Mattinate napoletane di Salvatore Di Giacomo pagina 9

Testo di pubblico dominio

della via, soleggiato, lì dove un gruppetto di femmine s'era raccolto a ciarlare, trovò Nanninella che guardava curiosamente, con le manine sotto il grembiale, il panchetto d'un venditore di caramelle il quale si godeva il sole fumando la pipa, gli occhi socchiusi. —Nannina!—fece la vedova—come ti trovi qui? Che fai? La bambina le corse incontro, allegramente. —Non si lavora oggi, la maestra fa festa, ce ne ha mandate via tutte, perchè lo sposo la conduce in campagna. —Andiamo da Peppino—disse la vedova pigliandosela per mano. Faceva un gran freddo, ma il tempo era sereno e la via asciutta. La bambina batteva ogni tanto i piedi a terra, per riscaldarsi, afferrata con una mano alla veste della madre che le covriva il pugno. L'altra mano aveva ficcata nella piega dello scialletto, alla vita. A volte, chinando la testa, passava il gomito sulla fronte per trarne indietro una banda di capelli che le veniva sugli occhi. Non voleva metter fuori la mano dallo scialletto. —È molto lontano?—chiese, a un tratto, quando furono nella via larga di Foria. —Lì, in fondo—disse la vedova—Vedi quegli alberi? Lì, guarda, dirimpetto a noi. È lì. —Com'è lontano!—mormorò la bambina. Allo sbocco di via del Duomo, sul marciapiedi, incontrarono la rivendugliuola che teneva bottega accosto alla loro. La vedova non la vide; in quel momento rincappucciava il bambino. La vide Nanninella. E come la rivendugliola le sorrideva, le gridò passando: —Noi andiamo da Peppino. Torniamo più tardi! —Chi è?—fece la vedova, voltandosi. —Marianna—disse la bambina—è andata a comprare qualcosa. —Cammina—disse la vedova. Arrivarono stanche, la bambina non ne poteva più. Cercarono il sole, presso alla grande scala dell'Albergo, ove quello batteva tutto sulla facciata. Sui gradini erano seduti tre vecchietti, Pezzenti di San Gennaro, in chiacchiere con una venditrice di melo. La vedova s'accostò, guardando nella cesta. —Me ne comprate, bella figlia!—le fece la venditrice—guardate, ve ne do' tre di quelle grosse per due soldi, guardate. —Dite—fece la vedova—le posso portare su a mio figlio? Lo permettono, sapete niente? —Come no? Vi pare? Son mele, non sono cannoni. Pigliatele. Dove le volete mettere? —Qui—disse la bambina, aprendo il grembiale—mettetele qui, le porto io. La vedova pagò i due soldi e si mise a salire la scala dell'Albergo, con dietro la bambina, tutta felice delle mele. Sul largo pianerottolo non sapeva dove più andare, le porte erano molte, la scala continuava. —È qui?—chiese la bambina. —Ancora più su. Non so. Aspettiamo qualcuno che ce lo dica. Sentivano zufolare su per la scala, una voce d'uomo s'avvicinava canticchiando: M'hanno detto che Beppe va soldato,
e che vi han vista pianger di nascosto….
Spuntò subitamente un giovanotto, con le mani in saccoccia e uno scartafaccio sotto l'ascella. Quando fu sul pianerottolo dette una occhiata alla donna e alla bambina e tirò innanzi, continuando: Far pianger sì begli occhi è gran peccato… —Signore, signore!—fece la vedova. —Che c'è?—chiese lui mettendo il piede sul primo gradino dell'altra tesa, e voltandosi. —Dove si va per vedere… per parlare con un bambino? Io ho qui mio figlio… —Vi levate presto voi la mattina? Questa non è ora di parlatorio. Ma, via, può accadere che vi facciano vedere il bambino. Andate su, dal segretario. —Dov'è?—chiese timidamente la vedova. —Su, al secondo piano, prima porta a destra, ultima camera. Parlando saliva; a un tratto la vedova non lo vide più. Ma sentì la sua voce dall'alto, mentre saliva anche lei. —Ultima camera, avete capito? —Sissignore—gridò la vedova—grazie, signore, Dio ve lo renda! Il segretario era un uomo assai maturo, molto per bene, con occhiali d'oro, con un bell'anello al dito indice. Sedeva presso la sua scrivania, firmando certe carte che un impiegato gli metteva innanzi una dopo l'altra, asciugando le firme sopra un gran foglio di carta rossa. Nella camera c'era la stufa, che vi spandeva un tepore dolcissimo. —Chi siete? Che volete?