Nel sogno di era pagina 4

Testo di pubblico dominio

innocenti. Le prendeva per mano, e facendole inginocchiare nel posto dove meglio dominava una larga estensione di orizzonte, diceva loro:—Adorate il vostro Padre celeste. Le bimbe tuttavia incominciarono a chiamare lui stesso "padre" e quando ciò avvenne per la prima volta, la fronte dell'asceta si coperse di un vivo rossore, tremò in tutte le fibre, e sentì balzare il cuore con un tale tumulto di dolcezza che mai aveva provato in vita sua l'eguale. Un turbamento giovanile, pari a quello della vergine che ode parlar d'amore, lo deliziava inconsapevolmente sotto le carezze delle due bambine, e un profondo rispetto, quasi un senso di adorazione, si impadroniva di lui via via che le piccine dimostravano cogli atti ingenui di attendere tutto da lui, per cui sentiva di dover esser loro ad un tempo padre, madre, asilo, sicurezza, fede. E per quante gioie gli avessero date le sue estasi mistiche, per quanto, portando la fiaccola della carità in mezzo ai fratelli, egli avesse raccolto a volte soddisfazioni e compensi, questa nuova fase della sua vita gli appariva la più completa. Le sue preghiere, per essere più brevi, non erano meno intense. Egli continuava lo spirito della preghiera nella occupazione materiale di ammanire il cibo, di accendere il fuoco per riscaldare le piccine, di rispondere ai loro gridi e ai loro pianti con parole dolci, che a volte erano ricordi del linguaggio materno, a volte versetti della Bibbia, a volte ritornelli di nenie e di canzoni popolari. Infilava l'ago per preparare alle innocenti caldi panni ritagliati dalle sue sottane; fasciava i loro piedini con pelli di animali, e metteva il pelo all'interno, perché la delicata epidermide si trovasse meglio riparata. Nei giorni peggiori, ricorreva a cento invenzioni ingegnose per trattenere le due bimbe nella baita. Dei fuscelli, una montagna di sassolini, vecchi bottoni delle sue tonache, tutto era convertito in trastullo, tutto serviva a giuochi, celie e risa. Ma appena spuntava un raggio di sole, via colle bimbe in collo, dentro la neve, attraverso i boschi, addestrandole alla ginnastica dell'aria frizzante, alla vista degli immensi orizzonti puri. E raccattando lungo la via erbe e radici, ne teneva deposito per combattere le effimere febbri infantili, per poter allestire all'occasione una bibita salutare alle sue dilette, per dar loro un ristoro nelle lunghe notti invernali, mentre fuori fischiava e gemeva il rovaio, e dentro alla baita il focherello delle betulle e dei pini diffondeva un tiepido calore di nido… * * * Una grande bellezza fu l'estate in cui le bimbe entrarono nel loro settimo anno. L'età della ragione! pensava il solitario, tutto compreso dei nuovi doveri che gli incombevano, mentre aumentava in lui quel senso di rispetto per le creature che Dio gli aveva mandate, onde non procedeva a nessun divisamento senza essersi prima consultato colla propria coscienza. Crescerle nell'amore di Dio e della natura, sviluppare contemporaneamente la maggiore forza fisica e la più alta potenza ideale. Questo il còmpito. Sotto i boschi densi d'ombra sostavano negli ardenti meriggi, e come le piccolette si divertivano a rincorrere le farfalle ed a snidare i grilli, egli ne prendeva argomento per spiegare le leggi dell'amore universale, per istillare nei giovani cuori la pietà, la dolcezza, la comprensione sensibile di ogni sofferenza e di ogni tripudio, riportandoli alla cagione unica del tutto. Egli le obbligava a guardare ed a riconoscere i mille mondi che si agitavano intorno a loro nel raggio di sole e nella gocciola d'acqua, nell'erba, nelle piante, nell'aria. Del mondo propriamente detto non parlava mai; esse potevano credere che finisse ai piedi della loro montagna. Ma quel dominio assoluto e libero e puro, quella ignoranza altera di tutto ciò che non fosse semplice e casto come esse, le cresceva in una nobile fierezza, in una limitazione regale di idee e di affetti. Il prete parlava loro di Dio come di un padre pieno d'amore e di magnificenza; dipingeva le gioie del paradiso con colori