Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 6

Testo di pubblico dominio

Regina faceva molta instanza, raccomandandogli caldamente tal negozio. Letto il Re la lettera, e inteso la pazza domanda di queste femine, non sapeva che risoluzione si dovesse prendere; onde volto a Bertoldo gli narrò tutto il fatto, il quale prese fortemente a ridere, onde il Re alterato alquanto gli disse: RE Tu ridi, manigoldo? BERTOLDO Io rido per certo, e chi non ridesse adesso meritarebbe che gli fussero cavati tutti i denti. RE Perché? BERTOLDO Perché queste donne ti hanno scorto per un babuino e non per Alboino, e per questo elle ti hanno fatto questa pazza domanda. RE A loro sta il domandare, a me il servirle. BERTOLDO Tristo quel cane che si lascia prendere la coda in mano. RE Parla, ch'io t'intenda. BERTOLDO Triste quelle case che le galline cantano e il gallo tace. RE Tu sei come il sole di marzo, che commove e non risolve. BERTOLDO A buono intenditore poche parole bastano. RE Cavamela fuori del sacco una volta. BERTOLDO Chi vuoi tener la casa monda, non tenghi polli né colomba. RE A proposito, chiodo da carro, vieni alla conclusione. BERTOLDO Ch'intende, chi non intende, e chi non vuol intendere. RE Chi s'impaccia con frasche, la minestra sa di fumo. BERTOLDO Che cosa vuoi tu da me, in somma? RE Io voglio il tuo consiglio in questa occasione. BERTOLDO La formica chiede del pane alla cicala, adesso. RE So che tu hai ingegno e che sei copioso d'invenzioni, e però io voglio dare a te l'assonto di tutto questo negozio. BERTOLDO Se a me dai l'assonto di questo, non ti dubitare che presto te le caverò da torno; lassa pur far a me, che s'elle ti parlano mai più di questo fatto, io sono un cane. RE Orsù, ingegnati di espedirle quanto prima. BERTOLDO Lassa pur fare a me. Astuzia di Bertoldo per cavare questo capriccio del capo alle dette femine. Andò dunque Bertoldo in piazza e comprò un uccelletto, e lo pose in una scatola e portollo al Re dicendo che mandasse quella scatola così serrata alla Regina e che essa la mandasse a quelle donne e che gli commettesse espressamente che non l'aprissero e che la mattina seguente tornassero e che portassero la scatola così serrata che il Re gli farebbe loro la grazia di quanto chiedevano. Il messo prese la scatola e la portò alla Regina, la quale la consegnò alle dette matrone che in camera di lei stavano aspettare la risposta, commettendole espressamente da parte del Re che non dovessero in modo alcuno aprir la detta scatola e che tornassero il dì seguente, ch'elle avriano ottenuto tutto quello ch'esse desideravano dal Re. E così si partirono tutte consolate dalla Regina. Curiosità di cervelli donneschi. Partite che furono le dette femine dalla Regina, gli venne gran desiderio di vedere quello ch'era in detta scatola e cominciarono l'una con l'altra a dire: «Vogliamo noi veder quello che si rinchiude qui dentro?» Altre dicevano: «Non facciamo, perché abbiamo espressa commissione di non aprirla, perché forsi v'è dentro qualche cosa importante per il Re». «Che cosa vi può egli essere? – dicevano le più curiose – e poi se noi l'apriamo non sapremo ancora serrarla com'ella sta? Sì, sì, apriamola pure e siaci dentro quello che si voglia». Risoluzione di donne. Al fine, dopo molti bisbigli fatti fra di loro, si risolsero di aprirla, né così tosto ebbero levato il coperchio, che l'uccello che v'era dentro spiegò l'ali e si levò in aere e volò via; onde ne restarono tutte confuse e di mala voglia, e tanto più poiché esse non poterono vedere che uccello si fusse quello, perché con tanta velocità se gli levò di vista che non poterono discernere s'egli era o passero o rosignuolo, perché se l'avessero veduto avrebbono forsi fatto instanza di averne uno simile a quello, e la mattina che seguiva avriano portato la scatola come l'avevano avuta e non vi saria stato male alcuno. Dolore delle dette donne per essergli scampato via l'uccello. Stavano dunque tutte dolenti e malenconiche queste povere madonne per aver perso il detto uccello, e riprendendo la sua curiosità dicevano: «Meschine