Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 9

Testo di pubblico dominio

ti dia il mal anno. RE Non aver paura di nulla nella mia corte. BERTOLDO Meglio è esser uccello di campagna che di gabbia. RE Orsù, non ti far bramar più; va' via, perché cosa tanto pregata poco è poi grata. BERTOLDO Tristo colui che dà essempio ad altrui. RE Chi sta più, vorrebbe star più. BERTOLDO Chi spinge la nave in mare sta sulla riva. RE Orsù, va' dove ti mando, e non temere. BERTOLDO Quando il bue va alla mazza, suda dinanzi e trema di dietro. RE Fa' un animo di leone e va' via arditamente. BERTOLDO Non può far animo di leone chi ha il cuore di pecora. RE Va' via sicuramente, che la Regina non ha più odio teco, ma s'è passata quella burla in riso. BERTOLDO Riso di signore, sereno di verno, cappello di matto, trotto di mula vecchia, fanno una primiera di pochi punti. RE Non ti far più aspettare perché ogni tardanza è poi noiosa. BERTOLDO Orsù, io vado, poiché tu me lo comandi; vada come si vuole, in ogni modo, o per l'uscio o per la porta bisogna entrarvi. Bertoldo con una bellissima astuzia si ripara dal primo empito della Regina. Così Bertoldo s'inviò per andare dalla Regina, e avendo inteso come ella aveva commesso ai suoi cagnateri che subito ch'egli giongeva nella sua corte essi gli lasciassero andare tutti i cani incontro, acciò da quelli fusse crudelmente stracciato (tanto era incrudelita verso di lui), nel passare ch'ei fece per piazza vidde per buona sorte un villano il quale aveva una lepre viva, e comperolla, mettendosela sotto il mantello; e quando fu gionto nella detta corte gli furono lasciati i cani, i quali venivano verso lui correndo quasi come affamati, e l'averiano morto e stracciato con i fieri denti. Ma esso, vedendo il gran pericolo nel quale ei si trovava, subito lasciò gir la lepre che egli avea sotto, la quale non sì tosto fu veduta dai cani, che lasciarono stare di morder Bertoldo e si posero a correr dietro alla lepre, com'è lor natura, a tale ch'esso restò salvo e illeso dai crudi morsi di quei fieri cani, e così si ridusse innanzi alla Regina, la quale tutta ammirativa, credendolo morto da quei cani, tutta piena di disdegno e ira gli disse: REGINA Tu sei qua, brutto assassino? BERTOLDO Così non ci fussi come ci sono. REGINA Come sei scampato dai denti de' miei fieri cani? BERTOLDO La natura ha provisto all'accidente. REGINA La moglie del ladro non rise sempre. BERTOLDO Chi va al molino, bisogna che s'infarini. REGINA Chi ha le prime non va senza. BERTOLDO A chi tocca leva. REGINA A te toccarà a questa volta. BERTOLDO Non viene ingannato se non chi si fida. REGINA Promettere e non dare, vien per matto confortare. BERTOLDO Chi manco può, paga il bo'. REGINA Chi non gli gioca mal gli spende. BERTOLDO A chi la va bene, par savio. REGINA Andar bestia e tornar bestia è tutt'uno. BERTOLDO Non bisognava entrarci, disse la volpe al lupo. REGINA Pur ci sei venuto tu, che fai l'astuto e il malicioso. BERTOLDO Pazienza, disse il lupo all'asino: tal va al sposalizio che non va a tavola. REGINA Ogni tempo viene, a chi può aspettarlo. BERTOLDO Ventura, pur che poco senno basta. REGINA Dietro il tuono suol venire la tempesta. BERTOLDO Il pesce grosso mangia il picciolo. REGINA Ogni gallo non conosce fava. BERTOLDO Ogni serpe ha il veleno nella coda, ma la femina irata lo tiene per tutta la vita. REGINA Tu non camperai del certo questa volta, usa pure quanta malizia tu puoi e sai, ch'io non voglio che tu ti vanti di fare più stratagemme contra le donne. BERTOLDO Chi non va a una fornata va all'altra, e chi va più presto inganna il compagno; però sbrigami in un tratto. In ogni modo, come disse la volpe al villano, se noi campassimo mille anni, noi non ci guardaremo mai più di buon occhio, né sarà buon stomaco fra di noi. La Regina fa mettere Bertoldo in un sacco. Allora la Regina tutta adirata lo fece pigliare e legar stretto, poi lo fece condurre in una camera appresso a quella dove lei