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Fior di passione di Matilde Serao pagina 20esplorò i palchi, uno per uno. Nulla. --Verrà, verrà, verrà. Stette a guardare un lunghissimo, un interminabile galopp, di cui la fila danzante pareva un serpente, ora squassante la coda, ora balzante, rotto a tronconi. Tutta la sala si lasciava prendere dalla follìa del chiasso. Si udivano le voci sottili, in falsetto, delle maschere che non volevano farsi riconoscere. Uno stridìo acuto, un urlare incomposto. Lei se ne sgomentò. Tutto questo le pareva una ridda infernale, un'orgia di dannati. Giammai sarebbe discesa laggiù, nella bolgia. --Egli verrà, verrà qui. Qualcuno entrò nel palco; Magda non lo conosceva. Le parlò come ad una mascherina sola, che aspetta avventure; lei impallidiva di sdegno, lei, la fiera contessa indomata. Non rispose: il qualcuno, stancato, finì per andarsene. Erano le due e mezzo. --Sarà forse nella sala, avrà dimenticato il numero del palco. Se lo cercassi? Così egli verrà. Combattuta fra la paura e l'amore, discese lentamente nella sala, cercando lui. La chiamavano da ogni parte, vedendola sola, sentendo il maledetto e ridicolo tintinnìo dei campanelli: chi la prendeva pel braccio, chi la urtava, chi le gettava una parola sul volto bianco della maschera, chi gliene susurrava una all'orecchio. Lei resisteva, si scioglieva, non rispondeva, tirava innanzi, mezzo impazzita, cercando sempre, come una belva ferita, con lo sguardo feroce ed umile nel medesimo tempo. --Egli verrà, egli verrà. Non lo trovò, non lo sapeva cercare forse. Poi la sormontava il dubbio che lui fosse andato in palco, mentre lei era assente. Risalì aspettando ancora, morendo ad ogni minuto, fremendo ad ogni calpestìo nel corridoio, tremando ad ogni rumore di voce, stirando i guanti sotto le larghe maniche, sfilacciando la trina del suo dominò. --Egli verrà. ................................................ Alle quattro del mattino, mentre tutta la sala si abbandonava all'ultimo sfrenato ballo, diventato un delirio, Magda, nel suo costume di Follìa, corto e scollacciato, piangeva silenziosamente sotto la maschera, poichè egli non era venuto, poichè mai più sarebbe venuto. Vittoria di Annibale. Dopo un anno di matrimonio, la duchessa Adriana di Castroreale fu abbandonata da suo marito, corso dietro alla principessa Natalia Lapouckine, russa, che viaggiava l'Europa. Allora il bel mondo si pose a osservare e domandò: Chi sarà il consolatore della duchessa Adriana? Ma la bella signora, che era dotata di un temperamento nervoso, molto eccitabile, con una lieve inclinazione all'originalità, si montò la testa per questo abbandono, si persuase di essere disperata, pianse per due giorni, vegliò per tre notti, si vestì di velluto nero ed uscì in carrozza chiusa. Niente balli. Il teatro, qualche concerto, qualche società di beneficenza, ma con l'abito rigorosamente chiuso al collo, senza fiori in testa, senza gioielli. Naturalmente, si accese nell'idea di non avere alcun consolatore, e rinunziò all'amore, come aveva rinunziato ai diamanti. Ogni corte celata o manifesta, ogni amoretto nascente, ogni passioncella furtiva, furono respinti con alterezza metodica. Ci si provarono i più valenti; ma non si vince un preconcetto alimentato, non dalla ragione, ma da una fantasia ostinata. La sconfitta più clamorosa fu quella del conte Giorgio Filomarino, uomo bruttissimo, spiritoso, audace ed irresistibile, che volendo giuocare di ardimento sbagliò tutto, offese la duchessa e fu messo addirittura alla porta. Dopo di che il mondo disse: la duchessa Adriana è insensibile; e come ogni filosofia muore quando ha trovato la sua formola, così ogni donna non è più interessante quando è stata definita. Adriana passò fra le donne classificate: la principessa Giovanna era intelligente e cattiva, la contessa Francesca montava troppo a cavallo, la principessa Ester era bionda e sensibile, la duchessa Adriana era insensibile. Ella passò fra le risposte prestabilite, fra le frasi fatte, fra le definizioni immutabili: le era stata assegnata la sua parte, non si pensò più a lei. Ella, che comprese tutto questo, s'insuperbì della propria virtù, si riscaldò in un ideale di vita illibata, severa; credette sinceramente alla