Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce pagina 7

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dello stato mio e della vita degli uomini, se un'ora intiera non avete potuto tener serrato una scatola, la quale io ho raccommandata con tanta instanza? Tornate dunque ai vostri esercizi e ad aver cura delle vostre famiglie e governare le case vostre, come è solito vostro, e lasciate il governo della città agli uomini. Io so che le cose andrebbono per i loro piedi, s'elle avessero a passare per le vostre mani: non vi sarebbe cosa tanto secreta e occulta che non si sapesse in un'ora per tutta la città. Orsù, levatevi su, ch'io vi perdono, e andate alle case vostre e non entrate mai più in simil frenetico». Poi licenziò similmente la Regina, facendola accompagnare sino alle sue stanze da molti cavalieri. Così si partirono quelle povere donne tutte di mala voglia, né mai più parlarono di entrare in consiglio, né di balottare o mettere fave, essendo elle state balottate per sempre dal Re per opera però dell'astuto Bertoldo, al quale il Re rivolto, ridendo, disse: RE Questa è stata una bellissima invenzione, ed è riuscita molto bene. BERTOLDO Ben vada la capra zoppa, fin che nel lupo ella s'intoppa. RE Perché dici tu questo? BERTOLDO Perché donna, acqua e fuoco per tutto si fan dar luoco. RE Chi ha il seder nell'ortica, spesse volte gli formica. BERTOLDO Chi sputa contra il vento si sputa nel mostaccio. RE Chi piscia sotto la neve forza è che si discopra. BERTOLDO Chi lava il capo all'asino perde la fatica e il sapone. RE Parli tu forsi così per me? BERTOLDO Per te parlo apunto e non per altri. RE Di che cosa ti puoi tu doler di me? BERTOLDO Di che poss'io lodarmi? RE Dimmi in che cosa tu ti senti aggravato da me. BERTOLDO Io ti sono stato coadiutore in cosa di tanta importanza e tu in cambio di assicurarmi della vita mi dai la burla. RE Io non son tanto ingrato ch'io non conosca i tuoi meriti. BERTOLDO Il conoscerli è poco, il tutto è il riconoscerli. RE Taci, ch'io ti voglio rimunerare in guisa ch'io voglio che tu stia sempre a piè pari. BERTOLDO Anco quelli che sono appiccati stanno a piè pari. RE Tu interpreti ogni cosa alla roversa. BERTOLDO Chi dice così l'indovina quasi sempre. RE Tu dici male e fai male ancora. BERTOLDO Che male faccio io nella tua corte? RE Tu non hai punto di civiltà né di creanza. BERTOLDO Ch'importa a te s'io son ben creato o scostumato? RE M'importa assai, perché troppo villanescamente ti porti meco. BERTOLDO La causa? RE Perché quando tu vieni alla presenza mia mai non ti cavi il cappello e non t'inchini. BERTOLDO L'uomo non deve inchinarsi all'altr'uomo. RE Secondo le qualità degli uomini si devono usare le creanze e le riverenze. BERTOLDO Tutti siamo di terra, tu di terra, io di terra, e tutti torneremo in terra; e però la terra non deve inchinarsi alla terra. RE Tu dici il vero, che tutti siamo di terra; ma la differenza qual è fra te e me non è altro se non che, sì come d'un'istessa terra si fanno varii vasi, parte che in essi tengono liquori preciosi e odoriferi e altri che servono a essercizi vili e negletti, così io sono uno di quelli che rinchiudono in sé balsami, nardi e altri liquori preciosi, e tu uno di quelli nei quali s'orina e vi si fa peggio ancora: e pure tutti sono fabricati da una mano istessa e d'un'istessa terra. BERTOLDO Questo non ti nego, ma ben ti dico che tanto sono fragili l'uno quanto l'altro, e quando ambo son rotti i pezzi si gettano là per le strade e dall'uno all'altro non si fa differenza alcuna. RE Orsù, sia come si voglia, io voglio che tu t'inchini a me. BERTOLDO Io non posso far questo, abbi pazienza. RE Perché non puoi? BERTOLDO Perché io ho mangiato delle pertiche di salice e però non vorrei scavezzarle nel piegarmi. RE Ah, villan tristo, io voglio al tuo dispetto che tu t'inchini, come tu torni alla presenza mia. BERTOLDO Ogni cosa può essere, ma duro gran fatica a crederlo. RE Domattina si vedrà l'effetto; va' pur a casa per questa sera. Il Re fa