dormiva; e, perch'ella non si fidava ch'esso non scampasse, come aveva fatto altre volte con le sue astuzie, lo fece mettere in un sacco e gli pose per guardia un sbirro il quale lo guardasse sino alla mattina, con animo poi di mandarlo a gettare nel fiume o fargli altra cosa, ch'ei non potesse fargli più burle. E così il misero Bertoldo restò serrato nel sacco, né mai ebbe timore della morte se non in quella volta; pure si pensò una nuova astuzia per uscir del sacco, e gli riuscì mirabilissimamente, e fu questa. Astuzia nobilissima di Bertoldo per uscir fuori del sacco. Restò dunque il povero Bertoldo serrato nel sacco, con la guardia di quello sbirro; e avendosi imaginato una nuova astuzia, mostrando di parlare fra se stesso, incominciò querelandosi a dire: «O fortuna maledetta, come ti pigli tu spasso di travagliare tanto i ricchi quanto i poveri! Oh robba iniqua, dove m'hai tu condotto? Meglio saria stato per me se il padre mio m'avesse lasciato mendico, che ora io non sarei a così tristo passo congiunto. Che cosa ha giovato a me il vestirmi di questi rozzi e ruvidi panni per mostrare di esser povero, s'io sono stato scoperto per ricco, come io sono? Onde questi tiranni per l'avidità della robba mia si vogliono imparentar meco; ma vada come si voglia, io non consentirò mai di prenderla, ché io son uomo contrafatto e so ch'ella non sarebbe tutta mia, e se la Regina vorrà ch'io la pigli al mio dispetto, qualche cosa sarà». Lo sbirro comincia a impaniarsi. Allora lo sbirro udendo queste parole ed essendo curioso di sapere dove derivava simil ragionamento, ed essendo alquanto compassionevole di natura, disse: SBIRRO Che ragionamento è questo che tu fai? Perché sei tu stato messo in questo sacco, poveraccio? BERTOLDO Eh, fratello, a te non importa saper le mie miserie, però lasciami lamentare e tu attendi a far l'ufficio al quale sei stato messo. SBIRRO Se ben faccio lo sbirro, per questo son uomo anch'io e ho compassione delle calamità de' compagni, e se io non potrò darti aiuto con le forze mie in questo tuo travaglio, ti darò almeno qualche consolazione di parole. BERTOLDO Poca consolazione puoi darmi, perché il termine è breve di quanto s'ha da fare. SBIRRO Ti vogliono forsi far frustare? BERTOLDO Peggio. SBIRRO Dar della fune? BERTOLDO Peggio. SBIRRO Mandar in galera? BERTOLDO Peggio. SBIRRO Far impiccare? BERTOLDO Peggio. SBIRRO Far squartare? BERTOLDO Peggio ancora. SBIRRO Abbruggiare? BERTOLDO Mille volte peggio. SBIRRO Che diavolo ti possono far peggio di queste sei cose? BERTOLDO Mi vogliono dar moglie. SBIRRO E questo è peggio che esser frustato, aver della fune, andar in galera, esser impiccato, squartato e abbruggiato? O bestia che sei, io mi credea che questo fusse un gran fastidio. Oh sì che questa è da cantare nella chitarra! BERTOLDO Non che il prender moglie sia peggio ch'io ho detto; ma il modo che vogliono tenere in darmela mi dà più travaglio che se mi fessero tutte queste cose che m'hai detto. SBIRRO E che modo vogliono essi tenere? Parla chiaro. BERTOLDO È lì nissun altro che te? Perché io non vorrei essere udito da qualchedun altro, perch'io sarei poi rovinato a fatto. SBIRRO Non v'è altri che me; parla pure sicurissimamente. BERTOLDO Di grazia, che non mi facci poi la spia. SBIRRO Non dubitar di questo, ch'io non ho mai fatto simil professione, né manco voglio incominciare adesso. BERTOLDO Orsù, io mi voglio fidar di te, perché al parlare che tu fai tu mi pari galantuomo; e poi vada com'ella si voglia, quello che deve essere non può mancare. SBIRRO Orsù cominciami a narrare il negozio, ch'io ti ascolterò. BERTOLDO Tu dei dunque sapere che trovandomi io ricco de' beni di fortuna, ma difforme e mostruoso di vista, confinando con i miei poderi con un gentiluomo il quale ha una figliuola bellissima, costui, avendo visto le ricchezze mie, s'è pensato (benché io sia villano, brutto, come ti dico) di voler darmi questa

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