—fece il vecchio, levando gli occhi dalle sue carte ed esaminando la vedova e la bambinella. La vedova non sapeva che dire. —Sono Carmela Selletta, eccellenza, volevo vedere, se è possibile… io ho qui mio figlio… ha sette anni… Giuseppe Selletta… —Ma, Dio mio! Non dovete venire qui.—fece il vecchio, la penna levata—questo non è parlatorio, Dio mio! Ah! santa pazienza! —Così m'hanno detto, eccellenza—mormorò la vedova, mortificata—ho incontrato per le scale un giovane e m'ha insegnata la porta… —Ma non è qui, non è qui—insisteva il vecchietto—e poi, bella mia, non è ora questa di parlatorio. La vedova rimase muta. —Come avete detto che si chiama vostro figlio?—soggiunse, dopo un momento, il vecchietto, del quale ora la voce si raddolciva. —Peppino… Giuseppe Selletta. —Mazzia, fatemi il piacere, guardate un po' dentro, in archivio, se c'è Larissa, e parlatene a lui di questo ragazzo. Anzi fatelo venire qui, che sarà meglio. —Come si chiama?—chiese l'impiegato alla vedova. —Giuseppe Selletta. Mazzia sparì dietro una portiera. Il vecchietto raggiustò sul naso gli occhiali, soffiò nelle mani e mise sulla scrivania una tabacchiera di argento. Nannina aveva riguadagnato coraggio e s'accostava alla scrivania, guardandovi curiosamente il gran calamaio dorato, sul quale due pupazzetti reggevano a fatica una colonnina per metterci entro le penne. Lo sguardo della piccina incantata passava dal calamaio a un fermacarte di cristallo, sotto il quale si vedeva la chiesa di San Pietro, col cupolone, la piazza e la gente in cammino, tutto colorato. —Sedete—fece a un tratto il vecchietto, dopo una rumorosa soffiata di naso—pigliatevi, lì, una sedia, quella nell'angolo, brava, sedete pure. Aprì la tabacchiera, tirò su una gran presa e allungò le braccia sulla scrivania. —Ah, buon Dio di pace e d'amore!—sospirò. Poi, voltandosi: —Che cosa avete in braccio?—dimandò, aguzzando lo sguardo di sotto gli occhiali. La vedova alzò un lembo dello sciallo, scovrendo il piccino che dormiva tranquillamente con una mano sul petto. —Un piccino?—fece il vecchio, sorridendo—carino proprio! Figlio vostro? —Sissignore. Nanninella s'era avvicinata a guardare il fratellino, togliendosi alle contemplazioni del calamaio. Stese la mano per carezzarlo. —Pssst!—fece il vecchio, sottovoce—lascialo stare, tu. Si sveglierà. Ricopritelo con lo sciallo, poverino. Appariva Mazzia sotto la portiera, impassibile. —Dunque?—fece il vecchietto. —Se il signor segretario—disse Mazzia—vuol favorire un momento… —Che c'è? Si levò poggiando le mani sui bracciuoli della sua seggiola, cercando in saccoccia il moccichino di seta rossa. Ripeteva, camminando: —Che c'è Mazzia? Quando il segretario gli fu presso Mazzia lasciò ricadere la portiera e questa li nascose. —Ora viene Peppino—disse la vedova a Nanninella. —Ora viene?—ripetette la piccina, sottovoce. La vedova col capo fece cenno di sì. I due parlottavano ancora dietro la portiera, ma non si capiva nulla di quel che dicessero. A un tratto riapparve il vecchietto. Pareva molto turbato e veniva innanzi lentamente, con lo sguardo sulla vedova. Si fermò presso alla scrivania, aggiustò un quaderno sotto un libro e, tossì due o tre volte. —Sentite, bella mia… La vedova s'era levata, traendo indietro la seggiola. —Sentite, non si può parlare a quest'ora coi ragazzi… Io ve lo avevo detto, siete venuta troppo presto! Gli è che a quest'ora il ragazzo… S'interruppe. La vedova lo guardava. —Mazzia—si volse lui bruscamente allo impiegato—aiutami a dire… —Il ragazzo è alla lezione—disse Mazzia secco secco. E si rimise a guardare di fuori, per la vetrata. —Ecco—disse il vecchietto risollevato-è alla lezione. Qui si è molto severi…. La vedova ebbe un moto di dispiacere. Strinse

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Argomenti: venuta troppo,    grande scala,    largo pianerottolo

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