena di fastidi. --Oh come hai ragione di disprezzarmi!--singhiozzò lei. --No, cara. Io non ho nessun sentimento a tuo riguardo. Mi sono informato del tuo amore, per sapere la verità, per semplice bisogno di posizioni nette. Ora, per l'avvenire, fa quel che ti piace, io non mi prenderò neppur la pena di appurarlo. Ti avverto però che Mario Torresparda è innamorato sul serio di te, e fargli subito un tiro non sarebbe umano. Addio, son le sette, vado a pranzo; buon appetito. --Non mi perdonerai mai?--gridò essa, afferrandolo per un braccio. --Ma che perdono? Non ve n'è bisogno punto. Trovo, così, in massima generale, che noialtri uomini abbiamo torto a pigliarvi sul serio e a sposarvi in conseguenza. Se questa è una scortesia, scusami tanto. Vado, perchè son le sette. Verrò da Paola, dopo, a prenderti. Buona sera................................. --Il pranzo è pronto--disse il servitore entrando. Donna Livia, seduta sul tappeto, guardando il fuoco che moriva, pensava quanto suo marito, don Riccardo, fosse più chic di Mario Torresparda. Ideale. Laura, ritta presso il tavolino, col capo chino, s'occupava seriamente dei molti bottoni del suo guanto; sulla spalliera d'una seggiola era gittata una mantiglia ricamata in oro; un gran ventaglio di raso rosso da una parte, giallo e nero dall'altra, giaceva semiaperto sul tavolino. Laura era vestita di broccato nero, con uno strascico inverosimile; sulla scollatura triangolare del petto era appuntato un grande gruppo di fiori rossi e gialli; un ramo fitto di fiori rossi o gialli ornava i capelli bruni, compariva sotto l'orecchio e le lambiva il collo. Cesare entrò, senza far rumore, la guardò un momento, pensò a quello che doveva dire, e finì per dire: --Buona sera, signora. Ella non si scosse. Si volse, sorrise, stirò il suo guanto e domandò: --Siete voi, Sanseverino? --La domanda è singolare. --Contentatevene. Ve ne ho risparmiata un'altra che poteva essere impertinente. --Contessa, stasera siete un... --Fenomeno, non è vero? --Di bontà. Una cosa nuova. Mi risparmiate una impertinenza, mi siete indulgente! Qualche orribile sventura mi minaccia, dunque? --Chi sa? --Preferisco l'impertinenza, contessa. Già me lo immagino. Volevate dirmi: Che venite a fare qui? --Voi indovinate troppo, Sanseverino; è una scienza pericolosa. --Per me solo. Vengo qui... --Per vedermi, perchè siete innamorato di me. Conosco il ritornello. Sanseverino impallidì, nonostante la sua disinvoltura. Carezzò nervosamente il suo mustacchio sottile: --...già--disse poi.--Ma non l'avrei detto. Non si crederebbe, contessa, ma riesco ad essere un uomo di spirito anche dinanzi a voi. --Tutto merito mio, Sanseverino. A lui si annebbiarono gli occhi, ma l'orgoglio gli ridette un sorriso ironico. --Quanto vi è di buono in me e di felice nella mia vita, lo ripeto da voi, contessa--rispose, con un inchino troppo profondo. --Benissimo, ecco un grazioso complimento che è il principio di quelli che udrò fra poco al teatro. --È vero, voi andate al teatro--disse lui come riavendosi da una distrazione.--Perchè ci andate? --Per annoiarmi in mezzo a molta gente. --Annoiatevi con me, allora. La proposta è egoistica, non lo nego. Ma io mi moltiplicherò per farvi annoiare come al teatro. Se volete, aprirò il pianoforte, e vi suonerò le più gravi, le più soavi melodie del Lohengrin che dovreste ascoltare al San Carlo. Parlerò con voi di trine, di amoretti, di gite, di nastri come potrebbe farlo la vostra amica Evelina. Vi farò la corte scioccamente, come ve la potrebbero fare Giorgio, Arturo, Adolfo o Gino. Poi, in un intervallo finto, fingerò di venire io stesso a farvi una visita, e vi dirò quello che vi direi... --Mi piacerebbe più quello che non mi direste. --Tristi cose in verità--rispose lui con un accento profondo. Vi fu un minuto di silenzio. Caso meraviglioso, la contessa Laura pensava. Ma si scosse: --E la platea? Ci mancherà la platea. Chi farà da platea?--domandò. --Che dice la platea di noi? --Oh! una cosa molto volgare, Sanseverino. Che mi amate e che non v'amo. --E soggiunge le ragioni, bella contessa? --Non le soggiunge, perchè non ve ne sono. Si ama senza ragione e non si ama anche senza ragione. L'amore e l'indifferenza si rassomigliano. --Voi proferite una frase mostruosa--disse lui placidamente. --Arriverò tardi al teatro--mormorò lei impazientandosi. --Sono appena le nove. È ignobilmente presto. Chi è due volte contessa e tre volte marchesa come voi, non può andare al teatro a quest'ora. Io non oserei accompagnarvi. --Vi farebbe piacere l'accompagnarmi?--chiese lei, lampeggiando vanità dagli occhi. --... immenso piacere--mormorò lui,

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