Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 13

Testo di pubblico dominio

spesso si dà delle mentite da se stesso. Chi dà del pane ai cani d'altri, spesso vien latrato dai suoi. Chi non dà la sua mercede all'operario non ha dell'uomo giusto. Chi mangia a gusto d'altri non mangia mai cosa che gli faccia pro. Chi si pretende di saper nulla, quello è più sapiente degli altri. Chi vuol correggere altri, diasi buon essempio a se medesimo. Chi fugge le volontà terrene, mangia frutti celesti. Chi si trova senza amici è come corpo senza anima. Chi manda la lingua avanti al pensiero non ha del saggio. Chi all'uscir di casa pensa quello che ha da fare, quando torna ha finito l'opera. Chi dà presto quello che promette, dà due volte. Chi pecca, e fa peccar altrui, ha da far due penitenze in una volta. Chi a se stesso non è buono, manco può esser buono per altri. Chi vuol seguir la virtù, bisogna scacciare il vizio. Chi domanda quello che non spera d'avere, a se stesso nega la grazia. Chi ha buon vino in casa, ha sempre i fiaschi alla porta. Chi elegge l'armi vuol combattere con vantaggio. Chi navica nel mar delle sensualità si sbarca al porto delle miserie. Chi del ben d'altri si attrista, altri ride del suo male. Chi ti lecca dinanzi, ti morde di dietro. Chi sta in sospetto, vada a buon'ora a letto. Chi ha la virtù per guida va sicuro al suo viaggio. testamento di Bertoldo Trovato sotto al capezzale del suo letto, dopo la sua morte. Queste sentenze tutte fece il Re imprimere in lettere d'oro, e quelle poner sopra la porta della sala regia, acciò ognuno le potesse vedere, né si poteva consolare della perdita di così grand'uomo. E quelli i quali erano restati custodi della camera del detto Bertoldo, nell'accommodare il letto dove esso dormir solea, trovorno sotto il matarazzo un fagotto di strazzi e di scritture, dove senz'altro indugio portarono il detto stramazzo inanzi al Re, il quale, facendolo subito sciorre, trovò tra quelle tattare il testamento che il detto aveva fatto molti giorni innanzi ch'ei morisse, né mai l'aveva palesato a nissuno; la causa, forse, acciò che nissuno non sapesse di che stirpe né di che parte egli si fusse, essendo un uomo così stravagante. Or sia come si voglia, commandò il Re adunque che subito si andasse per il notaro che l'avea fatto, acciò glielo leggesse alla presenza sua; e così il detto notaro comparve in un tratto e, fatto la debita riverenza al Re, disse: NOTARO Eccomi, Sacra Corona, per essequire quel tanto che da lei mi sarà comandato. RE Avete voi fatto il testamento di Bertoldo? NOTARO Sì, Sacra Maestà, ch'io l'ho fatto. RE E quanto è che l'avete fatto? NOTARO Può essere da tre mesi in circa. RE Or eccolo, prendetelo e leggetelo voi, ché questa lettera notaresca non capisco troppo, per le stravaganti zifere che vi solete fare per dentro. NOTARO Anzi, Signore, ch'io non so scrivere se non volgare, perché mai non potei passare il Donato con tutto ciò ch'io andassi alla scuola ventidue anni, e però non attendo ad altro che alle differenze de' villani. RE Qual è il vostro nome? NOTARO Io mi addimando Cerfoglio de' Viluppi, per servirla sempre. RE Bel nome avete certo e anche il cognome può passare; ma vi starebbe meglio al parer mio nome Sier Imbroglio, poiché imbrogliate così bene il mondo. Orsù, leggete allegramente, Sier Cerfoglio, e dite forte, adagio e chiaro, ch'io v'intenda. Sier Cerfoglio legge il testamento. Al nome del buon cominciamento, e sia in bene; vedendo e conoscendo io Bertoldo figliuolo del quondam Bertolazzo, del già Bertuzzo, di Bertin, di Bertolin da Bertagnana, che tutti noi mortali siamo proprio come tante vessiche gonfie che ogni picciola pontura le manda a spasso, e che come l'uomo giunge agli settant'anni, come oramai io mi ritrovo, si può dire che sia sulle ventitre ore e che non possa stare a battere le ventiquattro, e poi buona notte. Però fin ch'io mi trovo un poco di sale nella zucca voglio accomodare alquanto i fatti miei con fare un poco di testamento sì per mia sodisfazione, come anco per sodisfare a' miei parenti e amici