noi, come avremo più faccia di tornare innanzi al Re, poiché non abbiamo osservato il suo comandamento, né abbiamo solo potuto tener stretto l'uccello per una notte. Misere e sconsolate noi, che animo, che ardire sarà il nostro domattina?» Così passarono tutta quella notte con dolore e angustia, né si sapevano risolvere se dovevano tornare il dì seguente innanzi al Re, o pur starsene a casa. Risoluzione di donne animose. Passata la notte e tornato il giorno chiaro, le dette donne si levarono e si ridussero insieme, e come disperate non sapevano che partito si dovessero pigliare circa il tornare più alla presenza del Re, per l'errore commesso; e parimente stavano in dubbio se dovevano tornare dalla Regina, o sì o no; chi diceva a un modo e chi a un altro, chi persuadeva di andare, chi di restare. Al fine, dopo molti parlamenti, si fece innanzi una di loro che aveva un poco più gagliardo il cervello di tutte l'altre e disse: «A che perdere più tempo in far tante chiacchiere fra noi? L'errore è già fatto, né si può coprire, né manco emendare se non con chiedere perdono al Re e confessare liberamente il fatto com'egli sta. Imperocché esso è di natura benigno e massime con le donne, facilmente ci perdonerà; e io sarò la prima andare inanzi. Su, fate buon animo e seguitatemi poiché questa all'ultimo non è morte d'uomo; sarebbe mai egli più che un uccelletto da quattro quattrini il quale è volato via? Venite meco e non temete punto». Altre dicevano che il Re averebbe più a sdegno l'atto della disobedienza, che se esse gli avessero fatto scampar via quanti fagiani e pernici egli si trovava avere ne' suoi boschetti e giardini. Al fine, volta e rivolta, si risolsero d'appresentarsi alla Regina e narrargli il fatto, e così fecero. Le donne vanno dalla Regina ed essa le conduce innanzi al Re. Udendo la Regina simil cosa, restò molto travagliata nell'animo e non sapeva che si dire, né che si fare, temendo di qualche gran disordine; pur fece buon cuore e andò dal Re con tutta questa comitiva di donne, le quali dovevano essere sino a trecento e tutte quante venivano col capo basso e tutte vergognose. Giunto che fu la Regina nella gran sala, salutò il Re ed esso rese a lei il saluto allegramente; poi la fece sedere appresso di sé e gli addimandò che buona nuova la conduceva a lui con tanta compagnia di donne. La Regina racconta al Re la fuga dell'uccelletto. Disse la Regina: «Sappia tua Maestà ch'io son venuta qui dinanzi alla tua Corona con queste nobilissime madonne per la risposta della domanda fatta a te per via d'entrare ancor esse ne' negozi e offici istessi che hanno quei del Senato; alle quali avendo tua Maestà mandato quella scatola con espressa commissione ch'elle non l'aprissero in modo alcuno e tornarla a lei nel modo ch'ella gli era stata data, ora una più curiosa dell'altre avendo desiderio di vedere quello che vi si rinchiudeva dentro, l'aperse non pensando più oltre; e l'uccello subito scampò via; onde elle sono restate tanto addolorate di simil fatto ch'elle non ardivano di levar più la testa, né mirarti in viso per la gran vergogna ch'elle hanno per aver trasgredito il precetto regale. Tu dunque, che sempre fosti benigno e clemente verso tutti, perdona loro, pregoti, tale errore, che non per disubbidire a tua Maestà, ma per un loro curioso desiderio hanno fatto simil fallo. Eccole qui pentite e dolenti innanzi a te, ch'elle ti chiedono umilmente perdono». Il Re si mostra turbato forte e riprende le donne di tal fatto, poi gli perdona e le manda a casa. Allora il Re mostrando avere a sdegno simil fatto, volto a loro con un viso turbato, disse: «Voi vi sete dunque lasciato scampare l'uccello fuori della scatola? Ahi, femine sciocche e di poco cervello! e poi avete ardimento di voler entrare ne' consigli segreti della mia corte? Or come potreste, ditemi voi, tenere un secreto, dove andasse l'interesse

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Argomenti: capo basso,    natura benigno,    buono intenditore,    curioso desiderio

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