abbassar l'uscio della sua camera acciò Bertoldo convenga in chinarsi nell'entrar dentro la mattina. Partissi Bertoldo, e il Re fece abbassar l'uscio della sua camera tanto che chi voleva entrare in essa, bisognava per forza inchinarsi con il capo; e ciò fece acciò che Bertoldo alla tornata ch'ei faceva si dovesse inchinare nell'entrare e così venisse a fargli riverenza al suo dispetto. E così stava aspettando il giorno per vedere il successo della cosa. Astuzia di Bertoldo per non inchinarsi al Re. La mattina l'astuto Bertoldo tornò alla corte, come era suo solito, e veduto l'uscio abbassato in quella maniera penso subito alla malizia e conobbe che il Re aveva fatto far questo solamente perché esso nell'entrare a lui se le inchinasse; onde in cambio di chinare il capo e abbassarlo nell'entrare dentro, voltò la schiena ed entrò all'indietro a tal che, in cambio di far riverenza al Re, gli voltò il podice e l'onorò con le natiche. Allora il Re conobbe che costui era astuto sopra gli altri astuti ed ebbe caro simil piacevolezza; pur, mostrando d'essere alquanto alterato, gli disse: RE Chi t'ha insegnato, villan ribaldo, d'entrar nelle case a questa foggia? BERTOLDO Il gambaro. RE Perché il gambaro? Tu hai avuto un buon pedante, certo. Favola del gambaro e della granzella narrata da Bertoldo. Tu dei sapere che il mio padre aveva fin a dieci figliuoli ed era povero come ancora son io, e perché spesse volte non vi era pane da cena, egli, in iscambio di cibarci e mandarci pasciuti a letto, ci soleva contare qualche favola a buon conto per farci addormentare, e così la solevamo passare fino alla mattina; onde fra l'altre ch'io gli udì raccontare, questa mi restò nella mente, e se tu hai pazienza di darmi un poco di audienza, udirai cosa che non ti spiacerà e torna a punto al proposito nostro. RE Di' pur su, che ciò mi sarà di sommo piacere. BERTOLDO Diceva il mio padre che quando le bestie parlavano e che le civette cacavano mantelli, che il gambaro e la granzella, amici carissimi, si disposero d'andare un poco per lo mondo a vedere come si viveva negli altri paesi (e il gambaro allora caminava all'innanzi come fa l'altro bestiame, e similmente la granzella non andava per traverso, come fanno al presente). Ora costoro partironsi dalle paterne case, andarono molto tempo girando il mondo e furono nel regno delle cavallette; poi passarono su quello delle lucerte, che confina con quello del re de' parpaglioni, e così circondarono gran parte della terra e videro vari riti e vari costumi fra quelle bestiole; alla fine capitarono nel paese de' schiratoli ed era sera. E perché fra gli schiratoli e le donnole era grandissima guerra per esser confinanti insieme e per una nuova sospizione di tradimento si stava in arme dall'una e dall'altra parte, arrivati questi due compagni in simil luoco, furono dalle guardie scoperti e tolti per duoi spioni; e subito presi e legati furono condotti innanzi al loro capitano, il quale, fattogli essaminare minutamente non trovò in essi altro se non che, desiderosi di veder del mondo, erano giunti in quelle parti e che come forastieri non erano informati di cosa alcuna, e che bramavano di esser posti in libertà e tornarsene alle patrie loro; o pure, se volevano trattenergli per soldati, gli dessero il soldo come agli altri, ch'essi gli averiano serviti in quella guerra fidelissimamente. Inteso ciò dal capitano, subito gli fece slegare, e parendogli essere bestie da fazzione, per avere tanti piedi e tante braccia, gli accettò e subito gli fece passar la panca. Ora avvenne che, essendo mandato il gambaro a spiare quello che si faceva nel campo de' nemici, come quello ch'era nuovo personaggio in quel paese e che caminava con grandissimo silenzio e spesso si copriva tutto sotto la coda, non sarebbe conosciuto così facilmente; esso andò animosamente nel campo nemico e, trovando le guardie che dormivano, passò avanti e andò fino al padiglione del donnolotto, pensando ch'ivi

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