ai quali io mi trovo esser obligato; e così voi, Sier Cerfoglio, sarete pregato di rogarvi di questo mio testamento e mia ultima volontà e prima. Lasso a mastro Bartolo ciavattino le mie scarpe da quattro suole, e otto soldi di moneta corrente per essermi stato sempre amorevole e avermi più volte prestato la lesina da trappongere i tacconi e fatto altri servigi, etc. Item a mastro Ambrogio spacciator di corte soldi diece per avermi più volte portato il braghiero a far conciare e fatto altri servigi, etc. Item a barba Sambuco ortolano il mio cappello di paglia per avermi talora dato un mazzo di porri la mattina a buona ora per fare buon stomaco e aguzzarmi l'appetito. Item a mastro Allegretto canevaro la mia correggia larga e il scarsellotto, per avermi empito il bottrigo ogni volta che io ne avea bisogno, e fatti altri servigi, etc. Item a mastro Martino cuoco il mio coltello e la mia guaina per avermi alcune volte cotto delle rape sotto le cernici e fatto della minestra de fagiuoli con della cipolla, cibo conferente alla mia natura più assai che le tortore, le pernici e i pastizzi, etc. Item alla zia Pandora bugattara il mio pagliarizzo dove dormo suso e due scaranne, desligate e tre brazza di tela da farsi due grembiali, e questo per avermi più volte lavato i scalfarotti e tenuto nette le mie massarizie, etc. Item, il resto de' strazzi, tattare e ciangatole ch'io mi trovo nella camera, rinuncio e lascio a mastro Braghetton solfanaro, per avermi talora portato a donare un castagnaccio e altre cosette uguali al mio gusto, etc. Item, lasso a Fichetto ragazzo di corte stafillate numero venticinque con un buon stafile per avermi forato l'orinale e fattomi pisciare nel letto e attaccatomi un chiocchetto overo zaganella di dietro e orinato in una scarpa e fattomi molte altre burle; e questo bramo sia essequito quanto prima etc., perché egli è un gran tristo, etc. RE Di questo non si mancherà etc. Seguitate pur innanzi, Sier Cerfoglio. NOTARO Item, perché quando venni qua giù, che ne foss'io digiuno, io lasciai la Marcolfa mia moglie con un figlio chiamato Bertoldino che deve aver da diece anni in circa, né però mi lasciai intendere dov'io mi gissi acciò non mi tenessero dietro, non avendo mostacci da comparire in questi luochi, parendo più tosto babuini che altro, e trovandomi aver un podere e certe poche bestiole, lascio la Marcolfa donna e madonna d'ogni cosa fin che il figliuolo abbi venticinque anni, che poi allora voglio sia padrone assoluto d'ogni cosa, con patto che se esso piglia moglie cerchi di non impazzarsi con gente da più di sé. Che non si domestichi con i suoi maggiori. Che non dia danno ai suoi vicini. Che mangi quando n'ha, e che lavori quando può. Che non pigli consigli da gente che sia andata a male. Che non si lasci medicar a medico amalato. Che non si lasci cavar sangue a barbiero che gli tremi la mano. Che dia suo duere a tutti. Che sia vigilante ne' suoi negoci. Che non s'impacci in quello che non gl'importa. Che non facci mercanzia di quello che non s'intende. E sopra il tutto ch'ei si contenti del suo stato, né brami di più, e consideri che molte volte l'agnello va innanzi la pecora, cioè che la morte ha la balestra in mano per tirare tanto a' giovani quanto a' vecchi; che se pensarà a tutte queste cose, non inciamperà mai in cosa che gli possa dar danno, e farà felice ed ottimo fine. Item, non mi trovando altro, poiché non ho voluto accettar mai nulla dal mio Re, il quale non ha mancato di persuadermi a prendere da lui anelli, gioie, danari, veste, cavalli e altri ricchi presenti, perché forse con simili ricchezze non avrei mai posato e forse ancora avrei fatto mille insolenze, e fattomi odioso a tutti, come alcuni che, di bassi e vili che sono, ascendono per fortuna a gradi alti e sublimi, né però con tante dignità non escono fuora del fango del quale sono impastati; io mi contento di morir povero e sapere ch'io

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Argomenti: scuola ventidue,    numero venticinque

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