fermezza del proprio carattere, alla singolarità della propria anima. Le sue amiche, parlandole, le dicevano: Tu, Adriana, che sei una donna insensibile, ecc., ecc. Sua zia, la marchesa di Sorito, diceva: mia nipote, che è una donna insensibile, ecc., ecc. I suoi amici arrivavano fino a dirle: lei, duchessa, che è una donna insensibile, ecc., ecc. In tal modo si avvezzò a pensare di sè stessa, a ripetere da sè stessa: Io, che sono una donna insensibile, ecc., ecc. A poco a poco gli adoratori diradarono. All'amore succedè l'ossequio che carezzava la sua vanità, ma la lasciava deserta. La salutavano con profonde scappellate, suscitavano intorno a lei che passava un mormorio d'ammirazione, ma le visite si facevano scarse nel suo palco ed in casa sua. La rispettavano troppo. Quando un novellino si metteva a farle la corte, vi erano subito pronti gli amici ad avvisarlo che era inutile, che avrebbe perduto il suo tempo, e lui abbandonava il campo prima ancora che la duchessa lo licenziasse con uno sguardo glaciale o una parola mordente. Adriana si esaltava sempre più nella sua parte di donna insensibile, malgrado le piccole ferite al suo amor proprio; e provava una specie di ebbrezza nei sagrifici che faceva. Ma vi era Annibale Massenzio, un giovanotto strano e ragionevole, che non credeva all'insensibilità di nessuna donna. Se ne avesse avuto le prove, non si sa; ma su questo punto aveva profondi convincimenti. Egli diceva dappertutto che le donne finiscono per amare, e che basta saper trovare il momento in cui vogliono amare. Quando gli parlavano della insensibilità di Adriana, si stringeva nelle spalle. Onestamente disoccupato come era, cominciò a farle la corte quasi per scherzo: lei si ribellò, come era solita ribellarsi, il che servì a mettere un certo interesse nell'animo di Annibale.--Mi piacerebbe d'innamorare questa donna--pensava fra sè. Visto che con l'assiduità non vi riusciva, trovando sempre quell'aria severa di virtù offesa che lo irritava, si allontanò tentando il più comune dei mezzi, a cui molte donne si lasciano pigliare. La duchessa non se ne curò che per un giorno solo, chiedendo di lui ad un'amica comune. Egli lasciò dire da molti che avrebbe sposato Maria Mormile, una bellissima giovinetta, per osservare che effetto avrebbe fatto questa diceria sulla duchessa: e lei, la prima volta che lo rivide, gli fece le sue congratulazioni con una disinvoltura che nulla aveva di stentato. Annibale comprese che aveva da fare con una donna non volgare, e tralasciò i mezzucci soliti. Ritornò in casa di lei. Fu accolto con compitezza, ma senza gioia. Solamente, nella profonda notte, nella oscurità della sua camera, la duchessa Adriana si permise di sorridere per compiacenza. Ma l'indomani scontò quel sorriso, raddoppiando di rigore, corazzandosi nella più glaciale indifferenza. Come si consolava all'interno, così si mostrava noncurante e sprezzosa all'esterno; i piccoli e quotidiani peccati di vanità che commetteva inasprivano sempre più le apparenze della sua virtù, simile in questo ai mistici appassionati che si esaltano maggiormente nella voluttà amara del pentimento. Del resto, era perfettamente sicura di sè stessa. Quegli che si eccitava al giuoco pericoloso era Annibale. La duchessa Adriana lo metteva fuori di strada, egli non comprendeva più il modo come si riesce con le donne, commetteva errori sopra errori, stordito, ostinato, incapricciato come un bambino. Tante volte egli faceva a se stesso un bel ragionamento, provando che Adriana era incapace di amare e che quindi era meglio lasciar stare, se non volea correre il pericolo d'innamorarsi per davvero, il che sarebbe stata una disgrazia grande in quelle condizioni: ma era troppo infastidito dal contegno di quella donna antipatica Tag: duchessa donna insensibile palco sala donne uno sempre sarebbe Argomenti: bel mondo, certo interesse, volto bianco, sguardo feroce, lieve inclinazione Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Decameron di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Catturare farfalle per allevarle Perché si regala la mimosa l'otto marzo Festa della donna Come scegliere le scarpe dello sposo Come scegliere la sala per il ricevimento
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