smaglianti, le cantava con strofe poetiche, ma giammai parlò dell'inferno. Esse non conobbero neppure il nome dei peccati, neppure la parola peccato. Similmente virtù, che anche di rado usciva dalla bocca del prete, aveva per esse un significato complesso di bellezza, che non le conduceva a nessuna antitesi brutale, che era semplicemente ciò che doveva essere. Perchè rivelare la colpa in quell'Eden? Chi avrebbe osato, chi avrebbe potuto introdurvela? L'asceta si esaltava in tale concetto di purità assoluta; gli sembrava di vedere alla falda della montagna un arcangelo colla spada fiammeggiante nell'attitudine di difenderla. Il suo sogno si mutava in realtà. Un mondo nuovo sorgeva dai ruderi della civiltà imputridita, Jehova lo permetteva. Egli aveva parlato, dal sangue di Cristo spuntava finalmente il fiore del perdono. Gli uomini potevano rialzarsi. Ecco la novella! In una di queste ore d'estasi, mentre fremevano per l'aria i pollini divelti dai rododendri in fiore, egli tuffò le mani negli aromi sparsi, e, imponendole sul capo delle gemelle, mormorò nel colmo dell'ardore, quasi improvvisando:—Ti segno col segno della croce, ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Una lagrima di immensa tenerezza scese dagli occhi del prete, ed egli la posò sulle fronti riunite delle due bimbe. Sorrisero esse, e dissero: —Padre, quanto ci ami! Crescendo l'età, crescendo le domande e le risposte, e sviluppandosi in ognuna delle gemelle una personalità propria e distinta, un sol nome per entrambe non bastò più, e quasi senza accorgersene, senza un ragionamento voluto, egli incominciò a chiamare la prima Mària; restando alla seconda, per una impercettibile gradazione di tenerezza, il nome intatto di Maria. Si somigliavano, ma Maria era un po' più gracile della sorella, e l'anima sua sensibilissima era meglio portata a interpretare la invisibile malinconia delle cose. Meno viva, meno inquieta, ella stava volentieri accanto al prete, assorta in un muto rapimento, intanto che Mària colla foga di un giovane capriolo correva su e giù per i sentieri, lanciando sassi, strappando rami, inerpicandosi sulle alture più difficili e pericolose. Mària cantava, cantava per un bisogno irresistibile di sfogo. Non conoscendo nessun motivo musicale, ignorando anche che cosa volesse al giusto dir musica, modulava in cento toni diversi il suo nome e quello della sorella, onde la valle echeggiava a lungo dei due nomi: Mària, Maria! Mària, Maria! che si ripercotevano sulle montagne circostanti con una cadenza strana di canzone selvaggia. * * * Ella amava pure i turbini e le tempeste. Quando la raffica soffiava violenta e le punte dei ghiacciai si illuminavano al bagliore dei lampi, Mària provava una gioia strana, tumultuosa. Intanto che la dolce sorella, chiusa nella capanna, accompagnava il prete nel recitare le litanie della Vergine, ella correva ad esporsi nella lotta cogli elementi, a ricevere attraverso il corpo le sferzate del vento, affrontandolo arditamente e sfidandolo colla testa alta, mentre esso le scioglieva i capelli, le strappava le vesti, la mordeva e la flagellava, costringendola tutta palpitante a ridosso di un albero, senza respiro, senza voce, col volto che si velava dalle chiome scomposte, e le labbra aperte, rivolte in alto a bevere i primi goccioloni della pioggia. Tutto ciò che fosse battaglia la attirava, e la sua giovanile immaginazione prestava anima e volontà a qualunque oggetto. Aveva scelto per residenza favorita un picco, il più sporgente nell'abisso, dal quale dominava da regina, piacendosi al tetro rumore del torrente che muggiva in fondo. Vi aveva spesso invitato la dolce sorella, che timida e paurosa non ardiva seguirla, onde ella restavasene sola, affascinata dal nero vuoto, dove i suoi occhi si fissavano con un'ansia inquieta di ricerche; e quando la vertigine incominciava a prenderla, quando le si

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Argomenti: occupazione materiale,    bibita salutare,    tiepido calore,    grande bellezza,    maggiore forza

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